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Perché l’Artico è invaso dalla plastica

I frammenti di plastica viaggiano verso l’estremo Nord trasportati dalle correnti oceaniche e dall'aria. E lì si accumulano, spesso ingeriti degli animali che popolano la regione

di Cheryl Katz

http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2019/11/14/news/ecco_perc...

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Piccole fibre e detriti raccolti durante un campionamento di un nucleo di ghiaccio marino della Groenlandia illuminati al microscopio nel laboratorio della nave da ricerca Kronprins Haakon. Fotografia di Lawrence Hislop 

MARE DI GROENLANDIA, A BORDO DELLA KRONPRINS HAAKON. Su un banco di ghiaccio nel mar di Groenlandia, più su del Circolo polare artico, Ingeborg Hallanger sta raccogliendo plastica con un aspirapolvere.
 
Ci troviamo su un pezzo di “ghiaccio stabile”, chiamato così perché tenuto saldamente fermo da iceberg incastrati nella calotta poco profonda che si trova a Nord-ovest della costa della Groenlandia.
 
All’orizzonte si staglia una specie di foglio bianco "bucherellato", segnato qua e là da piccoli stagni blu di acqua di scioglimento, e pieno di fratture. Da lontano si vedono brillare i ghiacciai della Groenlandia.
 
Hallanger, ricercatrice al Norwegian Polar Institute di Tromsø, sbircia attraverso un buco che è stato fatto perforando il ghiaccio spesso meno di un metro. Poi infila un tubo nella superficie d’acqua che è appena lì sotto. Nel frattempo altri membri della spedizione pattugliano la zona con fucili: stanno in guardia dagli orsi polari. Se dovessero comparire, gli scienziati sarebbero costretti a una frettolosa ritirata sulla nave ancorata 
lì a poca distanza. Hallanger accende una pompa e inizia a filtrare minuscole particelle dall’acqua del mare.
 
Proprio qui nell’Artico, a centinaia di chilometri dalla grande città più vicina, si trovano alcuni dei maggiori depositi di plastica del pianeta. Gli studi rilevano concentrazioni di plastica maggiori nel ghiaccio marino di questi luoghi remoti che nelle famigerate cinque isole di rifiuti oceaniche. Un recente rapporto, inoltre, rivela che le microplastiche portate dall’aria ricadono sull’estremo nord, miste a neve.
 
Hallanger, che è ecotossicologa, vuole capire in che modo questo diluvio di plastica incide sugli habitat di queste zone, che rappresentano le fondamenta della catena alimentare oceanica.
 
“Se è vero che nel ghiaccio c’è molta plastica - dice - allora gli organismi che vivono all’interno o sotto di esso devono trovarsi in uno spazio tra i più contaminati dell’oceano”.


Nel ghiaccio marino dello Stretto di Fram sono state trovate tutte le tipologie di microplastiche esistenti al largo delle coste urbane. Fotografia di Lawrence Hislop

Rotolando verso nord
L’area dove Hallanger sta lavorando è, in particolare, una delle più inquinate dalla plastica di tutto l’Artico. In questo passaggio tra la Groenlandia orientale e le Isole Svalbard (Norvegia), un fulcro di correnti oceaniche chiamato stretto di Fram - uno studio ha rilevato oltre 12.000 particelle di microplastiche per litro di ghiaccio marino. È una quantità paragonabile a quella delle masse di rifiuti che si trovano al largo delle coste urbane più inquinate. Ed è addirittura superata dalle 14.000 particelle per litro rilevate di recente nella neve che copre il ghiaccio dello stretto di Farm.
 
Ma l’invasione artica non si limita allo stretto. Gli scienziati stanno ritrovando microplastiche in tutto il profondo nord, dal mare di Beaufort all’arcipelago canadese fino alle acque che bagnano la Siberia. E stanno cominciando a capirne i motivi. Il Mar glaciale Artico contiene più plastica di qualsiasi altro bacino d’acqua oceanico. I frammenti di questi materiali prodotti dall’uomo stanno arrivando alla fauna selvatica artica, soprattutto gli uccelli. E in particolar modo uno simile al gabbiano chiamato fulmaro (Fulmarus glacialis) che sembra essere una sorta di calamita per la plastica.
 
“Ogni gruppo di fulmari che abbiamo osservato sull’Artico negli ultimi trent’anni aveva plastica al suo interno” dice Jenn Provencher, capo dell’unità per la salute della fauna selvatica per il Canadian Wildlife Service.
 
L’invasione di plastica che subiscono gli oceani - gli scienziati stimano che ogni anno ne vengano sversate in mare 12,7 milioni di tonnellate - è un problema globale. È l’Artico, però, a dover sopportare il fardello di microplastiche più pesante. Le difficili condizioni di vita, le scarse disponibilità di cibo e i giganteschi cambiamenti climatici in corso rendono l’Artico particolarmente vulnerabile agli effetti di questo fenomeno.
 
