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cultură şi spiritualitate

Julius Evola

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Il barone Giulio Cesare Andrea Evola, meglio conosciuto come Julius Evola (Roma19 maggio 1898 – Roma11 giugno 1974), è stato un filosofopittorepoetascrittore edesoterista italiano. Fu personalità poliedrica nel panorama culturale italiano del Novecento, in ragione dei suoi molteplici interessi: arte, filosofia, storia, politica, esoterismo, religione, costume, studi sulla razza.
Julius Evola in una fotografia dei primianni quaranta

Le sue posizioni si inquadrano, in parte, nell'ambito di una cultura e di tendenze ideologiche assimilabili o vicine a quelle del fascismo e ancor più del nazionalsocialismo, pur esprimendosi spesso in una critica in chiave tradizionalista nei confronti di alcune componenti dei due regimi.

Mussolini ne apprezza alcune impostazioni: in particolare il ritorno alla romanità e una teoria della razza in chiave spirituale. Da parte sua il filosofo nutre un'indubbia ammirazione nei confronti del "Duce".

Evola ha una sua influenza, anche se difficilmente quantificabile, nel variegato mondo della cultura fascista: scrive numerosi saggi, collabora intensamente con riviste e giornali di grande tiratura e partecipa alla vita accademica del suo tempo in veste di conferenziere, sia presso alcune prestigiose università italiane e straniere che nell'ambito dei corsi di mistica fascista. C'è anche chi ritiene che in sede diplomatica Evola svolga missioni ad altissimi livelli per conto dello stesso governo italiano.[1]

Nonostante ciò, le sue idee eterodosse non sempre sono ben accette dalla classe dirigente italiana del tempo e gli valgono la sospensione di alcune pubblicazioni da parte dello stesso PNF e in Germania il sospetto delle gerarchie naziste.[2]

Evola contribuisce alla divulgazione in Italia di importanti autori europei del XIX e del XX secoloBachofenGuénonJüngerOrtega y GassetSpenglerWeininger, traducendo alcune loro opere e pubblicando saggi critici.

La complessità del suo pensiero gli procura, anche dopo la fine della guerra, un grande seguito negli ambienti conservatori italiani ed europei, da quelli più tradizionalisti del neofascismo (Pino Rauti ed Enzo Erra del Centro Studi Ordine Nuovo) fino a quelli rappresentati da esponenti della destra più moderata (Giano AccameMarcello Veneziani).

Le sue opere vengono tradotte e pubblicate in GermaniaFranciaSpagnaPortogalloGreciaSvizzeraGran BretagnaRussiaStati UnitiMessicoCanadaRomaniaArgentinaBrasileUngheriaPoloniaTurchia.[3]

Formazione 

Biografia 

Giulio Cesare Andrea Evola nasce da Vincenzo e Concetta Frangipane, una nobile famiglia siciliana e cattolica di antiche originispagnole.[4] Le poche notizie sui suoi anni di formazione si possono ricavare dall'autobiografia intitolata Il cammino del cinabro, pubblicata nel 1963 dall'editore Scheiwiller e che, nelle intenzioni dell'autore, sarebbe dovuta uscire postuma:[5]

« Nella prima adolescenza, mentre seguivo studi tecnici e matematici, si sviluppò in me un interesse naturale e vivo per le esperienze del pensiero e dell'arte. Da giovinetto, sùbito dopo il periodo dei romanzi d'avventure, mi ero messo in mente di compilare, insieme ad un amico, una storia della filosofia, a base di sunti. D'altra parte, se mi ero già sentito attratto da scrittori, come Wilde e D'Annunzio, presto il mio interesse si estese, da essi, a tutta la letteratura e l'arte più recenti. Passavo intere giornate in biblioteca, in un regime serrato ma libero di letture. In particolare, per me ebbe importanza l'incontro con pensatori, come NietzscheMichelstaedter eWeininger. Esso valse ad alimentare una tendenza di base, anche se, a tutta prima, in forme confuse e in parte distorte, quindi con una mescolanza del positivo col negativo »
(Julius Evola, Il cammino del cinabroop. cit., p. 5.)

La lettura delle opere degli autori su citati (in particolare Nietzsche), ha sul giovane Evola alcune dirette conseguenze: in primo luogo un'opposizione al Cristianesimo, soprattutto in riferimento alla teoria del peccato e della redenzione, del sacrificio divino e della grazia. In secondo luogo una sorta di insofferenza verso il mondo borghese, la sua piccola morale e il suo conformismo.

