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Jean Cousin il Vecchio, Giove ed Europa (1550 c.)

Giove si innamorò di una bellissima fanciulla di nome Europa. Allora, chiamato Mercurio, gli ordinò di far scendere i buoi di Agenore, padre di lei, verso la spiaggia, dove la fanciulla era solita recarsi con le sue compagne, e si trasformò in un candido toro. Ecco che cosa fece per averla.

 

GIOVE SI TRASFORMA IN TORO (1/3)

“Non vanno molto d’accordo, né possono vivere insieme

maestà ed amore. Lasciato dunque lo scettro solenne,

il padre e signore degli dei, che ha la destra armata

di fulmini a tre punte e con un cenno scuote il mondo,

assume l’aspetto di un toro e in mezzo alle giovenche

muggisce e, bello, gira intorno sul tenero prato.

Il colore è proprio quello della neve che né la pianta di un duro

piede ha calpestato né l’Austro, denso di pioggia, ha sciolto.

Il collo è rigonfio di muscoli, dalle scarpe pende il giogo.

Le corna, veramente, sono piccolette, ma tali che penseresti

siano fatte a mano, e sono più chiare di una gemma che brilla.

Niente di minaccioso ha nella fronte né lo sguardo incute paura.

Il muso appare sereno”.

Ovidio, Metamorfosi, II, vv. 846-858.

Nell’immagine, Guido Reni, Ratto di Europa (1638-1640).

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EUROPA ESTASIATATA DAL TORO (2/3)

Lo ammira la figlia di Agènore,

poiché è bello e non ha un’aria minacciosa.

Ma teme di toccarlo, anche se è tanto mansueto.

Poi gli si avvicina e porge dei fiori al suo candido muso.

Gioisce l’innamorato, e, in attesa del piacere sperato,

le bacia le mani. A stento, ormai, a stento rinvia il resto,

ed ora gioca e saltella sull’erba verde,

ora distende il fianco bianco come neve sulla bionda sabbia.

E dissipata pian piano la paura, ora il petto le offre,

da toccare con la giovane mano, ora le corna, da adornare

di ghirlande appena intrecciate.

Ovidio, Metamorfosi, II, vv. 858-868.

Nell’immagine, Giulio Bonasone, Europa rapita da Giove (1546).

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IL RAPIMENTO DI EUROPA (3/3)

“La figlia del re ha preso il coraggio

di sedersi sul torso del toro, senza sospettare di chi sia,

quando il dio, allontanandosi a poco a poco dalla terra e dalla spiaggia asciutta,

imprime false orme sulla battigia,

poi si spinge più avanti e sull’acqua in mezzo al mare

porta via la preda: è terrorizzata lei e, mentre viene portata via, si volge

alla riva lontana. La destra stringe un corno, l’altra mano è appoggiata

sulla groppa. Tremolando, le vesti si gonfiano per la brezza”.

Ovidio, Metamorfosi, II, vv. 868-875.

Nell’immagine, Assteas, Vaso a figure rosse con Giove ed Europa (350-330 a.C.).

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