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Vaso attico a figure rosse (410 a.C.) con Afrodite e Adone.
Adone era un giovane bellissimo e Venere, ferita accidentalmente da una freccia di Cupido, se ne innamorò. Non riuscì però a trattenerlo dal cacciare, pur avendolo messo in guardia dalle bestie feroci. Così un giorno, mentre cacciava, il giovane fu ferito mortalmente da un cinghiale. Udendo i suoi lamenti, la dea accorse in suo aiuto, senza però salvarlo. Che cosa crebbe nel punto in cui Adone cadde?
VENERE INNAMORATA (1/3)
“Incantata dalla bellezza di Adone, non le importa più
delle spiagge di Citèra, non visita più Pafo, che sta in mezzo al mare,
né la pescosa Cnido né Amatunte, ricca di metalli.
Sta anche lontana dal cielo: al cielo preferisce Adone.
Gli sta attaccata, non va che con lui, avvezza com’era a passare il tempo
all’ombra e a curare la propria bellezza, accrescendola,
gira per colli, per selve, tra rocce e cespugli spinosi,
con la veste tirata su sopra il ginocchio come fa Diana”.
Ovidio, Metamorfosi, X, vv. 529-536.
Nell’immagine, Tiziano Vecellio, Venere e Adone (1553).
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I CONSIGLI DI VENERE AD ADONE (2/3)
“Sii prode con le bestie che fuggono!”
disse. “Il coraggio, con quelle coraggiose, è pericoloso.
Evita di essere temerario con rischio anche mio, o giovane;
non sfidare le belve a cui natura ha dato le armi;
la tua gloria non mi costi cara! La giovinezza, il tuo aspetto,
quelle cose con cui hai ammaliato Venere non commuovono i leoni
né i cinghiali villosi, non toccano gli occhi e il cuore delle belve.
I cinghiali cattivi hanno il fulmine nelle zanne ricurve;
e violenta e senza freni è l’ira dei biondi leoni:
razza che odio”.
Ovidio, Metamorfosi, X, vv. 543-552.
Nell’immagine, Canova, Venere e Adone, particolare (1789-1794).
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LA METAMORFOSI DI ADONE (3/3)
“Detto questo,
cosparse il sangue di nettare odoroso e questo, al contatto,
cominciò a fermentare, così come nel biondo fango si formano
bolle trasparenti, né un’ora intera
era passata, quando dal sangue spuntò un fiore dello stesso colore,
come quello che sono soliti produrre i fiori del melagrano, che celano
tanti granelli sotto la buccia sottile; tuttavia, quello dura poco;
infatti, fissato male e fragile per l’eccessiva leggerezza,
i venti stessi, che gli danno il nome, lo disperdono”.
Ovidio, Metamorfosi, X, vv. 731-739.
Nell’immagine, Paolo Veronse, Venere e Adone (1562).
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