Decide dunque di svincolarsi dalla routine borghese, soprattutto nei suoi aspetti più concreti e quotidiani: famiglia, lavoro, amicizie. Si iscrive alla facoltà di ingegneria, ma rifiuta di discutere la tesi per disprezzo dei titoli accademici,[6] poiché «l'apparire come un "dottore" o un "professore" in veste autorizzata e per scopi pratici, mi sembrò cosa intollerabile, benché in seguito dovessi vedermi continuamente applicati titoli che non ho».[7]

Prosegue nello studio dell'arte e della filosofia:

« A parte gli autori accennati, va menzionata l'influenza che su me adolescente esercitò anche il movimento che alla vigilia della prima guerra mondiale e durante la prima parte di essa ebbe per centro Giovanni Papini con le riviste Leonardo e Lacerba, in seguito in parte anche con La Voce. Fu il periodo dell'unico vero Sturm und Drang che la nostra nazione abbia conosciuto, dell'urgere di forze insofferenti del clima soffocante dell'Italietta borghese del primo novecento […] A lui e al suo gruppo si deve il nostro venire a contatto con le correnti straniere più varie e interessanti del pensiero e dell'arte d'avanguardia, con l'effetto di un rinnovamento e di un ampliamento di orizzonti »
(Julius Evola, Il cammino del cinabroop. cit., p. 5.)

Successivamente si distacca anche da Papini, soprattutto per la sua conversione al cattolicesimo ed a seguito della pubblicazione del libro Storia di Cristo (1921).

Il primo periodo artistico: l'idealismo sensoriale 

Inizia giovane l'attività in campo artistico: i primi quadri risalgono al 1915, le prime poesie al 1916.

Attraverso Giovanni Papini entra in contatto con alcuni esponenti del Futurismo quali Giacomo Balla e Filippo Tommaso Marinetti. Nel1919 partecipa alla "Grande Esposizione Nazionale Futurista" di Palazzo Cova a Milano.[8] Ben presto si stacca da questo movimento per ragioni che lui stesso espone:

« Non tardai però a riconoscere che, a parte il lato rivoluzionario, l'orientamento del futurismo si accordava assai poco con le mie inclinazioni. In esso mi infastidiva il sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso e esibizionistico, una grezza esaltazione della vita e dell'istinto curiosamente mescolata con quella del macchinismo e di una specie di americanismo, mentre, per un altro verso, ci si dava a forme sciovinistiche di nazionalismo. A quest'ultimo riguardo la divergenza mi apparve netta allo scoppio della prima guerra mondiale, a causa della violenta campagna interventista svolta sia dai futuristi che dal gruppo di Lacerba. Per me era inconcepibile che tutti costoro, con alla testa l'iconoclasta Papini, sposassero a cuor leggero i più vieti luoghi comuni patriottardi della propaganda antigermanica, credendo sul serio che si trattasse di una guerra per la difesa della civiltà e della libertà contro il barbaro e l'aggressore »
(Julius Evola, Il cammino del cinabroop. cit., p. 8.)

A questa prima fase, definita dallo stesso Evola idealismo sensoriale,[9] appartengono le opere: Fucina, studio di rumori (1917 circa),Five o'clock tea (1918 circa) e Mazzo di fiori (1917-18).

Gli anni della Prima guerra mondiale 

Frequenta a Torino un corso per allievi ufficiali e partecipa alla Prima guerra mondiale come ufficiale di artiglieria sull'altopiano di Asiago dal 1917 al 1918. Rientra a Roma dopo il conflitto ed attraversa una profonda crisi esistenziale che lo porta al bordo del suicidio, come egli stesso riporta ne Il cammino del cinabro:

« Questa soluzione [...] fu evitata grazie a qualcosa di simile ad una illuminazione, che io ebbi nel leggere un testo del buddhismo delle origini. Fu per me una luce improvvisa: in quel momento deve essersi prodotto in me un mutamento, e il sorgere di una fermezza capace di resistere a qualsiasi crisi »
(Julius Evola, Il cammino del cinabroop. cit., p. 10.)

