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Su uno dei sette colli di Roma sorgeva un maestoso tempio dedicato a Giove. Impreziosito dalle offerte di romani e stranieri, il santuario fu scenario di avvenimenti politici di grande rilievo


Gli archeologi hanno scoperto in cima al monte Capitolino i resti di capanne dell’VIII secolo a.C., come quelle di questa ricostruzione, simili alla “capanna di Romolo”, ancora conservata come reliquia all’epoca di Augusto

Gli archeologi hanno scoperto in cima al monte Capitolino i resti di capanne dell’VIII secolo a.C., come quelle di questa ricostruzione, simili alla “capanna di Romolo”, ancora conservata come reliquia all’epoca di Augusto

Foto: Musei Capitolini, ricostruzione illustrativa Inklink

   

Il monte Capitolino ha da sempre rivestito un posto privilegiato nella città di Roma. Con i suoi 47 metri di altezza sul livello del mare era il punto più elevato dell’urbe e si trovava strategicamente tra la valle del foro e il Tevere. Inoltre, si presentava come un bastione inespugnabile grazie ai pendii quasi verticali e alla cima (arx), dalla quale era separato mediante una leggera depressione, l’asylum. Non sorprende affatto, dunque, che il Campidoglio sia divenuto la sede di alcuni tra i più importanti templi di Roma.

Oggi sappiamo che il colle era abitato sin dai secoli XIV e XIII a.C. Un’antica tradizione attribuiva al dio Saturno, figlio di Urano, la creazione di un insediamento, ancor prima della fondazione di Roma a opera di Romolo e Remo. Una leggenda tramandata da Tito Livio racconta che i primi romani costruirono una rocca in cima al monte. Secondo questa tradizione, durante la guerra contro i sabini, Tarpeia, vergine vestale e figlia del comandante della cittadella, accettò la ricompensa offerta dal re sabino Tito Tazio e aprì le porte della fortezza ai soldati nemici, che però, una volta entrati, la punirono invece di premiarla. Al di là della leggenda, è noto che Tarpeia era il nome della divinità tutelare del colle, conosciuto originariamente come monte Tarpeo. Il toponimo si conservò tuttavia soltanto per indicare la rupe situata ai piedi dell’arx, da cui venivano fatte precipitare le persone che venivano condannate a morte per omicidio o tradimento.

Il maestoso tempio di Giove

Con l’arrivo degli etruschi a Roma, nel 616 a.C., il monte Tarpeo iniziò a trasformarsi nel centro religioso della città, luogo scelto dai sovrani per ostentare il proprio potere. Fu costruito sul colle il primo tempio dell’urbe, consacrato alla triade capitolina, costituita da Giove Ottimo Massimo, dalla sposa Giunone e dalla figlia Minerva. Nella Storia di Roma Tito Livio narra che il primo re etrusco della città, Tarquinio Prisco, si era impegnato con un votum sacro a erigere il tempio se fosse tornato vittorioso dalla guerra contro i sabini, come poi accadde.

I lavori di costruzione iniziarono effettivamente con Tarquinio Prisco, ma fu il figlio Tarquinio il Superbo a portare a termine l’edificio in seguito alla prematura morte del padre. Pertanto «dopo aver fatto venire operai da tutta l’Etruria, attinse non solo ai fondi di stato stanziati per questo progetto, ma ricorse anche alla manodopera della plebe». Infatti i tributi degli alleati e il bottino conquistato nella città di Suessa Pometia bastarono appena a pagarne le fondamenta.

