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La primavera araba: l’origine e l’espansione della rivolta

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Partita dalla Tunisia, la primavera araba – dall’Algeria allEgitto – arrivò al sud del Mediterraneo, cambiando il panorama politico in maniera definitiva. Primavera araba è un termine che fa riferimento alle varie rivolte avute, dal 2011 in poi, in alcuni regimi arabi.
I motivi dello scoppio differiscono da paese a paese ma con gli stessi scopi protesi verso mete del tutto incerte tra cui miglior tenore di vita, libertà e democrazia.

L’inizio della primavera araba: Tunisia


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La primavera arabahttps://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidine-ben-ali-225x300.jpeg 225w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 315w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 640w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 681w" data-sizes="auto" sizes="284px" srcset="https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidine-ben-ali.jpeg 749w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 225w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 315w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 640w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2021/04/zine-el-abidi... 681w" /> Zine El-Abidine Ben Ali, ex presidente della Tunisia dal 1987 al 2011.

L’inizio di questo periodo rivoluzionario fu il gesto di Mohamed Bouazizi, venditore ambulante tunisino che, il 17 dicembre 2010, si tolse la vita nella città di Sidi Bouzid; in segno di protesta verso i soprusi e gli abusi di potere da parte della polizia. Il suo gesto diede vita a manifestazioni contro il regime di Ben ‛Alī, ex presidente della Tunisia.

I manifestanti, dopo aver denunciato la crisi economica del governo tunisino, chiesero la democratizzazione del sistema politico.
In base a questi avvenimenti, il regime cominciò a crollare e, il 14 gennaio 2011, Ben ‛Alī fuggì con la sua famiglia in Arabia Saudita.
Con la fuga dell’ex presidente, il nuovo governo provvisorio ordinò l’amnistia per i prigionieri politici ed il riconoscimento dei partiti messi al bando dal precedente governo facendo sì che il partito dell’ex presidente, il Rassemblement constitutionnel démocratique, si sciogliesse nel mese di marzo dello stesso anno.

Venne successivamente legalizzato Ennahda, ovvero il partito islamista di stampo moderato legato ai Fratelli musulmani, bandito negli anni Novanta.
Il Nuovo Capo di Stato provvisorio fu il presidente della Camera Fouad Mebazaa.
Con questi avvenimenti cominciò un periodo di democratizzazione, il cui il ruolo decisivo era ricoperto da un comitato – costituito il 18 febbraio – chiamato Alta autorità per il raggiungimento degli obiettivi della Rivoluzione, della riforma politica e della transizione democratica. Tale comitato era rappresentato dai leader delle varie forze politiche ed esponenti della società civile.

Il compito del comitato era di valorizzare il dibattito politico in tutto il paese assistendo il governo in vista delle elezioni dell’Assemblea Costituente, previste dapprima per luglio e poi rimandate al 23 ottobre. Tale rinvio portò all’abbandono da parte di Ennahda e le critiche dei partiti di sinistra, accusato di voler rallentare la transizione.


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Nel periodo di maggio i giovani tunisini tornarono a protestare, non soddisfatti da questo rallentamento, intimoriti soprattutto per una rotta verso una deriva autoritaria. Contemporaneamente a queste proteste, la Costituente approvò la nuova legislazione elettorale che prevedeva un sistema di liste bloccate con la presenza di un candidato sia maschile e sia femminile. Il 23 ottobre ci fu un’affluenza del 90% degli elettori che si recavano alle urne sancendo il successo di Ennahda, ma anche il successo di partiti di natura laica tra cui il Congresso della Repubblica, guidato da uno dei leader storici dell’opposizione, Moncef Marzouki, presidente della Lega tunisina per i diritti umani.

Egitto

Nel contempo – il 25 gennaio 2011-, dopo una settimana dalla fuga di Ben ‛Alī, gli egiziani si riversarono nelle strade chiedendo le dimissioni del presidente Hosni Mubārak, in carica da trent’anni. I protagonisti di questa vicenda furono i giovani animati da sentimenti politici al di fuori del tradizionale partito: la sinistra radicale, gli operai, gli agricoltori e la fascia democratica della classe media. Il focolaio della questione era la grande corruzione a favore di coloro che si allearono col regime, la disoccupazione e la povertà.

Tra le varie date da ricordare vi sono: il 25 gennaio – chiamato anche Giorno della collera – quando migliaia di cittadini manifestarono nelle piazze del Cairo e il 28 gennaio, quando imponenti manifestazioni. bloccando la capitale e piazza Tahrir, divennero l’epicentro di tali contestazioni.


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Tra i protagonisti è importante ricordare i bloggers che, in tempo reale, promossero e coordinarono la rivolta informandosi a vicenda sulle vicende del loro paese.