Il passo cui si riferisce Evola è il seguente: «Chi prende l'estinzione come estinzione e, presa l'estinzione come estinzione, pensa all'estinzione, pensa sull'estinzione, pensa "Mia è l'estinzione" e si rallegra dell'estinzione, costui, io dico, non conosce l'estinzione».[10]

Il secondo periodo artistico: l'astrattismo mistico [modifica]

Nel 1920 aderisce al Dadaismo ed entra in contatto epistolare con Tristan Tzara.[11] Come pittore diviene uno dei massimi esponenti del Dadaismo in Italia.[12]

Questa seconda fase viene definita, sempre da Evola, astrattismo mistico[13][14] ovvero una reinterpretazione dada in chiave di spiritualismo e di idealismo. A questa fase appartengono alcune importanti opere: Paesaggio interiore 10,30 (1918-20) e Astrazione(1918-20). Questo periodo vede Evola impegnato in due mostre personali: quella del gennaio 1920 alla casa d'arte Bragaglia di Roma, e quella del gennaio 1921 alla galleria Der Sturm di Berlino in cui presenta sessanta dipinti.[15]

Pubblica nel 1920, per la Collection Dada, l'opuscolo Arte astratta. Sempre nello stesso anno fonda con Gino Cantarelli la rivista Bleu e pubblica a Zurigo il poema dada La parole obscure du paysage intérieur. Collabora inoltre con Cronache d'attualità di Anton Giulio Bragaglia e con Noi di Enrico Prampolini.

Nel 1923 cessa l'attività pittorica e fino al 1925 fa uso di sostanze stupefacenti con il fine di raggiungere stati alterati di coscienza: «In questo contesto, vi è anche da accennare all'effetto di alcune esperienze interiori da me affrontate a tutta prima senza una precisa tecnica e coscienza del fine, con l'aiuto di certe sostanze che non sono gli stupefacenti più in uso [...] Mi portai, per tal via, verso forme di coscienza in parte staccate dai sensi fisici».[16]

Il periodo filosofico 

Evola e il magico "Gruppo di Ur"


È il 1927 quando si forma il "Gruppo di Ur", con l'obiettivo di trattare con serietà e rigore le discipline esoteriche ed iniziatiche. La parola, come spiega lo stesso Evola, è «tratta dalla radice arcaica del termine "fuoco", ma vi era anche una sfumatura additiva, pel senso di "primordiale", "originario", che essa ha come prefisso in tedesco».[17]

Rispetto ad un tentativo già intrapreso da Reghini con la direzione delle riviste Atanor e poi Ignis, il "Gruppo di Ur" si prefigge di accentuare maggiormente il lato pratico e sperimentale.

Il gruppo di studio adotta il principio dell'anonimato dei collaboratori – che si firmano tutti con uno pseudonimo – ed inizia sotto la direzione di Evola la pubblicazione di fascicoli mensili che sono poi riuniti nei volumi Introduzione alla magia usciti tra il 1927 e il 1929.[18]

Il termine magia, spiega Evola, non corrisponde al significato popolare, ma alla «formulazione del sapere iniziatico che obbedisce ad un atteggiamento attivo, sovrano e dominativo rispetto allo spirituale».[19]

Verso la fine del 1928 nel "Gruppo di Ur" avviene una scissione rispetto alla quale Evola è molto vago anche in relazione al principio dell'anonimato cui il gruppo si rifà: parla genericamente di intromissioni della massoneriaall'interno del gruppo.[20] A seguito di questa scissione, pochi mesi dopo, il gruppo si scioglie definitivamente.

Successivamente, ne Il cammino del cinabro, Evola torna sull'argomento raccontando di come Mussolini si preoccupasse del "Gruppo di Ur", pensando che qualcuno volesse agire magicamente su di lui. Evola mette in relazione questo fatto all'ordine giunto ad alcune riviste di interrompere la collaborazione con lui e decide di chiarire il fatto con il duce: «Giunto a sapere come le cose effettivamente stavano, Mussolini cessò di interferire. In realtà, Mussolini, oltre che suggestionabile, era abbastanza superstizioso (come controparte di una mentalità, in fondo, chiusa alla vera spiritualità)».[21]

Sempre ne Il cammino del cinabro Evola ammetterà la non veridicità di alcuni dei fenomeni paranormali descritti nelle riviste Atanor ed Ignis e poi raccolti in Introduzione alla Magia quale scienza dell'Io: «Per debito di onestà, debbo dire che vanno messi sotto beneficio d'inventario alcuni dei fenomeni riferiti in Introduzione [alla Magia quale scienza dell'Io], in relazione al gruppo [di Ur]».[22]

Il mancato suicidio è per Evola il momento di passaggio più significativo: fine del periodo artistico e inizio del periodo filosofico.