“Stiamo aggiungendo ulteriore stress agli animali che vivono in questo ambiente” dice Hallager, che sta studiando l’esposizione da microplastiche e gli impatti su uccelli, volpi e altri animali dell’Artico.


Nell'ultimo decennio, gli scienziati hanno documentato alte concentrazioni di rifiuti in plastica, comprese le microplastiche, in tutto l'Artico: sulle coste e nei sedimenti di acque profonde, ghiaccio marino e acque superficiali.

Plastica ovunque
Tornati sulla Kronprins Haakon, una nave rompighiaccio del Norwegian Polar Institute, Hallanger, lo studente universitario Vegard Sturzinger e io decidiamo di condurre un esperimento improvvisato. I campioni raccolti da Hallanger dovranno attendere di essere analizzati nel suo laboratorio a Tromsø. Qui, a bordo, filtriamo alcuni campioni di ghiaccio sciolto che abbiamo grattato dalla superficie di ghiaccio e li osserviamo al microscopio.
 
Sono cosparsi di pezzettini di colore rosso, blu, nero e giallo grandi come la gomma da cancellare sulle matite: la dimensione massima perché li si possa considerare microplastica. Alcuni sembrano appartenere a fibre sintetiche, insieme ad alcune schegge e frammenti.
 
La nostra procedura non ha nulla di scientifico nelle misurazioni, nei metodi e non ci siamo preoccupati di evitare contaminazioni, come invece farà la ricercatrice quando tornerà in laboratorio. Siamo però in un piccolo laboratorio pulito, sigillato dove non sono ammessi capi di abbigliamento sintetici.
 
Nonostante tutto questo, è un’esperienza che apre gli occhi. “Ce ne sono davvero tanti!” esclama Hallanger osservando l’elevato numero di frammenti plastici. Da dove viene tutta questa plastica e come sta penetrando in un ambiente che si supponeva incontaminato?
 
In viaggio
Erik Van Sebille, oceanografo dell'Università di Utrecht, da tempo si occupa di mappare i movimenti delle plastiche attraverso gli oceani. L’immondizia nei mari del Nord è così tanta che Van Sebille sta notando la formazione di un’altra isola di rifiuti nel mare di Barents, sopra Norvegia e Russia. Gran parte sembra provenire dall’Europa nord-occidentale e dalla costa orientale degli Stati Uniti.
 
L’oceanografo ipotizza che la plastica si accumuli nei pressi dell’estremità meridionale del mar Glaciale Artico. Questo perché l’acqua dell’Atlantico diretta verso nord si raffredda e sprofonda proprio lì, mettendo così in movimento un poderoso sistema di correnti chiamato Capovolgimento meridionale della circolazione atlantica. La plastica galleggia. E così rimane.
 
“Io la definisco la 'cacca' che non viene scaricata” spiega Van Sebille con una colorita analogia. Tuttavia la maggior parte delle microplastiche non galleggia sulla superficie degli oceani ma si sparpaglia lungo le profondità. E quei frammenti sommersi non stanno finendo solo nell’Artico ma stanno raggiungendo anche l’Antartide. In un nuovo studio Van Sebille e alcuni suoi colleghi hanno scoperto che le correnti sottomarine possono spostare grandi quantità di microplastiche dalle latitudini centrali verso entrambi i poli. Non a caso, dice, quando la plastica viene trasportata dalle correnti sottomarine “è molto, molto più probabile che vada a finire nelle regioni polari”.
 
Come se non bastasse Van Sebille ha rilevato che le plastiche viaggiano verso i poli anche “facendo surf” sulle onde. Un processo di trasporto oceanico chiamato Stokes drift. Dal momento che la maggior parte dei modelli che stimano le plastiche in mare non includono questo tipo di movimento, lo scienziato dice che la quantità di questo materiale nell’Artico potrebbe essere ancora maggiore.
 
Nel frattempo il ghiaccio marino trasporta e stocca immense quantità di microplastiche in questa regione. Ma se il ghiaccio continua a sciogliersi a un ritmo veloce come quello attuale, dovremmo considerare questo stoccaggio come temporaneo, dice Ilka Peeken, biologa marina all’Alfred Wegener Institute for polar and marine research, in Germania.
 
Peeken studia il modo in cui il cambiamento degli ambienti impatta sugli organismi viventi del ghiaccio artico. E proprio nel ghiaccio ha scoperto 17 tipi di plastica differenti: packaging, pezzetti di tappi di bottiglie, tinture, nylon, poliestere e pezzetti provenienti dai mozziconi di sigarette compongono circa la metà di tutte le particelle rinvenute.
 