Molti di loro, di natura egiziana, siriana e yemenita, persero la vita ma il loro gesto ha mostrato quanto sia potente il mondo del web. Anche se l’ausilio dei bloggers è stato di vitale importanza, soprattutto per alimentare dibattiti politici, i contestatori presenti in piazza decretarono il successo della rivoluzione, sia in Tunisia che in Egitto. Il 27 gennaio Mubarak ordinò di oscurare internet in tutto il paese, silenziando la rivolta, ma ciò non fermò i rivoltosi.
Anche i Fratelli musulmani – di stampo fondamentalista – presero parte alla rivolta sperando di assumere le redini dopo la caduta del presidente egiziano. Gennaio e febbraio furono i massimi momenti di gloria della manifestazione prima dello scoppio della guerra civile libica.

Le comunità internazionali appoggiarono i rivoltosi sostenendo la primavera araba tanto che, l’11 febbraio, Mubarak rinunciò al potere – ponendo fine alla rivolta – che passò nelle mani di Mohammed Hussein Tantawi, guida del Consiglio supremo delle Forze Armate. Tale scelta non fu casuale dato che la carriera militare del neo-presidente non era altro che un riflesso continuativo del passato. Con l’arresto del presidente Mubarak – nel mese di aprile – fu aperto un processo a suo carico. Fu accusato della morte di ottocento manifestanti, arricchimento illecito e corruzione.

Questo periodo portò all’innalzamento di tensioni interreligiose: a settembre l’attentato all’ambasciata israeliana al Cairo che provocò morti e feriti e, ad ottobre, il massacro dei cristiani copti da parte delle forze di polizia. Tali avvenimenti gettavano ombre sulle elezioni di novembre, vera prova della costruzione di un paese democratico.
Da qui nacquero anche le frustrazioni degli attivisti che accusavano i vertici militari di non voler abbandonare il controllo del paese, mentre i rapporti tra i Fratelli musulmani diventarono di natura più esplicita con l’esercito; il creare quindi un’alleanza di controllo del paese.


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Marocco

La protesta in Marocco cominciò il 20 febbraio 2011 quando migliaia di protestanti scesero in piazza chiedendo riforme per la democratizzazione del paese. In alcune città le manifestazioni si svolsero in maniera del tutto pacifica come a Rabat – capitale – mentre ad Al-Hoseyma gli scontri con la polizia provocarono cinque morti.

L’organizzazione delle proteste avvenne tramite Facebook organizzando inviti alle varie manifestazioni. Tra le varie riforme volute dal popolo, fu chiesta la limitazione del potere di Mohammed VI, dimissioni del governo e modifiche della carta costituzionale.

La svolta si ebbe il 7 marzo quando un consigliere di Mohammed VI ha un dialogo con cinque leader sindacali mettendo al corrente la popolazione che il sovrano sta decidendo per nuove riforme.


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Il 9 marzo, infine, il re annuncia alla nazione che ci saranno nuove riforme costituzionali aventi per oggetto il potere esecutivo rafforzato nelle mani del Governo e, inoltre, tali riforme dovranno essere approvate da un referendum. La rivolta terminerà ad aprile 2012.

Giordania

Il 14 gennaio 2011 cominciarono le proteste anche nel regno di Giordania. Le cause principali della rivolta furono la povertà, disoccupazione, fame, corruzione e dimissioni del Governo. Anche se ci furono promesse di fondi stanziati dal Primo Ministro Samir Rifa’, il re Abd Allah II di Giordania decise di rimuoverlo dal suo incarico assegnando il posto vacante a Marouf Bakhit, già Primo Ministro nel biennio 2005-2007.

Il governo Bakhit ebbe l’incarico di attuare nuove riforme per placare l’ira dei manifestanti e di migliorare la situazione socio-economica della popolazione ma i cortei non si fermarono, come avvenne nel centro di Amman, capitale della Giordania.


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Tra la folla di manifestanti, fondamentale fu la presenza della Fratellanza Musulmana che attaccarono la figura dell’ex primo ministro Samir Rifai, reo di aver attuato spese superflue.

Il 4 marzo, dopo la preghiera del venerdì, tremila persone scesero nella piazza di Amman per chiedere lo scioglimento della camera bassa e nuove riforme da parte del Governo.

Il 5 marzo, manifestanti provenienti soprattutto dal Fronte d’azione islamico scesero in piazza per richiedere riforme dopo che il primo ministro rifiutò una monarchia costituzionale, atta a limitare i poteri del sovrano.