Esce nel 1925 il primo libro di filosofia: Saggi sull'idealismo magico. Coerentemente con le posizioni teoriche della sua seconda fase artistica (astrattismo mistico) Evola si distacca dall'idealismo hegelianoin favore di una libertà interiore assoluta. Il pensiero deve prefiggersi il compito di superare i limiti dell'umano per andare verso l'oltre-uomoteorizzato da Nietzsche. L'attualismo gentiliano diventa dunque il punto di partenza: dall'Io come principio attivo della realtà su un piano logico-astratto, all'Io come criterio di potenza capace di affermare l'individuo assoluto.[23]

Secondo Evola l'individuo assoluto è immediatamente sé nelle infinite affermazioni individuali ed in ciascuna di esse si fruisce come libertà, come incondizionata agilità ed arbitrio assoluto.[24]

Termina nel 1924 la Teoria e fenomenologia dell'individuo assoluto che inizia a scrivere già in trincea (nel 1917) e che viene pubblicata in due volumi (nel 1927 e nel 1930) dall'editore Bocca. In questo testo Evola si interessa delle dottrine riguardanti il sovrarazionale, il sacro e la gnosi, con l'obiettivo di tentare il superamento della dualità io/non-io.

Il suo interesse verso le tradizioni orientali si manifesta in L'uomo come potenza, pubblicato nel 1926, dove compare una concezione dell'io ispirata ai dettami del tantrismo e del taoismo.

Queste ultime opere segnano un'ulteriore svolta: passaggio da una posizione filosofica di tipo teoretico ad una di tipo pragmatico. Evola cerca infatti di individuare strumenti concreti per mezzo dei quali calare nella vita quotidiana la teoria dell'Individuo assoluto.

A partire dal 1924 inizia un'intensa esperienza giornalistica: partecipa alla redazione di Lo Stato democratico, una rivista contemporaneamente antifascista ed antidemocratica, e tra il 1924 e il1926 collabora a riviste come UltraBilychnisIgnisAtanor e Il mondo.

In questo periodo Evola frequenta i circoli esoterici romani e partecipa alla vita notturna della capitale intrattenendo un tempestoso rapporto sentimentale con Sibilla Aleramo, come lei stessa riporta nel libro Amo dunque sono del 1927:

« Disumano qual è, gelido architetto di teorie funambolesche, vanitoso, perverso, s'è trovato dinanzi a me come a cosa tutta viva, tutta schietta, mentre aveva fantasticato chissà... quale avventura necrofila. E questa cosa tutta schietta l'ha turbato, l'ha commosso, segretamente […] »
(Sibilla Aleramo, Amo dunque sono, Milano, Mondadori, 1927, p. 104.)

Tra il 1927 e il 1929 coordina il Gruppo di Ur, che si occupa di esoterismo e di ricerche sulle tradizioni extra europee: un'antologia dei fascicoli editi viene più tardi pubblicata in tre volumi (tra il 1955 e il 1956) con il titolo Introduzione alla magia quale scienza dell'Io.

La versione tedesca diImperialismo pagano

Conosce Arturo Reghini e legge i suoi scritti. Anche sulla scorta di esperienze condivise con il notoesoterista, nel 1928 pubblica un libro che gli procura grande fama: Imperialismo pagano. In questopamphlet (poi tradotto in tedesco nel 1933[25]) Evola attacca violentemente il Cristianesimo ed esorta ilFascismo a ritrovare l'antica grandezza della civiltà romana:

« Oserà dunque il fascismo assumere qui, qui donde già le aquile imperiali partirono per il dominio del mondo sotto la potenza augustea, solare, regale […] oserà qui riprendere la fiaccola della tradizione mediterranea? »
(Julius Evola, Imperialismo pagano, Padova, Edizioni di Ar, 1996, p. 24.)

Influenzato dalla lettura delle opere di René Guénon abbandona in seguito le tesi estremiste diImperialismo pagano a favore del concetto di "tradizione" e fonda con Emilio Servadio la rivista La Torre(uscita in soli dieci numeri tra febbraio e giugno del 1930), destinata a difendere principi sovrapolitici, in realtà «una tribuna di intellettuali che si battevano per un fascismo più radicale e più intrepido».[26]Critiche mosse ad alcuni personaggi del Regime dalle pagine de La Torre, provocano l'intervento diStarace che prima diffida Evola dal continuare la pubblicazione, poi proibisce a tutte le tipografie romane di stampare la rivista la cui pubblicazione, alla fine, viene sospesa.

