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Il canto XXI dell’Odissea: la gara dell’arco

Penelope

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Il canto XXI dell’Odissea segna uno dei momenti finali nella straordinaria storia di Ulisse, re di Itaca. L’eroe greco, dopo il suo lungo periodo di lontananza, è finalmente tornato in patria. Qui si trova di fronte alla necessità di liberare il proprio palazzo dai principi che da tempo aspiravano alla mano della regina Penelope. Progetta così la sua vendetta, che comincia con una gara: la gara dell’arco.

Ulisse: cosa succede nei canti precedenti dell’Odissea


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Ulisse ha dormito nel palazzo, su invito di Telemaco che aveva già avuto modo di incontrarlo e riconoscerlo. Nella notte, l’eroe sente la moglie piangere e invoca Zeus. Il re degli dei gli invia ben due presagi: un tuono, e la preghiera di una serva affinché la prossima cena possa essere l’ultima per i Proci.

L’indomani ha inizio il banchetto che terminerà con la strage dei principi. Non mancano i segnali divini che preannunciano un’imminente disgrazia: Atena, per esempio, provoca delle risate incontrollabili ai Proci che stavano mangiando carni insanguinate, fino a farli piangere. Teoclimeno, uno dei presenti al banchetto, coglie il presagio e se ne va, avvertendo per l’ultima volta gli ospiti della loro morte imminente. Telemaco, nel frattempo, continua a guardare suo padre, attendendo il momento perfetto per dare inizio alla vendetta.

L’inizio del canto XXI dell’Odissea: l’arco di Ulisse

Penelope, ispirata dalla dea Atena, decide di indire una competizione per la sua mano. Per farlo, si reca, assieme alle sue ancelle, a prendere l’arco del marito.


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Ulisse aveva ricevuto quest’arma da Ifito, prima che quest’ultimo venisse ucciso dal figlio di Zeus, Eracle, in preda a uno dei suoi attacchi di follia. Per onorare e ricordare il suo amico di gioventù, il sovrano di Itaca non utilizzava l’arco in guerra, ma solamente nella sua terra. Nel recuperare l’arma, Penelope non può fare a meno di piangere, pensando all’amato marito. Una volta ripresasi, torna nel salone e fa la sua proposta ai pretendenti:

“V’offrirò il grande arco del divino Odisseo: chi più facilmente l’arco tenderà tra le mani, e con la freccia traverserà tutte le dodici scuri, io lo seguirò, lasciando questo palazzo maritale, bellissimo, tanto pieno di beni, che sempre ricorderò, penso, anche in sogno”.

L’inizio della gara dell’arco nell’Odissea e il primo rivelamento di Ulisse

Ha inizio così, nel canto XXI dell’Odissea, la competizione tra i pretendenti per la mano di Penelope. A dare il via alle danze, in realtà, è proprio Telemaco, figlio del re. Il giovane spera di riuscire a tendere l’arco del padre, per poter liberare la madre dalla sua promessa di sposarsi. A fermarlo con uno sguardo, però, è lo stesso Ulisse, che è nel salone sotto le mentite spoglie di mendicante.


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Canto XXI Odisseahttps://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2018/07/odissea425-300x242.jpg 300w" data-sizes="auto" sizes="400px" srcset="https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2018/07/odissea425.jpg 400w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2018/07/odissea425-30... 300w" /> Irene Papas come Penelope nella miniserie del 1968

Il primo principe a prendere in mano l’arco è Leode. Temendo di non riuscire a tendere l’arco, e divenire così oggetto di derisione, egli si tira indietro e dichiara di preferire fare la corte a un’altra donna achea. Antinoo, il pretendente più in vista tra tutti, lo insulta per la sua decisione; chiede al capraio Melanzio del grasso per rendere l’arco più flessibile e invita gli altri principi a provare. I giovani si susseguono nella prova, uno dopo l’altro, ma nessuno riesce nell’intento.

Ulisse, nel frattempo, esce assieme a Eumeo e Filezio, i suoi due guardiani del bestiame. Accertatosi della loro lealtà, egli finalmente si rivela, mostrando ai servi una cicatrice che gli aveva procurato un animale sul monte Parnaso. Eumeo e Filezio, una volta riconosciuto il loro re, lo accolgono e lo baciano piangendo. Ulisse ordina loro di sbarrare le porte del salone, una volta che saranno rientrati, e di portargli l’arco: potrà cominciare, così, la sua vendetta.

Il mito della Centauromachia nel canto XXI dell’Odissea


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Antinoo, dal momento che nemmeno il poderoso Eurimaco riesce a tendere l’arco del re di Itaca, propone di riprovare il giorno successivo, dopo aver offerto delle libagioni al dio Apollo. Interviene però Ulisse che, fingendosi ancora mendicante, chiede di provare: è curioso di verificare se sia ancora in possesso delle forze di un tempo.