Il panorama mostra gli edifici del foro romano e, sulla destra, il tempio di Giove Capitolino ai tempi di Augusto

Il panorama mostra gli edifici del foro romano e, sulla destra, il tempio di Giove Capitolino ai tempi di Augusto

Foto: Hervé Lewandowski / RMN-grand palais. Color: Santi Pérez

Il comportamento dispotico di Tarquinio il Superbo e la violenza sulla patrizia Lucrezia a opera di uno dei suoi figli accelerarono la fine della monarchia etrusca nel 509 a.C., quando il tempio del Campidoglio non era ancora stato inaugurato. La consacrazione del santuario toccò quindi alla massima autorità della nuova repubblica, ovvero a due consoli, Publio Valerio Publicola e Marco Orazio Pulvillo. Secondo il racconto di Tito Livio alla fine la sorte toccò a Orazio Pulvillo, mentre Valerio fu costretto ad andare in guerra contro la città di Veio. A quel punto, secondo quanto narra sempre Tito Livio, gli amici di Valerio cercarono invano di posticipare la consacrazione del tempio fino al suo ritorno dalla guerra e interruppero l’atto della consacrazione dando a Orazio una notizia falsa, ovvero che aveva perso il figlio e che «il padre di un morto non era nelle condizioni di consacrare un tempio».

Il tentativo non servì a nulla, poiché Orazio, senza verificare la notizia, si limitò a dare ordine di seppellire il cadavere, e completò l’invocazione grazie alla quale l’edificio diventava sacro (sacrum) e, dunque, inviolabile.

Gli dei e il tesoro di stato

Il primo tempio fu edificato in un ampio spazio ricavato su una delle due cime del colle, quella che riceveva il nome di Capitolium. Nella cuspide fu innalzata una quadriga in terracotta, opera dell’artista etrusco Vulca di Veio. Plinio il Vecchio narra i presagi che accompagnarono la creazione della scultura. Quando gli artigiani di Veio introdussero il carrello nel forno, la statua crebbe invece di rimpicciolirsi e dovettero rompere il forno per tirarla fuori. L’avvenimento venne interpretato come un segno del potere del popolo a cui era destinato il gruppo scultoreo. Nel 296 a.C. la statua originale in terracotta venne sostituita da una copia identica realizzata in bronzo, offerta dai fratelli Gneo e Quinto Ogulnio.

Gli archeologi hanno scoperto in cima al monte Capitolino i resti di capanne dell’VIII secolo a.C., come quelle di questa ricostruzione, simili alla “capanna di Romolo”, ancora conservata come reliquia all’epoca di Augusto

Gli archeologi hanno scoperto in cima al monte Capitolino i resti di capanne dell’VIII secolo a.C., come quelle di questa ricostruzione, simili alla “capanna di Romolo”, ancora conservata come reliquia all’epoca di Augusto

Foto: Musei Capitolini, ricostruzione illustrativa Inklink

   

Il tempio Capitolino non fu soltanto un centro religioso per i cittadini romani, ma rappresentò anche uno scenario di legittimazione politica, colmo di simboli allusivi alla difesa dello stato. Giove era considerato dio dei giuramenti, per cui nel suo santuario venivano conservati gli atti e i trattati diplomatici, iscritti su tavole di bronzo. Il tesoro d’emergenza della repubblica, riservato ai momenti critici, era nascosto sotto il trono di Giove, così come i Libri sibillini, un compendio di profezie in greco che la Sibilla Cumana aveva venduto al re Tarquinio (secondo Varrone, a Tarquinio Prisco; secondo Plinio, a Tarquinio il Superbo). Inoltre, il tempio diventò un deposito di opere d’arte, portate in offerta dagli stati vassalli di Roma e dai cittadini come atto di devozione agli dei. La mole di offerte e sculture nei dintorni e all’interno del tempio raggiungeva proporzioni tali che in alcune occasioni si rendeva necessario rimuoverle. Il grammatico latino Servio ricordava che all’interno del tempio si onoravano immagini di tutti gli dei, tra cui Marte, Iuventas (Giovinezza) e Termine. Il culto di quest’ultima divinità impose un’apertura sul tetto del tempio perché i riti in suo onore dovevano realizzarsi a cielo aperto.