Evola viene sorvegliato dal regime in quanto accusato di affiliazione all'ordine Ordo Templi Orientis ed è costretto ad assumere una guardia del corpo.[27]

Inizia un periodo dedicato interamente all'alpinismo. Nel 1930, con la guida alpina Eugenio David, affronta la scalata della parete settentrionale del Lyskamm Orientale.[28] Di questa e di altre esperienze viene poi redatto un libro nel 1973: Meditazioni delle vette.[29]Evola intende l'alpinismo come pratica ascetica e meditazione spirituale: superamento dei limiti della condizione umana attraverso l'azione e la contemplazione, che divengono due elementi inseparabili, «un'ascesa che si trasforma in ascesi».[30]

Successivamente pubblica due opere: La tradizione ermetica (1931) e Maschera e volto dello spiritualismo contemporaneo (1932). La prima è una disamina dell'aspetto magico, esoterico e simbolico dell'alchimia. La seconda è un saggio critico su quelle correnti di pensiero che, secondo Evola, «invece di elevare l'uomo dal razionalismo moderno e dal materialismo, lo portano ancora più in basso:spiritismoteosofiaantroposofia e psicoanalisi».[31]

Nel 1934 appare la sua opera fondamentale, Rivolta contro il mondo moderno, nella quale traccia un affresco della storia letta secondo lo schema ciclico tradizionale delle quattro età: oro, argento, bronzo e ferro nella tradizione occidentale e satyatretadvapara e kali yuga in quella induista.

In Rivolta Evola oppone il mondo tradizionale al mondo moderno. Nella prima parte analizza le categorie qualificanti l'uomo della tradizione e le antiche "razze divine"; nella seconda analizza la genesi del mondo moderno ed i processi a causa dei quali la civiltà tradizionale è crollata (dal dominio dell'autorità spirituale al dominio del "quarto stato").

Partendo da questi presupposti, tre anni dopo, esamina a fondo Il mistero del Graal (1937) e le sue implicazioni dottrinarie nelle visioni dei diversi periodi storici, impostando tutta la sua disamina sul concetto di "tradizione ghibellina dell'impero", cercando di svincolare ilGraal e la sua portata simbolica dalla tradizione cristiana.

La scuola di mistica fascista 

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi Scuola di mistica fascista.

A partire dal 1934 Evola collabora attivamente con la Scuola di mistica fascista, fondata da Niccolò Giani nel 1930, tenendo alcune conferenze e figurando nel comitato di redazione della rivista Dottrina fascista.

La maggior parte degli interventi di Evola in conferenze e scritti, riguardano principalmente il tema del razzismo, argomento che trova appoggio sia da parte di Giani che da parte dello stesso Mussolini.

Secondo Evola, tuttavia, l'espressione mistica fascista rappresenta un'incongruenza potendo parlare, al più, di etica fascista. Questo perché in realtà il fascismo, secondo Evola, «non affronta il problema dei valori superiori, i valori del sacro, solo in relazione ai quali si può parlare di mistica».[32]

Jean-Paul Lippi – giurista e saggista francese, tra i più importanti studiosi d'oltralpe del pensatore tradizionale – rileva di come Evola ravveda nella mistica «un elemento rilevatore di una spiritualità lunare e del polo femminile dello spirito».[33]

E infatti il sottotitolo di Diorama filosofico – la pagina prima mensile e poi quindicinale curata da Evola nel quotidiano Il Regime Fascista di Cremona tra il 1934 e il 1943 – è: Problemi dello spirito nell'etica fascista.

Nel 2009 una serie di scritti di Evola relativi alla scuola di mistica fascista, sono stati pubblicati dall'editore Controcorrente di Napoli,[34]e aiutano in parte a chiarire le posizioni assunte dal filosofo all'interno della suddetta corrente.

