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“O posi nuda per me, o non passi l'esame”. Storie di ordinaria discriminazione di genere nei beni culturali


 È alto il numero dei casi di discriminazioni di genere nel settore dei beni culturali in Italia. Il collettivo “Mi riconosci?” sta mappando il fenomeno.

C’è la studentessa di un’importante Accademia di Belle Arti che riceve dal suo docente la proposta di posare nuda per una pubblicazione. In seguito ai rifiuti, il professore la mette di fronte all’eventualità di non poter superare il suo esame: la ragazza non riceve il sostegno del direttore e decide infine di cambiare istituto. C’è poi, sempre in ambito accademico, il docente che sottopone le sue studentesse di sesso femminile a continue discriminazioni, ritenendo che le donne manchino di cultura e siano meno intelligenti degli uomini, senza aver timore di esternare questo suo malsano pensiero durante le lezioni. E c’è poi la dipendente di una fondazione in Lombardia che viene abbracciata e baciata da un suo superiore, ma non può denunciare il fatto per assenza di testimoni e per timore di ripercussioni: finisce per perdere il lavoro a causa di questo episodio che peraltro, racconta, l’ha profondamente segnata e ha modificato i suoi comportamenti e il modo di relazionarsi con gli altri.

Le tre storie appena riportate sono drammaticamente vere: sono storie di ordinaria discriminazione di genere nell’ambito dei beni culturali, e si tratta di un fenomeno molto più diffuso di quanto non si possa credere. Un quadro fatto di licenziamenti a seguito di molestie subite e rifiutate, ricatti, abusi verbali e fisici: è quanto emerge da una ricerca condotta dal collettivo Mi riconosci?, che si occupa di lavoro nel settore del patrimonio culturale e che ha raccolto quasi un migliaio (877 per la precisione) di testimonianze e opinioni per conoscere a fondo la portata del fenomeno. Un lavoro durato due mesi, che ha coinvolto un campione per lo più femminile (l’87% delle testimonianze raccolte) in tutti i settori dei beni culturali: musei, archivi, fondazioni, accademie, università, biblioteche, restauro, siti archeologici, musica e molto altro. “Tra gli intervistati”, sottolinea Benedetta Lisotti, attivista del gruppo Mi riconosci, “quasi il 60% pensa che nel proprio settore le opportunità di carriera siano condizionate dal genere, mentre oltre il 30% ha dichiarato di aver subito almeno una volta molestie sessuali, verbali e/o fisiche. Infine più del 55% degli intervistati ritiene di aver assistito ad atteggiamenti discriminatorî o sessisti sul luogo di lavoro o formazione. Tali avvenimenti in più dell’85% dei casi non hanno comportato conseguenze per le persone che le hanno commesse”. Dati tanto più gravi se si pensa che in Italia, nei beni culturali, la forza lavoro è composta da donne per una percentuale che si aggira attorno al 70%.

Attiviste del collettivo Mi riconosci?
Attiviste del collettivo Mi riconosci?

Si va dalle semplici battute, spesso pesanti e sgradevoli, fino ai tentativi di approccio più o meno espliciti, che talvolta si trasformano in aggressioni fisiche. Per non parlare delle discriminazioni nei confronti delle donne in maternità, una questione che affligge pressoché tutti i settori lavorativi. Problemi che si aggiungono a un contesto fatto spesso di precariato e negazione dei più basilari diritti. “Quando abbiamo deciso di lanciare il questionario”, rimarca Ester Lunardon, attivista di Mi riconosci? tra le promotrici dell’inchiesta, “sapevamo che un problema di genere nel nostro settore esisteva. Precariato e sfruttamento, che prosperano nel nostro settore, creano terreno fertile per le discriminazioni di genere. Questa situazione appare chiara per esperienza personale, diretta o indiretta, ma rimane troppo spesso difficile da misurare, da descrivere con numeri, e quindi da denunciare. Abbiamo lanciato il questionario per raccogliere dati e testimonianze, ma non ci aspettavamo così tante e incontrovertibili risposte. Sono dati gravissimi, e storie che meritano attenzione. Questi risultati dimostrano che esiste, nel settore culturale, un serissimo problema legato al genere, che troppo spesso si è finora evitato di affrontare e voler percepire come tale”.

