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cultură şi spiritualitate

Autore: Giuseppe Nifosì  Pubblicato in Il primo Novecento 

https://www.artesvelata.it/mondrian-de-stijl-neoplasticismo/

In Europa, durante la Prima guerra mondiale, il centro della creatività artistica si spostò dalla Francia e dalla Germania ai paesi rimasti neutrali. A Leida, in Olanda, un gruppo di pittori, scultori, grafici e architetti, tra cui Théo Van Doesburg (1883-1931), Piet Mondrian (1872-1944), Pieter Oud, Gerrit Rietveld Gherrit Ritfeld e Cornelis Van Eesteren, fondarono, nel 1917, il movimento De Stijl, che prese il nome dalla rivista omonima «De Stijl» (1917-32), in olandese ‘Lo stile’, fondata come organo ufficiale di divulgazione.

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Il gruppo, che raccolse in breve tempo le migliori energie pittoriche europee orientate verso l’Astrattismo, promosse un nuovo rigoroso linguaggio astratto, definito Neoplasticismo, fondato sull’uso esclusivo di rette in combinazione con il bianco, il nero e i colori primari.


Piet Mondrian, Composizione con piani di colore 1, 1917. Guazzo su carta, 48 x 60 cm. Collezione privata.

Una ricerca di ordine

Proposito degli artisti neoplastici fu quello di definire un linguaggio comune a tutte le arti e di contribuire al rinnovamento dell’arte e della società. Senza dubbio, il vocabolario rigorosamente formalista del movimento rifletteva un acuto bisogno di ordine, in un mondo caotico sconvolto dall’irrazionalità della guerra. Il Neoplasticismo si oppose, infatti, a qualsiasi forma di individualità espressiva e propose un’arte quanto più possibile astratta, nel senso che non doveva rappresentare proprio nulla, né la natura, né la realtà, né i sentimenti dell’artista: l’arte si identificava unicamente con sé stessa.

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«Quando il pubblico è in ritardo rispetto all’arte», leggiamo nel primo numero della rivista «De Stijl», «è compito degli uomini di mestiere risvegliare nei profani il sentimento del bello. L’artista […] ha una doppia missione da compiere. Innanzi tutto, produrre opere d’arte plasticamente pure; poi rendere il pubblico disponibile a quest’arte pura». L’arte neoplastica, insomma, nacque con un dichiarato intento educativo, come uno strumento che avrebbe potuto contribuire a migliorare il mondo.


Piet Mondrian, Composizione numero 3 con scatole colorate, 1917. Olio su tela, 48 x 61 cm. L’Aia, Kunstmuseum Den Haag.

Blaue Reiter

A differenza del gruppo espressionista tedesco Blaue Reiter, o Cavaliere azzurro, che nei suoi pochi anni di attività, guidato da Kandinskij, sostenne l’Astrattismo degli impulsi lirici, guidato da un’ispirazione romantica (intesa come effusione dello spirito), la pittura neoplastica del gruppo De Stijl si caratterizzò per il rigore intellettuale ed il ricorso alla regola ferrea della geometria, necessaria a superare il fluttuare delle passioni, dei turbamenti e delle incertezze sentimentali. Tra queste due posizioni, che in fondo rappresentano le tendenze fondamentali dell’Astrattismo novecentesco, cogliamo una differenza molto profonda: nella prima pittura di Kandinskij emerge una ripulsa (chiaramente espressionistica) del Positivismo; l’arte neoplastica invece, ispirata alla perfezione delle leggi matematiche, richiama costantemente lo scientismo.


Piet Mondrian, Composizione con grigio e ocra, 1918. Olio su tela, 80,2 x 49,9 cm. Houston, The Museum of Fine Art.

Furono proprio le regole rigidissime che gli artisti di De Stijl s’erano imposti, a causare, nel 1924, la dissoluzione del gruppo. Mondrian, il primo ad abbandonare il movimento che pure aveva contribuito a fondare, non accettò la deviazione stilistica nell’arte dell’amico Van Doesburg, che si era dimostrato, a suo parere, troppo sensibile all’influenza delle Avanguardie russe. Van Doesburg, infatti, aveva inserito nei suoi progetti le diagonali: elementi dinamici che spezzavano l’equilibrio delle composizioni e introducevano una marcata componente ritmica.  La rivista, comunque, continuò le sue pubblicazioni sino al 1932.


