Nessun artista italiano ha mai saputo divulgare al grande pubblico cosa significhi suonare musica originaria dell’Asia partendo da una visione occidentale. Finalmente questo vuoto editoriale è colmato dal lavoro compiuto da Patrizia Saterini, esperta di tradizioni sonore extraeuropee e, al contempo, “figlia” – come lei stessa afferma – della musica colta europea. Dopo anni di studi, incontri, tecniche apprese sotto la supervisione di autorevoli maestri, Patrizia Saterini ha elaborato il tutto nel libro Musica Indiana. Teoria e approfondimenti da una prospettiva occidentale (Edizioni Il Punto d'Incontro, 2014). Testo, che è anche un manuale, adatto per chi desidera analizzare l’evoluzione e gli elementi specifici della musica indiana. L’autrice è musicista con una preparazione che unisce conoscenze classiche della tradizione europea a specializzazioni nell’ambito del canto e della teoria della musica indiana. Da questo sguardo privilegiato, Patrizia ha saputo ben sintetizzare in modo esaustivo varie importanti tematiche, spiegando tra l’altro le origini divine del suono così come viene concepito nel mondo induista/vedico. Oltre a introdurre numerosi riferimenti storici – dall’arrivo nel subcontinente del popolo degli ārya all’avvento del periodo buddhista, sino alle invasioni mussulmane – l’Autrice illustra gli elementi centrali della musica indiana, come il rasa, gli svara e i rāga. Sezione altrettanto importante è anche quella dedicata alla descrizione dei principali strumenti musicali indiani, suddivisi in cordofoni (tra cui sitār e sarod), aerofoni (come il bansurī), membranofoni (come il tābla), idiofoni. Il testo è arricchito da una serie di interviste ad autorevoli esponenti della musica, del canto e della danza dell’India.
Dalle pagine emergono la ricchezza e la complessità della tradizione sonora originata entro i confini del subcontinente indiano: tradizione in cui si scopre come l’esecutore – che è al tempo stesso compositore della partitura – sia dotato di una grande libertà nel momento dell’esperienza concertistica. Si può dire, con un paragone un po’ semplificato, che l’artista di musica indiana ha la possibilità di improvvisare come un jazzista, riuscendo in modo molto spontaneo a traslare nella partitura originaria le emozioni del momento: in questo processo la struttura musicale in parte cambia a seconda dell’atmosfera vissuta dall’esecutore/compositore. Un libro che si rivela quindi uno scrigno di informazioni preziose, grazie ai consigli dell’Autrice, insegnante di Musica e Canto Indiano, nonché Teoria della musica indiana presso il Conservatorio di Musica “Arrigo Pedrollo” di Vicenza.
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