Le tesi sulla razza 

« Sia razzialmente, sia in fatto di ideali, esiste una grande opposizione fra l’uomo ariano e tradizionale europeo e il giudeo. Fin dalle origini il giudeo ci è apparso come un essere diviso in sé stesso. A differenza dell’ariano egli fu sempre incapace di concepire e di realizzare un’armonia fra spirito e corpo. Il corpo significò per lui la carne, cioè una crassa e peccaminosa materialità, da cui deve redimersi per raggiungere lo spirito che per lui sta in una sfera astratta, fuori della vita. Ma nel giudeo questo impulso alla liberazione fallisce ed allora le prospettive si invertono: colui che era tormentato dal pungolo della redenzione si precipita disperatamente nella materia, si abbandona ad una brama illimitata per la materia, per la potenza materiale e per il piacere. Voi così vedete un uomo che si sente schiavo della carne e per questo vuol vedere intorno a sé solo degli schiavi come lui. Perciò egli gode dovunque egli scopra l’illusorietà dei valori superiori, dovunque torbidi retroscena si palesino dietro la facciata della spiritualità, della sacralità, della giustizia e dell’innocenza. »
(Julius Evola, La civiltà occidentale e l’intelligenza ebraica)
Evola e il fascismo


Se i rapporti che Evola intrattiene col fascismo sono innegabili, soprattutto a partire dalla metà degli anni trenta, tutt'oggi è oggetto di dibattito, tra gli studiosi, l'appartenenza del filosofo ad un orizzonte intellettuale propriamentefascista.

È il 1964 quando Evola pubblica Il fascismo. Saggio di un'analisi critica dal punto di vista della Destra per i tipi dell'editore Volpe. Evola durante il fascismo non ha una particolare risonanza popolare e per lungo tempo è quasi ignorato dalla cultura ufficiale dell'epoca. Il filosofo infatti, pur iniziando ad entrare in sintonia con i temi culturali del regime fin dal 1927 – è di quell'anno il suo primo articolo pubblicato su Critica Fascista[35] – si farà conoscere e apprezzare dall'intelligencija e dalle gerarchie fasciste solo attorno al 1934 (con le prime collaborazioni nell'ambito della Scuola di mistica fascista) e, ancor più, dopo il 1937, grazie all'avvicinamento dell'Italia alla Germania nazista ed al rapido sviluppo di una campagna e di politiche antiebraiche. Il "razzismo spirituale" di Evola viene allora recuperato dal Regime, insieme a quello di Preziosi, Orano, Bottai e di altri noti antisemiti italiani del tempo.[36]

Da una ricerca effettuata presso l'Archivio di Stato e pubblicata nel 2001 sulla rivista Nuova storia contemporanea[37] emerge che Evola, dal luglio 1941, ottiene dal Min.Cul.Pop. – per intercessione dello stesso Mussolini – uno stipendio mensile di duemila lire a fronte della stesura di alcuni articoli sulla razza. L'assegno cessa con la nascita della Repubblica di Salò in quanto Evola si rifiuta di trasferirsi al nord.[38]

In quegli anni Evola scrive per quasi tutte le maggiori testate fasciste, anche se le sue collaborazioni più note (Regime fascista di Farinacci e La Vita Italiana di Preziosi) sono importanti ai fini del dibattito sul mondo della Tradizione, ma lo sono assai meno nel dibattito interno al fascismo.[39]

Infatti, più che rappresentare una corrente interna al fascismo, «Evola intese rettificare il fascismo in senso spirituale e tradizionale, in nome di idee e valori che non erano quelli originari del fascismo, ma quelli della destra conservatrice ed aristocratica».[40]

Evola dunque non si pone come obiettivo quello di interpretare il fascismo nel suo contesto storico, ma di individuare quegli elementi che si possono ricondurre ai canoni della destra tradizionale. Già nel volumeImperialismo pagano (1928) l'autore esorta il fascismo a valorizzare quei simboli propri alla tradizione romana (il fascio, l'aquila, l'impero).

Quanto evidenziato può in parte spiegare la profonda ammirazione che Evola prova per la figura di Benito Mussolini, da lui definito «rappresentante di una razza nuova ed antica ad un tempo che ben si potrebbe chiamare razza dell'uomo fascista o razza dell'uomo Mussolini».[41]

Mussolini infatti cerca di riesumare alcuni di quei simboli per stabilire improbabili parallelismi fra i fasti dell'antica Roma e l'Italia del tempo. Tuttavia l'incapacità di creare da parte del regime un homo novus propriamente fascista, unitamente al crollo delle speranze riposte da Evola in Mussolini, artefice di un sistema politico le cui «potenzialità positive» non sono state recepite dal popolo italiano, spingono il filosofo, nel secondo dopoguerra, a prendere sempre più le distanze dall'esperienza storica del nazifascismo.