Théo Van Doesburg, Controcomposizione XIII, 1925-26. Olio su tela, 50 x 50 cm. Venezia, Collezione Peggy Guggenheim.

L’astrattismo di Mondrian

Piet Mondrian esordì come pittore figurativo accostandosi con interesse prima alla poetica espressionista e poi a quella cubista. Tra i fondatori di De Stijl, egli aderì al Neoplasticismo sin dal 1917, con le sue prime Composizioni totalmente prive di riferimenti al reale e sostanzialmente composte da rettangoli colorati. Fu, tuttavia, a partire dal 1920 che, attraverso i suoi articoli (raccolti in seguito nel volume Il Neoplasticismo, pubblicato proprio nel 1920), ricercò una giustificazione teorica alla sua pittura. In questi scritti, egli propose un nuovo linguaggio artistico rigorosamente intellettuale, capace di dominare le forze ostili e le vicende oscure dell’esistenza e, nel contempo, di raggiungere l’obiettivo di una superiore e universale armonia.


Piet Mondrian fotografato nel suo studio.

Mondrian valutava indispensabile l’abolizione di ogni modalità artistica nella quale si potesse manifestare facilmente un dato soggettivo, individualistico, sentimentale o perfino passionale. Ritenne dunque necessaria l’eliminazione totale delle linee curve e consentì al Neoplasticismo la sola misura stilistica delle rette verticali e orizzontali. Allo stesso modo, respinse l’uso della “pennellata emozionale”, il ricorso a qualunque segno che potesse risolversi in un’immediata espressione del colore sulla tela. Solo il colore puro, piatto, campito in superfici unitarie poteva preservare la pittura da qualsiasi approssimazione emotiva.


Piet Mondrian, Composizione con rosso, nero, giallo, blu e grigio, 1921. Olio su tela, 80 x 50 cm. L’Aia, Kunstmuseum Den Haag.

Composizione con rosso, giallo e blu

Abbandonò, dunque, ogni forma decorativa, reputandola superflua, e adottò composizioni basate esclusivamente sul rapporto di linee ortogonali e sull’adozione di tre colori primari (il rosso, il giallo e il blu) che contrastavano con i non-colori (ossia il bianco, il grigio e il nero). Composizione con rosso, giallo e blu, del 1921, presenta, per esempio, la tipica griglia di ortogonali nere che dividono la tela in rettangoli, alcuni dei quali sono campiti con i colori primari. Le coordinate verticali e orizzontali risolvono l’intera opera in una proporzione geometrica.


Piet Mondrian, Composizione con rosso, giallo e blu, 1921. Olio su tela. L’Aja, Gemeentemuseum.

Quadro I

Anche Quadro I, capolavoro di Mondrian del 1921, è costituito da una serie di linee nere ortogonali che formano undici scomparti rettangolari e impediscono ai colori di sconfinare, di influenzarsi l’uno con l’altro. Sei di questi rettangoli presentano altrettante impercettibili variazioni del bianco: da un bianco più caldo (ottenuto mescolandolo con po’ di giallo e di rosso) a uno più freddo (in quanto al bianco sono stati uniti l’azzurro e il verde).

Sono diverse qualità di colore che simboleggiano variazioni di quantità di luce ridotte. Sulla (ideale) diagonale ascendente, da sinistra a destra, si trovano un piccolo rettangolo giallo, che è un colore caldo, e un grande rettangolo rosso, anch’esso caldo. Agli estremi della (ideale) diagonale discendente, invece, si trovano un piccolo rettangolo nero, cioè un non-colore, e un piccolo rettangolo blu, che è un colore freddo e spirituale.

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In quest’opera, come nelle altre di Mondrian, i rapporti cromatici simboleggiano la tensione o l’equilibrio tra forze spirituali, rappresentate dai colori, e risultano svuotati da qualunque riferimento naturalistico. L’astrazione si deve ottenere attraverso un accanito processo di spersonalizzazione, di liberazione dagli stimoli individuali e si deve esplicare solo in uno studiato equilibrio tra quantità spaziali e qualità cromatiche.