Davanti al tempio Capitolino si celebravano numerosi avvenimenti politici. Le assemblee più solenni del senato avevano luogo sulla scalinata. Particolarmente significativa era la cerimonia dell’investitura dei due consoli, che reggevano il destino della repubblica per un anno. Il rito si celebrava alle calende di gennaio (il primo giorno del mese). La notte precedente gli àuguriconsultavano gli auspici precettivi sulle scale del tempio. Il giorno successivo i nuovi capi di stato assumevano i segni del potere ed entravano nel santuario per formulare i voti davanti all’immagine di Giove.

Analogamente, in periodo di guerra, i consoli organizzavano sotto il loggiato del tempio la leva militare e indicavano ai magistrati e ai rappresentanti dei Paesi alleati il numero di uomini con cui contribuire. Riunite le truppe, prima di lasciare Roma e di partire verso il campo di battaglia, il console formulava i voti sacri per assicurarsi la protezione degli dei della triade. Al termine del mandato i consoli venivano immortalati in statue commemorative poste nella piazza capitolina, accanto alle figure di grandi protagonisti della storia politica di Roma.

In questo vaso d'argento appartenente al tesoro di Boscoreale è raffigurata una scena di trionfo

In questo vaso d'argento appartenente al tesoro di Boscoreale è raffigurata una scena di trionfo



   

Divorato dalle fiamme

Il tempio etrusco del Campidoglio subì svariati restauri e cambiamenti. Il primo di questi avvenne nell’83 a.C., quando il santuario venne devastato totalmente da un terribile incendio che distrusse anche l’oro del tesoro pubblico e tutti gli oggetti artistici custoditi all’interno. Del tempio si salvarono soltanto i depositi votivi sotterranei, con centinaia di vasi di imitazione corinzia e statuette in terracotta policromata. Datate tra il VII e il VI secolo a.C., le statuette furono ritrovate tra il 1925 e il 1927.

Il dittatore Lucio Cornelio Silla intraprese immediatamente la costruzione di un nuovo edificio, a cui furono aggiunte alcune colonne corinzie del tempio ateniese di Zeus Olimpio. Alla sua morte continuò l’incarico il console Quinto Lutazio Catulo, menzionato in un’iscrizione della facciata del tempio come “addetto alla restaurazione del Campidoglio” (curator restituendi Capitolii). Successivamente l’imperatore Augusto ordinò di ricostituire il tesoro di Giove e donò al santuario una grande quantità d’oro, di perle e di pietre preziose, in un atto che doveva garantire la protezione della divinità all’impero appena instaurato.

Il tempio perduto

Il tempio Capitolino bruciò nuovamente durante i tumulti del 69 d.C. che portarono al potere Vespasiano, fondatore della dinastia Flavia. Le cronache raccontano che i sostenitori del suo nemico, Vitellio, assediarono il monte Capitolino, dove si erano trincerati i difensori di Vespasiano. Nel pieno dello scontro scoppiò un incendio devastante, che rase al suolo il Campo Marzio e raggiunse la cima del Campidoglio. Domiziano, figlio minore di Vespasiano, trovò rifugio nel vicino tempio orientale di Serapide, da cui fu costretto a uscire travestito da sacerdote di Iside, con la testa completamente rasata. In quell’occasione Domiziano non avrebbe potuto immaginare che sarebbe stato proprio lui, nove anni dopo, ovvero nel 78 d.C., a innalzare il tempio definitivo in onore della triade capitolina.

Il Campidoglio consacrato da Domiziano rimase in piedi fino al 455 d.C., anno in cui il re vandalo Genserico saccheggiò Roma nel corso di due interminabili settimane. I pochi ruderi rimasti furono utilizzati secoli dopo in una delle ricostruzioni della basilica di San Pietro.

Da allora e sino alla fine del XIX secolo si perse l’ubicazione esatta del tempio Capitolino. Non si riusciva neppure a identificare con certezza ciascuna delle due cime dell’antico monte Tarpeo. Il dubbio venne finalmente chiarito intorno al 1860, quando i lavori di restauro di palazzo Caffarelli portarono alla luce le fondamenta dell’immensa piattaforma su cui era stato eretto il Campidoglio romano e che attualmente si possono contemplare in situ nei Musei capitolini di Roma.

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