Bahrein


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Successivamente, il Bahrein cercò di insorgere ma i manifestanti furono bloccati dall’intervento militare del Consiglio di cooperazione del Golfo, attirando l’attenzione del membro più influente: re Abdullah Bin Abdulaziz al Saud, re dell‘Arabia Saudita, di stampo tradizionalista-sunnita. La rivolta del Bahrein ebbe luogo, in maniera del tutto pacifica a Manama dove le forze di polizia la soppresse nel sangue. I protagonisti erano soprattutto bahreiniti sciiti che costituivano la maggioranza della popolazione in un paese governato da una minoranza sunnita.

Il timore nasce dall’ipotesi che gli sciiti del Bahrein potessero radicarsi anche tra gli sciiti sauditi che costituivano la maggior parte della popolazione della zona orientale: zone ricche di petrolio. A tal proposito, il 14 marzo un contingente di 1500 militari – maggiormente sauditi- partirono presso l’arcipelago del Bahrein applicando la legge marziale. Tra i vari segni di protesta, le donne cominciarono a guidare le automobili per poi essere puntualmente fermate dalle forze di polizia. Infatti, in Bahrein, la questione dei diritti civili assunse una forte importanza visto che alle donne non è permesso di votare, di guidare e, fino al 2001, la registrazione sui propri documenti era svolta dal padre o dal marito.

Sultanato dell’Oman

Nel Sultanato dell’Oman, il 17 gennaio 2011, i rivoltosi non hanno girato le spalle al regime ma hanno chiesto aumenti salariali, nuove riforme politiche e la destituzione di funzionari corrotti. Il 18 febbraio 2011 i manifestanti chiedevano a gran voce di sapere come erano utilizzati gli introiti derivati dalla vendita di petrolio. In questa fase iniziale, non ci furono scontri armati.


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Il 27 febbraio cominciarono gli scontri violenti. La polizia, a Sohar, spara sulla folla con proiettili di gomma e, contemporaneamente in altre città, i cittadini occuparono le piazze. Il 28 febbraio gli scontri si intensificano; la polizia utilizzò bastoni e proiettili di gomma durante le cariche e, sempre nella stessa giornata, centrali di polizia e sedi ministeriali furono date alle fiamme. Dopo ben due settimane di protesta, il 7 marzo 2011, il sultano Qaboos rimosse dodici ministri accontentando i manifestanti che però chiesero, allo stesso tempo, concretezza nei risultati.

La situazione libica durante la primavera araba

La primavera araba raggiunse le coste libiche approdando in Cirenaica, precisamente a Bengasi, il 16 febbraio 2011. A differenza del Bahrein, la ribellione non fu mai di stampo pacifista ed in Cirenaica cominciarono a sventolare i tricolori rossi, neri e verdi, simbolo del paese prima del rovesciamento monarchico nel 1969.
Da ribellione si passò presto ad insurrezione armata con l’appoggio di alcuni ufficiali e alcuni reparti dell’esercito. A marzo i rivoltosi conquistarono Brega, punto strategico per la presenza di impianti petroliferi, sede di più battaglie tra i rivoltosi e i fedeli di Gheddafi.

La Francia fu il primo paese a riconoscere l’autorità del Consiglio nazionale di transizione, ovvero l’organismo che controllava i territori in mano ai ribelli. Le varie pressioni da parte della Francia furono determinanti a giungere all’approvazione della risoluzione 1973 da parte del Consiglio di sicurezza dell’ONU: prendere qualsiasi iniziativa allo scopo di difendere i civili, creando una no-fly zone e rafforzando l’embargo sulle armi. Dopo i primi bombardamenti contro le forze governative, la Nato assunse il controllo delle operazioni aiutando i ribelli verso l’avanzata in Tripolitania. Tra i paesi europei che entrarono in guerra fu presente anche l’Italia, ma nel contempo, si contarono i morti e, nel mese di maggio, ci fu la conquista di Misurata.


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Nel mese di agosto le truppe ribelli, con l’aiuto delle tribù berbere, entrarono a Tripoli mentre le fazioni lealiste di Gheddafi, con l’aiuto di mercenari centrafricani, ripiegavano a Bani Walid e Sirte. A settembre ed ottobre le due città subirono duri bombardamenti, mettendo a dura prova la popolazione.
Sirte fu liberata il 20 ottobre e Gheddafi, catturato dopo che il convoglio sul quale era in fuga, fu colpito dagli elicotteri Nato. La sua morte, avvenuta nello stesso giorno, ebbe subito una massiccia copertura mediatica e il video della sua esecuzione girò per tutte le reti mondiali.