Piet Mondrian, Quadro I, 1921. Olio su tela. Basilea, Collezione Müller-Widmann.

Un nuovo classicismo

La pittura di Mondrian opera, insomma, attraverso nozioni elementari: la linea, il piano, i colori fondamentali. Per questo tutti i quadri dipinti dall’artista fra il 1920 e il 1940 si somigliano. È frequente il predominio del bianco (che simboleggia la luce) e quasi costante la presenza del nero (inteso come non-luce). Se il risultato, in termini di valori, è sempre lo stesso, ogni quadro ha, tuttavia, una diversa forza comunicativa, essendo legato ad una situazione percettiva diversa.

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È importante chiarire che quella di Mondrian fu un’operazione di tipo estetico ed etico insieme. L’artista volle sviluppare una nuova idea di bellezza, che fosse pura, assoluta, non contaminata dagli individualismi, dagli esili e precari sentimenti dei singoli. Una bellezza universale, dunque, astorica, transculturale, legata a forme (quelle geometriche) che tutti potevano riconoscere e comprendere. Una bellezza, insomma, oggettiva e razionale, creata attraverso il rigore di un atto pensato, e che poteva diventare il simbolo di una società rigenerata, artefice, nel mondo, della medesima armonia.

Una nuova forma di classicismo

Per quanto strano possa sembrare, Mondrian ricercava, a suo modo, una nuova forma di classicismo. I suoi quadri sono ben lontani dal voler presentare insiemi di forme geometriche esteticamente gradevoli: essi, al contrario, aspirano a creare immagini di perfezione in cui il bello e il bene possano coincidere identificandosi in una realizzazione unitaria, come un tempo avveniva con i templi greci.


Piet Mondrian, Composizione II, 1929. Olio su tela. Belgrado, National Museum.

Già gli Impressionisti e i Cubisti si erano serviti dei colori fondamentali ma la loro pittura, secondo Mondrian, aveva un carattere troppo empirico. Egli aspirava, invece, ad un’arte che avesse il rigore e la dignità della scienza, voleva trasformare la superficie empirica del quadro in un’entità matematica. I valori cromatici non devono istituire rapporti di forza ma solo relazioni metriche e proporzionali che solo la mente (e non i sensi) dev’essere in grado di valutare. L’artista, infatti, non ha alcun diritto d’influenzare lo spettatore, né emotivamente né sentimentalmente.


Piet Mondrian, Composizione con giallo, blu e rosso, 1937-39 ca. Olio su tela, 62,5 x 72,7 cm. Londra, Tate Modern.

I quadri americani

Nel 1940, la minaccia della Seconda guerra mondiale convinse Mondrian a lasciare l’Europa e a trasferirsi a New York, città frenetica e ricca di stimoli. Qui, il suo stile subì una significativa evoluzione. Mondrian sostituì la riga nera con fasce composte da piccoli rettangoli di colore, capaci di conferire un ritmo dinamico alle sue opere, che alludono ai rumori e alle velocità delle metropoli statunitensi. I titoli, come nel caso di Broadway Boogie Woogie, del 1942-43, rimandano invece alla vitalità della musica americana di quegli anni. Il boogie woogie era, difatti, uno stile pianistico del blues affermatosi negli Stati Uniti negli anni precedenti, caratterizzato da una linea ostinata di basso e dalla ripetizione di frasi in variazione.


Piet Mondrian, Broadway Boogie Woogie, 1942-43. Olio su tela, 1,27 x 1,27 m. New York, The Museum of Modern Art.

I due “dipinti americani” di Mondrian, questo e Victory Boogie Woogie (rimasto incompiuto per la morte improvvisa del pittore), sono così luminosi, vivaci e ottimisti da costituire una vera e propria rivoluzione nel percorso dell’artista olandese, che per certi versi parve rinunciare alla sua proverbiale intransigenza artistica (che lo aveva portato a litigare con Van Doesburg) e perfino sconfessare, almeno in parte, l’assoluto rigore matematico del suo percorso precedente. In Victory Boogie Woogie, peraltro, le tipiche direttrici ortogonali di Mondrian, verticali e orizzontali, si distribuiscono in un quadrato appeso per un angolo, quindi in un rombo.


