cultură şi spiritualitate
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Evola è propugnatore del Tradizionalismo, un modello ideale e sovratemporale di società caratterizzato in senso spirituale, aristocratico e gerarchico. Secondo l'autore tale modello si riscontra, da un punto di vista storico, in civiltà quali quella egiziana, romana e indiana. Tali civiltà non si basano su criteri economici, materiali e biologici, ma sono suddivise e gestite in base a criteri di gerarchia sociale di carattere ereditario e spirituale.
Secondo Evola ogni azione che avviene durante la vita biologica (ildivenire) rispecchia direttamente una medesima azione di carattere metafisico (l'essere) e dunque imperitura e sovratemporale.
Il cammino dell'uomo durante la sua involuzione (come la definisce lo stesso Evola in aperto contrasto con le teorie darwiniane) avviene attraverso un percorso di tipo circolare, non lineare. Traccia di questa teoria la si trova, ad esempio, nello schema proposto da Esiodo relativo alla così detta teoria delle quattro età.
Secondo Evola l'uomo ha la possibilità di elevarsi alla sfera divina e metafisica attraverso precise strade (il rito e l'iniziazione), utilizzando determinati strumenti (l'azione e la contemplazione) all'interno di contesti sociali predeterminati (la casta, l'impero). In aperto contrasto con le teorie di Sant'Agostino espresse nel De civitate dei ed in sintonia con i dettami del buddhismo delle origini, Evola sostiene che non esiste differenza quantitativa tra l'uomo e il dio. Per l'autore ogni uomo è un dio mortale e ogni dio un uomo immortale.[100]
Queste civiltà – ritenute superiori – si basano dunque su una più elevata dimensione metafisica e spirituale dell'esistenza, anziché su criteri di ordine materiale. La naturale decadenza di queste società è direttamente proporzionale all'aumento del progresso e della modernità. Tale processo di decadenza ha inizio con la perdita dell'unico polo che in passato racchiude sia l'autorità spirituale che quella temporale e prosegue con la spinta propulsiva dei valori illuministi espressi con laRivoluzione Francese: si arriva così alla società odierna dove la dimensione spirituale dell'esistenza è andata definitivamente perduta.
In particolare Evola rifiuta totalmente il concetto di egalitarismo, in favore di una visione differenziatrice della natura umana. Ne consegue un netto rifiuto per la democrazia (intesa come strumento di massa) e parimenti per ogni forma di totalitarismo, anch'esso ritenuto uno strumento di massa che si basa non su un'autorità spirituale, bensì su un'autorità esclusivamente di tipo temporale.
Naturale conseguenza di questo pensiero è che le differenze naturali tra gli esseri umani si rispecchiano anche nelle razze. Il filosofo rifiuta una visione razzista della vita in senso biologico, affermando la sua teoria del così detto razzismo spirituale. La "razza interiore" di cui parla Evola è definita come un patrimonio di tendenze e attitudini che – a seconda delle influenze ambientali – giungono o meno a manifestarsi compiutamente. L'appartenenza ad una razza si individua dunque sulla base delle caratteristiche spirituali, e solo in seguito fisiche, diventandone col tempo queste ultime il segno visibile.
Nel 1994 vengono ritrovate presso l'archivio crociano di Napoli sette lettere scritte da Evola a Benedetto Croce (più una, l'ottava, indirizzata all'editore Laterza). Tale ritrovamento, ad opera di Stefano Arcella – funzionario dei Beni Culturali presso la biblioteca di Napoli – permette di ricostruire almeno in parte i rapporti tra Evola e il filosofo del liberalismo.
Evola invia inizialmente a Croce, in una lettera del 13 aprile 1925, la richiesta di intercedere presso l'editore Laterza per la pubblicazione dei Saggi sull'idealismo magico e Teoria dell'individuo assoluto. Pochi giorni dopo Evola risponde ad una cartolina postale di Croce ringraziandolo per il giudizio di apprezzamento sul lato formale dei due manoscritti.
Laterza, nonostante l'appoggio favorevole di Benedetto Croce, scrive ad Evola una lettera il 14 settembre1925 in cui precisa di volersi riservare «la massima libertà di decidere anche nei riguardi di autorevoli amici».[101]
L'8 aprile 1930 Evola scrive nuovamente a Croce chiedendo aiuto per la sua nuova opera sull'alchimia: La tradizione ermetica. In una successiva, breve lettera, Evola ringrazia Croce per l'interessamento ed infatti, l'anno successivo, il manoscritto esce per i tipi dell'editore barese.