Antinoo, che teme di poter risultare perdente di fronte a un povero vecchio, gli risponde duramente, accusandolo di essere ubriaco. Il principe fa riferimento alla vicenda mitica della lotta tra i Lapiti e i Centauri, scatenata da Euritione. Il centauro, infatti, ubriacatosi alla festa di nozze di Piritoo, cercò di violentare la novella sposa, Deidamia, scatenando così l’ira del popolo lapita. Questa vicenda, nota come “Centauromachia”, era rappresentata nel fregio del Partenone ateniese.

“Il vino anche un centauro, il glorioso Euritione, fece impazzire dentro la sala di Piritoo magnanimo, tra i Lapiti; e quando la mente sua fu travolta dal vino, furibondo commise delitti in casa di Piritoo. (…) Di qui fra i Centauri e gli eroi guerra nacque, ma a se stesso per primo provocò pene, ubriacandosi”.

La società della vergogna


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Eurimaco, nel spiegare le motivazioni del rifiuto di Antinoo a far competere anche il mendicante, fornisce un interessante spunto di riflessione a proposito della società greca arcaica in cui il poema si inserisce.

“Non pensiamo che quest’uomo ti sposi (Penelope); non è possibile. Ma temiamo i discorsi di uomini e donne, che un vigliacco qualsiasi tra gli Achei debba dire: ‘Principi ben più deboli la sposa d’un uomo perfetto pretendono, e l’arco polito di lui non san tendere; un mendicante qualunque, un giramondo che arriva, agevolmente tirò la cocca e traversò il ferro!’ Così diranno, e vergogna per noi sarà questo”.

È proprio la parola “vergogna” la chiave di lettura per questo contesto culturale. Lo studioso di antichità Eric Doods, a tal proposito, si riferiva alla società omerica come “società della vergogna“. Gli eroi che popolano i poemi omerici, infatti, fondano la propria gloria sull’opinione altrui. Per questo devono adeguare il proprio comportamento a dei precisi modelli, condivisi dalla società e perpetuati dalle generazioni passate. Non possono permettersi scelte egoistiche, in questo senso, ma devono obbedire a quei canoni di comportamento che sono previsti per guerrieri del loro calibro.

Sono questi modelli, codificati a livello collettivo, a guidare ogni singola azione dei mitici guerrieri omerici. Lo stesso Ettore riprende questi concetti, in un dialogo con la moglie Andromaca (Iliade, VI, vv. 441-443):


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“Donna, anch’io, sì, penso a tutto questo; ma ho troppo rossore dei Teucri, delle Troiane lungo peplo, se resto come un vile lontano dalla guerra”.

Ulisse prende in mano l’arco: la conclusione del canto XXI dell’Odissea

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Nonostante l’opposizione dei pretendenti, Penelope ordina che venga dato a Ulisse l’arco, perché anche lui possa provare. Certamente il vecchio mendicante non potrà ambire alla mano della regina, ma, qualora riuscisse nel suo intento, otterrà doni e ricchezze.

Telemaco, che conosce il piano del padre, ordina alla madre di ritirarsi nelle sue stanze, affinché non assista alla strage che sta per essere compiuta da Ulisse. Filezio ordina alla nutrice Euriclea di chiudere tutte le porte del salone, e di non fare assolutamente nulla, nonostante le urla dei principi. Eumeo, invece, porta l’arco a Ulisse. Il re, con grande maestria, prepara la sua arma, mentre il sovrano degli dei, Zeus, gli invia un segno favorevole.


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Canto XXI Odisseahttps://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2015/05/politeismo-greco-192x300.jpg 192w" data-sizes="auto" sizes="437px" srcset="https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2015/05/politeismo-greco.jpg 600w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2015/05/politeismo-gr... 192w" /> Zeus, il sovrano degli dei

“E Zeus tuonò forte per dare il segno; e godette Odisseo costante, glorioso che gli mandasse un segno il figlio di Crono pensiero complesso. Prese la freccia rapida (…); l’arco pel mezzo afferrò, tirò nervo e cocca, dal suo posto, seduto sul seggio, e lasciò andare la freccia mirando dritto: non fallì di tutte le scuri, l’anello alto, ma li traversò e ne uscì fuori il dardo greve di bronzo”.

Dopo aver vinto la prova, Ulisse invita Telemaco a far preparare la cena agli Achei e gli fa, con la fronte, il segno convenuto. Telemaco si prepara, e si schiera accanto del padre, “armato di bronzo accecante”. Termina così il canto XXI dell’Odissea: padre e figlio, fianco a fianco, si preparano a vendicarsi dei principi che per anni avevano continuato a disonorare la casa del divino Ulisse.

Maria Teresa Caccin

Per approfondire


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Bibliografia

  • Omero, Odissea, a cura di R. Calzecchi Onesti, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1968
  • Omero, Iliade, a cura di R. Calzecchi Onesti, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1968
  • Graves R., I miti greci, Longanesi, Milano, 2014

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