Piet Mondrian, Victory Boogie Woogie, 1943-1944. Incompiuto. Olio e frammenti di carta su tela, 127 x 122 cm. L’Aia, Kunstmuseum Den Haag.

La Sedia rosso-blu di Rietveld

Il Neoplasticismo non si caratterizzò solo come linguaggio pittorico; i componenti del gruppo, fra cui si contavano anche alcuni architetti, ambirono infatti a definire un linguaggio comune a tutte le arti. La loro idea fondamentale di accostare gli elementi bidimensionali secondo un senso nuovo dei rapporti reciproci poteva essere applicata anche all’architettura e perfino agli arredi, in modo da produrre una “nuova plasticità”. Gerrit Rietveld (1888-1964), architetto olandese legato al gruppo De Stijl dal 1918 al 1931, si dimostrò il più fedele alle premesse teoriche e al rigorismo formale del movimento.

Dal suo laboratorio, aperto a Utrecht nel 1911 e specializzato nella produzione di mobili, proviene l’elemento di arredo forse più celebre e caratteristico del Novecento: la Sedia rosso-blu, del 1918, apertamente ispirata alle opere di Mondrian. Questa sedia-oggetto considerata come un simbolo della semplificazione assoluta della forma, segna un momento di sintesi estrema tra architettura, pittura e arte del mobile. Come è stato osservato, l’aspetto formale indusse l’architetto a dimenticare i criteri di praticità necessari per un oggetto d’uso comune. In altre parole, la Sedia rosso-blu, pur essendo diventata un’icona dell’arredo moderno, non è realmente utilizzabile, mantiene i tipici caratteri sperimentali dell’oggetto-scultura e ha, più che altro, uno straordinario valore artistico e dimostrativo.


Gerrit Thomas Rietveld, Sedia rosso-blu, 1918. Legno dipinto. Amsterdam, Stedelijk Museum.

Mondrian e la moda

Nel 1965, il grande stilista francese Yves Saint Laurent (1936-2008) decise di rendere omaggio a Mondrian disegnando una collezione Autunno Inverno a lui dedicata. Produsse infatti una serie di abiti femminili da cocktail tagliati sopra il ginocchio, privi di colletto e di maniche, riportando su di essi le tipiche composizioni a linee nere e rettangoli colorati del grande maestro olandese. Gli abiti erano in lana, con le diverse parti colorate cucite con estrema precisione, in modo da rendere le cuciture invisibili.

Il peso della materia assicurava una caduta perfetta, a piombo, del vestito, in modo da ottenere l’effetto di un dipinto letteralmente indossato. Agli abiti erano abbinate delle scarpe disegnate dallo stesso Saint Laurent (poi realizzate dallo stilista Roger Vivier), ossia delle décolleté nere decorate da una grande fibbia quadrata in metallo dorato o argentato. Alcuni modelli prevedevano anche piccoli cappelli a forma di palla e dipinti a colori primari. Come accessori, Saint Laurent realizzò un paio di orecchini bicolore dalle forme geometriche che richiamano l’arte astratta.


Yves Saint Laurent, un modello della Collezione Mondrian, Autunno Inverno 1965.

Nonostante alcune polemiche (secondo un giornalista del New York Times, Saint Laurent aveva copiato una sarta francese che aveva sperimentato questa grafica già alcuni anni prima), la collezione, considerata uno dei momenti più salienti della storia della moda, ebbe un successo straordinario. La fama stessa del pittore, che era morto nel 1944, venne notevolmente amplificata, tanto che nel 1969 gli venne dedicata una retrospettiva a Parigi.


Yves Saint Laurent, alcuni modelli della Collezione Mondrian, Autunno Inverno 1965.

La Collezione Mondrian

La Collezione Mondrian fu la prima di una fortunata serie in cui Saint Laurent continuò in questa sua ricerca di contaminazione tra arte e moda. La sfilata Autunno Inverno 1966 intitolata Pop Art fu un tributo a Andy Warhol, la collezione Primavera Estate 1967 Bambarache omaggiò l’arte africana, l’Autunno Inverno 1981 richiamò le opere di Henri Matisse e le giacche ricamate Primavera Estate 1988 riproposero gli iris e i girasoli di Van Gogh.

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