Secondo Stefano Arcella[102] in questo periodo si realizza un collegamento tra due opposizioni culturali al fascismo: una in sensotradizionale (Evola) ed una in senso liberale (Croce).
Secondo Gianfranco De Turris[103] Evola si rivolge a Croce in quanto preferisce aperture presso uomini e gruppi non dogmatici, più che presso l'ufficialità del regime fascista.
Poiché Evola non lascia un archivio epistolare, non è possibile analizzare le risposte date da Croce alle missive dello stesso Evola. Senza le risposte di Croce diventa infatti difficile valutare l'apertura del pensatore liberale verso i contributi filosofici del pensatore tradizionale.
Evola invia, tra il 1927 e il 1929, quattro lettere al Senatore Gentile. Nonostante le marcate divergenze sul piano filosofico – Evola infatti si discosta dall'attualismo gentiliano in favore di una rigida codificazione teoretica (l'idealismo magico) – il pensatore tradizionale cerca un confronto con uno dei massimi esponenti del mondo accademico.
Tale confronto, secondo Stefano Arcella[104] – curatore del volume Lettere di Julius Evola a Giovanni Gentile (1927-1929) – non produce risvolti interessanti sotto il profilo speculativo in quanto i due filosofi sono su posizioni eccessivamente distanti, ed anche i presupposti dottrinali e religiosi sono inconciliabili.
Sempre Arcella afferma che «il tentativo evoliano di aprire un colloquio costruttivo rimane un fiore che non sboccia».[105] Evola cerca di costruire, pur senza risultati apprezzabili, un punto di riferimento culturale alternativo all'ambiente gentiliano. Nel Cammino dei cinabro tenta di spiegare così le ragioni di questo mancato incontro:
« Tutti i riferimenti extra-filosofici di cui il mio sistema filosofico era ricco servirono come un comodo pretesto per l'ostracismo. Si poteva liquidare con un'alzata di spalle un sistema che accordava un posto perfino al mondo dell'iniziazione, della "magia" e di altri relitti superstiziosi. Che tutto ciò da me fosse fatto valere nei termini di un rigoroso pensiero speculativo, a poco servì. Però anche da parte mia vi era un equivoco, nei riguardi di coloro ai quali, sul piano pratico, la mia fatica speculativa poteva servire a qualcosa. Si trattava di una introduzione filosofica ad un mondo non filosofico, la quale poteva avere un significato nei soli rarissimi casi in cui la filosofia ultima avesse dato luogo ad una profonda crisi esistenziale. Ma vi era anche da considerare (e di questo in seguito mi resi sempre più conto) che i precedenti filosofici, cioè l'abito del pensiero astratto discorsivo, rappresentavano la qualificazione più sfavorevole affinché tale crisi potesse essere superata nel senso positivo da me indicato, con un passaggio a discipline realizzatrici » |
(Julius Evola, Il cammino del cinabro, op. cit., p. 61.) |
Gentile tuttavia riconosce ad Evola una certa competenza in campo esoterico-alchemico ed infatti chiede al filosofo della tradizione di curare la voce Atanor per l'Enciclopedia Italiana.[106] Anche alcuni allievi di Gentile riconoscono ad Evola una certa stima, in particolareGuido Calogero.[107]
Alessandro Giuli successivamente[108] riporta altre informazioni, relative al carteggio Evola-Gentile, reperite all'interno della "Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici", occupandosi in particolare dei vari volumi[109] che Evola invia con dedica al Senatore.
Si tratta di sette lettere inviate da Evola a Schmitt tra il 1951 e il 1963, conservate nel Nachlass Carl Schmitt dell'Archivio di Stato di Düsseldorf.[110]
L'epistolario mette in luce da una parte alcune amicizie e conoscenze in comune tra i due pensatori (Ernst Jünger, Armin Mohler e il principe di Rohan), dall'altra il tentativo di proporre la pubblicazione in italiano del saggio di Schmitt sul tradizionalista cattolico Donoso Cortés.[111] Tale tentativo non va in porto, così come fallisce anche il secondo progetto editoriale, risalente al 1963, di pubblicare un'antologia schmittiana.