Il problema, insomma, è considerevole ed è evidente, e opporsi alle ingiustizie non è semplice: di solito, le donne che subiscono molestie sono sottoposte a meccanismi riciattatorî che accentuano la condizione di vulnerabilità delle vittime e sono fonte di disagio pesantissimo (c’è chi ha visto cambiare in peggio le proprie condizioni di vita, chi ha perso il lavoro). E sarebbe errato pensare che questo problema riguardi soltanto le donne: è un tema che interessa tutti. “Il sondaggio”, spiega Lisotti, “è rivolto a tutte e tutti coloro che sono coinvolti nel settore, senza alcuna distinzione. Non è infatti un problema legato all’individuo, ma ai rapporti lavorativi che si trasformano in rapporti di potere e dinamiche di prevaricazione. Il messaggio che il collettivo Mi riconosci vuole lanciare alla comunità è di denunciare, di non rimanere passive e passivi, di parlarne con altre persone. È necessario creare una coscienza collettiva che riconosca e si opponga a questi fenomeni perché il problema è soprattutto culturale”.

Pieter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni (1609-1610; olio su tavola, 198 x 218 cm; Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando)
Pieter Paul Rubens, Susanna e i vecchioni (1609-1610; olio su tavola, 198 x 218 cm; Madrid, Real Academia de Bellas Artes de San Fernando)

Fortunatamente, sembra che si stia diffondendo una sempre più alta percezione del problema. Nel novembre 2017, la ricercatrice statunitense Karen Kelsky diffuse un questionario online sulle molestie sessuali in ambito accademico che fece parecchio scalpore diventando anche oggetto d’attenzione di molti dei principali quotidiani americani. “Le molestie sessuali”, scriveva Kelsky sul suo blog, “sono in aumento in ambito accademico come in ogni altro settore. Le gerarchie consolidate del mondo accademico, le dimensioni contenute di molti ambiti di ricerca, la preponderanza dei maschi in quasi tutti i settori, la cultura della collegialità (si legga: dell’evasività e della simulazione), e la disperata dipendenza degli studiosi giovani dalle buone referenze per poter avanzare nella carriera, creano le condizioni per far fiorire impunemente gli abusi, sessuali ma anche di altri tipi”. Le storie raccolte da Kelsky sono tutte consultabili online. E ce ne sono di agghiaccianti, con anche episodî di stupro, sviluppo di malattie depressive, tentativi di suicidio. In Spagna, il Colegio de Doctores y Licenciados en Filosofía y Letras y en Ciencias di Madrid ha condotto, assieme al CRAS - Centro Revolucionario de Arqueología Social, un’inchiesta sulle molestie sessuali in ambito archeologico, e lo stesso sta facendo in queste settimane la Confederazione Italiana Archeologi.

I risultati della ricerca del collettivo Mi riconosci? saranno presentati giovedì 13 giugno, alle 11, presso la Casa Internazionale delle Donne a Roma, in un incontro pubblico rivolto alla stampa e alla cittadinanza. Saranno presenti le attiviste di Non una di meno, Cristina Anghinetti del consiglio direttivo di Archeoimprese, Angela Abbadessa della Confederazione Italiana Archeologi, Rita Paris, presidentessa dell’Associazione Bianchi Bandinelli, e altri ospiti che verranno comunicati a breve. L’obiettivo dello studio è anche diffondere una sempre maggiore consapevolezza del problema. “È importante prima di tutto prenderne coscienza”, conclude Lisotti, intervenendo anche su ciò che si potrebbe fare per ridurre o arginare il fenomeno. “Dalle risposte che abbiamo ricevuto emerge che molte persone non sapevano come reagire e avevano paura delle possibili ripercussioni, per cui bisognerebbe conoscere meglio quali sono i diritti e le tutele a disposizione, così come quando e in quali casi è possibile sporgere denuncia. L’ideale sarebbe incrementare gli sportelli d’ascolto e di consulenza legale, nonché diffondere una cultura di rispetto e parità sul luogo del lavoro e della formazione”.

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