Il nylon e la tintura provenivano, forse, da fonti locali come attrezzature da pesca e navi, mentre il packaging e i tappi di bottiglie potrebbero aver navigato per lunghe distanze, spiega la scienziata. Alcune potrebbero essere “evase” dalla grande chiazza di immondizia nel Pacifico e fluite verso nord attraverso lo stretto di Bering. Riportata in superficie dal mare quando si ghiaccia, l’immondizia intrappolata nel ghiaccio attraversa l’Artico con la corrente oceanica chiamata Transpolar drift stream.
 
Oggi un altro studio suggerisce che le microplastiche viaggiano anche con le correnti di aria per depositarsi sull’Artico sotto forma di fiocchi di neve avvelenati. Oltre a contaminare l’acqua, queste minuscole particelle quasi invisibili potrebbero anche essere inalate, dice l’autrice dello studio Melanie Bergmann, ecologa marina all’Alfred Wegener Institute. 
 
Un quadro preoccupante
Si sa relativamente poco di come l’inquinamento da plastica stia influendo sugli ecosistemi artici. Oltre agli uccelli, microplastiche sono state ritrovate nello stomaco di diverse specie di pesci locali, le cozze blu, granchi delle nevi e stelle marine. Lo riporta un recente rapporto sui rifiuti oceanici nel nord di un gruppo di lavoro del Consiglio artico. Tuttavia, in questa remota e difficile regione non è stata fatta molta ricerca. Alcuni esperimenti hanno provato danni e alterazioni nel comportamento dei pesci esposti alle microplastiche ma gli studi non sono ancora arrivati a valutare gli impatti sulla salute di intere popolazioni di animali.
 
Cionondimeno, specifica Hallanger, studi in laboratorio mostrano come pezzetti ancora più piccoli delle microplastiche, chiamati nanoplastiche, siano in grado di passare attraverso le membrane delle cellule. Possono penetrare anche la barriera emato-encefalica e persino la placenta per raggiungere il feto. Le condizioni presenti nell’Artico - con ghiaccio che si forma e si scioglie di continuo, venti e onde poderosi - sono favorevoli alla trasformazione di microplastiche in nanoplastiche. “È spaventoso” dice Hallanger.
 
Così come altrove, la possibilità che la plastica possa entrare nel cibo è una fonte di preoccupazione anche qui. Ingerite dalle piccole creature alla base della catena alimentare, le microplastiche hanno la possibilità di bioamplificarsi nel momento in cui i piccoli organismi vengono mangiati da quelli via via più grandi, per arrivare infine all’uomo.
 
E le plastiche, in effetti, vengono ingerite dall’uomo. Un nuovo studio ha rivelato che gli americani mangiano e bevono 52.000 particelle di plastica all’anno, che salgono a 121.000 se si considerano anche quelle inalate.
 
L’Artico però è diverso dagli altri luoghi. Qui l’inquinamento da plastica pone una minaccia particolare, perché ci vivono persone che dipendono dall’ecosistema marino quasi completamente, sia per il cibo che per la cultura.
 
“Nell’Artico la catena alimentare marina è strettamente collegata al consumo umano” dice Provencher. “Se c’è plastica in alcune specie, e ci sono persone che dipendono da queste specie perché sono la loro fonte alimentare, l’impatto può essere molto più ampio di quanto non sarebbe in altre parti del pianeta”.
 
Peter Murphy, coordinatore regionale dell’Alaska per il Marine debris program del Noaa (National oceanic and atmospheric administration), concorda.
 
“In Alaska quello della sussistenza è un problema reale che preoccupa. Ci sono infatti delle comunità in cui la maggior parte delle calorie assorbite proviene dalla terra e dall’acqua che hanno intorno”, dice riferendosi ai gruppi indigeni delle coste e delle isole alaskane.
 
Uno studio del 2015-2017 ha misurato le microplastiche presenti nella sabbia delle spiagge nei parchi nazionali americani. È stato scoperto che l’inquinamento presente in alcune remote località costiere dell’Alaska è simile a quello di aree altamente popolate come quella vicino al ponte Golden Gate di San Francisco.
 
Fino ad ora non ci sono chiare evidenze del fatto che la plastica si bioamplifichi nella rete alimentare o comporti rischi per chi mangia pesce e frutti di mare. Ora un grande sforzo scientifico verrà profuso per monitorare il fenomeno, e i suoi effetti, nell’Artico. Guidato dall’Islanda che ha assunto la presidenza del Consiglio artico, il progetto sarà condotto da un gruppo di lavoro speciale dell’Arctic monitoring and assessment program. Anche Hallanger ne farà parte.
 
“Non abbiamo ancora una conoscenza approfondita di tutto questo” dice la ricercatrice mentre osserva dalla nave un pezzo di ghiaccio grosso come un cortile di casa, mentre gli uccelli marini pattugliano l’acqua alla ricerca di pesce.
 
“L’Artico è un ottimo luogo per mostrare a tutti che si tratta di un problema globale”, dice, “e dobbiamo agire a livello globale”.

(14 novembre 2019)

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