Di rilievo, all'interno dello scambio epistolare, le due divergenti visioni rispetto alle teorie di Donoso Cortés sul ruolo dell'uomo politico e la sua autonomia. Evola infatti interpreta il concetto di dictatura coronada come «necessità di un potere che decida assolutamente, ma ad un livello di una dignità superiore, indicata dall'aggettivo coronada».[112]
Per il giurista tedesco, invece, esiste prima di tutto un passaggio significativo che porta dal concetto della legittimità del regnare a quello della dittatura. Per Cortés, scrive Schmitt, «la dittatura incoronata, la dictadura coronada, significava solo un pis-aller pratico [...] mai ha concepito questo espediente pragmatico come una forma di salvezza religiosa o teologica».[113]
Anche in questo caso – così come già ampiamente esposto in Rivolta contro il mondo moderno[114] – il costante rimando evoliano ad un fondamento trascendente dell'ordine politico rimane «quell'ineliminabile discrimine che non può essere in alcun modo occultato o minimizzato».[115]
Antonio Caracciolo sottolinea anche di come l'epistolario assume rilievo in relazione al tentativo di «fornire di solidi contrafforti ideologici e culturali il mondo conservatore che, nel dopoguerra italiano, si trovava a combattere la sua battaglia politica».[116]
Evola entra in contatto epistolare con Gottfried Benn – medico e poeta austriaco appartenente alla così detta Rivoluzione conservatrice – fin dal 1930. Il primo incontro risale invece al 1934, durante la tappa berlinese di un viaggio che Evola effettua in Germania.
Da quell'incontro scaturisce una famosa recensione-saggio di Benn alla traduzione tedesca di Rivolta contro il mondo moderno[117] che appare nel 1935 sulla rivista Die Literatur di Stoccarda.[118] Nel presentare l'opera, Benn espone le sue teorie convergendo con la visione del mondo di Evola.[119]
Successivamente Francesco Tedeschi rintraccia nello Schiller-Nationalmuseum Deutsches Literaturarchiv di Marbach due lettere manoscritte (la prima del 30 luglio e la seconda del 9 agosto 1934) più una dattiloscritta del 13 settembre 1955 che Evola invia a Benn.
Le prime due lettere sono importanti in quanto chiariscono la comunanza di vedute dei due autori rispetto al tema della tradizione e di una visione del mondo conservatrice, oltre al fatto che entrambi non si riconoscono nel nazismo tedesco. Dalla lettera del 9 agosto: «Sono sempre più convinto che a chi voglia difendere e realizzare senza compromessi di sorta una tradizione spirituale e aristocratica non rimanga purtroppo, oggi e nel mondo moderno, alcun margine di spazio; a meno che non si pensi unicamente a un lavoro elitario».[2]
La terza lettera è importante in quanto testimonia il tentativo di Evola di riprendere, nel dopoguerra, i rapporti con quegli esponenti conservatori che conosce negli anni trenta e quaranta.[120]
Nel 1975 compaiono, in un articolo di Giovanni Lista,[121] brani di due lettere inviate da Evola a Tristan Tzara, il fondatore del Dadaismo. Dall'articolo non si evince però la loro collocazione. Solo nel 1989, grazie al lavoro di ricerca della studiosa Elisabetta Valento, tutta la corrispondenza viene trovata presso l'archivio della Fondation Jaques Doucet della biblioteca Sainte-Geneviève di Parigi.
Si tratta di una trentina di documenti tra lettere e cartoline: la prima è del 7 ottobre 1919, l'ultima del 1º agosto 1923.
Molte tappe del cammino artistico del filosofo romano sono già note prima del rinvenimento della corrispondenza con Tzara: in parte perché lo stesso Evola ne parla nella sua autobiografia,[122] in parte perché dedotte dai critici e dagli studiosi nelle partecipazioni, in qualità di articolista, che Evola ha in alcune riviste d'arte dell'epoca: Noi, Cronache d'Attualità, Dada e Bleu.
Secondo la Valento, ciò che invece non è noto prima del rinvenimento della corrispondenza, sono «le modalità dell'avventura evoliana nella sfera artistica, ovvero come essa si attuò, come fu vissuta, a che mirava».[123]
L'archivio della corrispondenza tra i due artisti ha, inoltre, il pregio di colmare il vuoto di un periodo giovanile poco conosciuto di Evola. Questo vuoto si colma sia attraverso la ricostruzione di tappe cronologiche (il recupero di alcune date, partecipazioni a mostre, riviste, incontri) sia attraverso il recupero di tappe più specificamente «psicologiche».[124]
In particolare quelle che portano Evola ad annunciare il proprio suicidio (lettera 24 del 2 luglio 1921) e che raccontano di un uomo colto nel pieno male di vivere, di una sperimentazione del travaglio interiore che l'artista vive tra il 1920 e il 1921, dove la «sofferenza acuta si alterna alla disperazione».[125]
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Creat de altmariusclassic Dec 23, 2020 at 11:45am. Actualizat ultima dată de altmariusclassic Ian 24, 2021.
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