Con la morte di Gheddafi, la Libia visse un periodo in un periodo di stallo sociale ed economico: tale periodo nacque dalle debolezze del Cnt, l’incognita delle forze di matrice islamica, l’assenza di una società civile, la presenza di un’amministrazione centralizzata e il modello di tribù come unica istituzione ufficiale riconosciuta dalla società hanno fatto della Libia, successivamente, un paese senza Stato dove è stato difficile avviare la ricostruzione.

La primavera araba siriana

In Siria, invece, la primavera araba sbocciò a marzo a Daraa, città confinante con la Giordania. Venerdì 18 marzo, dopo la preghiera, migliaia di persone si riversarono nelle strade chiedendo la liberazione di alcuni ragazzi arrestati per aver appoggiato le rivolte tunisine ed egiziane. Il focolaio della protesta rimase Daraa per il mese marzo per poi espandersi anche nelle città di Hasakah, Latakia, Homs e Hama.


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Ciò che i rivoltosi chiedevano era la fine degli arresti arbitrari, la liberazione dei detenuti politici, l’abolizione dell’art. 8 della Costituzione che definisce il partito Baath come “guida dello Stato e della società“. Infatti l’articolo fu uno strumento fondamentale per il controllo del potere nel paese. Il Primo agosto, nelle strade di Hama, i rivoltosi furono presi a cannonate, mentre a Damasco vennero attaccati con le armi.

L’esercito e i Mukhabarat (servizi segreti) costituirono una linea di difesa della dittatura siriana che ha sempre saputo alimentare le divisioni sociali, tribali e religiose per evitare un’ipotetica alleanza con gli oppositori di regime.
L‘Unione Europea ha dimostrato molte reticenze verso la repressione siriana -una delle più sanguinose- ed ha votato per sanzioni economiche che però non sono mai arrivate da parte delle Nazioni Unite.

Yemen

Le contestazioni in terra yemenita cominciarono il 27 gennaio 2011 con la richiesta, da parte del popolo, di dimissioni del presidente ‛Abdallāh Ṣāliḥ. Il motivo principale della contestazione fu soprattutto la povertà e la fame cronica che la maggior parte degli yemeniti dovevano patire. Infatti il 40% degli yemeniti viveva con due dollari giornalieri. Il presidente ‛Abdallāh Ṣāliḥ fu ferito il 3 giugno da un’esplosione che distrusse metà della sua residenza e ciò lo costrinse a seguire un programma riabilitativo in Arabia Saudita facendo ritorno nel suo paese nel mese di settembre. Perderà l’appoggio sia dalla Casa Bianca, perché ritenuto incapace di contenere la crescita di al-Qaeda, sia dall’esercito che aderirà alla guerra civile contro il governo. La rivolta terminerà il 27 febbraio 2012.


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Gli Stati protagonisti dopo la primavera araba

A distanza di mesi dallo scoppio della primavera araba, lo scenario mutò drasticamente. Massiccia fu la partecipazione giovanile, grazie anche all’inaspettato ruolo dei social network. Benché in qualche modo si possa dire che ci sia stata una vittoria “di piazza” in Tunisia e in Egitto, in un paese ben più lacerato da conflitti e tensioni interne, come la Libia, si è profilato uno scenario da guerra civile, portando a un tipo di instabilità presente ancora oggi. In altri luoghi, invece, abbiamo visto la forza propulsiva popolare arenarsi di fronte alla capacità di resistenza dei regimi, come accaduto in Siria e Yemen.
Il ruolo dell’esercito si è declinato in vari modi a seconda del contesto; in Egitto i vertici seppero cavalcare le ondata della primavera araba e, per questo, occuparono una posizione di forza. In Libia e nello Yemen l’esercito si scisse tra coloro che giurarono fedeltà al regime e tra coloro che diedero manforte alla rivolta. In Siria, invece, tutte le forze armate fecero barriera attorno Assad senza far penetrare uno spiraglio di cambiamento.
In Libia la morte di Gheddafi fece sprofondare il paese in un buio periodo di stallo, infatti con la morte del colonnello l’auspicato processo di pace del paese, che avrebbe dovuto ricomporre le varie fazioni antagoniste, si è rivelato in realtà l’inizio di una lunga fase di instabilità politica: il conflitto tra le fazioni che si sono create, con l’antagonismo tra Cirenaica e Tripolitania e la presenza delle forze terroristiche di matrice islamica, ha lasciato il fianco del paese scoperto, con un maggiore spazio di manovre neocolonialiste della Gran Bretagna e della Francia.
L’Arabia Saudita, nell’attuale scenario geopolitico, sembra ricoprire un ruolo di arbitro regionale, al fine di rinsaldare l’alleanza con gli Stati Uniti, visto lo spettro dell’Iran che aleggia sul fronte arabo sunnita.

Sitografia sulla primavera araba

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