Scrive a tale proposito Julius Evola che «non fu il fascismo ad agire negativamente sul popolo italiano, sulla "razza" italiana, ma viceversa, fu questo popolo, questa "razza" ad agire negativamente sul fascismo, cioè sul tentativo fascista, in quanto dimostrò di non sapere fornire un numero sufficiente di uomini che fossero all'altezza di certe esigenze e di certi simboli, elementi sani e capaci di promuovere lo sviluppo delle potenzialità positive che potevano essere contenute nel sistema».[42] Secondo lo storico Claudio Pavone «nel fondo delle posizioni di questo tipo c'è l'idea che non è stato il fascismo a rovinare l'Italia, bensì l'Italia a rovinare il fascismo, di cui era indegna».[43] Il passo summenzionato di Evola viene citato anche da Pino Rauti e Rutilio Sermonti.[44]

I punti di criticità sollevati da Evola rispetto al fascismo sono sostanzialmente tre: il problema dello stato da un punto di vista istituzionale (rapporto tra fascismo e monarchia), il problema della rappresentanza (effettiva rilevanza del partito unico e della funzione carismatica di Mussolini) e, infine, alcuni aspetti direttamente correlati alla gestione della nazione (questione economica e sociale, autarchia, questione della razza e politica internazionale).

Secondo Evola il fascismo si distingue per un'ambiguità di fondo: oscilla fra una concezione religiosa del potere e una mistica della nazione di derivazione rivoluzionaria.[45] Il concetto stesso di "nazione" – derivando dalla frantumazione della civiltà imperiale e feudale – è secondo l'autore un concetto falsamente di destra, in quanto si basa sui principi sovvertitori del mondo della tradizione promossi a partire dalla rivoluzione francese.

Così come lo è anche lo "stato totalitario": per Evola uno stato che tende ad occuparsi di tutto (economia, educazione, indirizzi morali, conformismo) non è uno stato tradizionale. Il potere organico che si richiama infatti alla vera destra èomnia potens, non omnia faciens.[46]

In quest'ottica l'esperienza della Repubblica Sociale è per Evola totalmente da rigettare sotto il piano istituzionale («dal nostro punto di vista, nulla è da raccogliere dal fascismo della Repubblica Sociale»[47]) in quanto la stessa è condensata di elementi di populismo e di socialismo. Ciò che salva della RSI è quella mentalità per cui molti italiani decidono di continuare a lottare pur essendo consapevoli della disfatta. Questa mentalità si fonda per Evola sul concetto di onore e fedeltà proprio alla spirito legionario.[48]

Evola critica inoltre il concetto di "partito politico" che, derivando da una concezione illuminista, rappresenta una forma di legame improprio tra la base e il vertice, una sorta di "democrazia plebiscitaria". Allo stesso modo sottolinea di come anche il concetto di "duce" presenti analoghe problematiche: Mussolini sceglie infatti una gestione populistica della propria figura, ritenendo che l'andare verso le masse sia un elemento rafforzativo del proprio potere, anziché optare per un aristocratico distacco dal popolo.

In appendice all'edizione del 2001 del libro Fascismo e Terzo Reich si trovano alcuni interessanti scritti di Evola che vanno dal 1930 al 1940 circa in cui l'autore opera un'analisi discriminatrice sul fascismo, non risparmiando critiche al regime di Mussolini. Gli scritti sono circa una ventina. Tra i più significativi: Carta d'identità (1930), Due facce del nazionalismo (1931), Paneuropa e fascismo (1933), Razza e cultura (1934), Significato spirituale dell'autarchia (1938),Legionarismo ascetico (1938) e Partito od Ordine? (1940).

In questi articoli, apparsi nel corso degli anni su alcune testate giornalistiche (La Nobiltà della StirpeRassegna Italiana ed altre), Evola contesta, anche se in forme non esplicite, alcune scelte del regime (il retaggio socialista, la deriva populista di Mussolini, l'ingerenza dello stato totalitario nella vita del singolo, il concetto stesso di partito politico). Come rileva Gianfranco De Turris nella nota introduttiva al testo «Evola scrisse le sue critiche, espose i suoi dubbi, propose le sue interpretazioni alternative durante tutto il Ventennio fascista. Certo, con toni e con modi adeguati ai tempi, conformi al suo scrivere all'interno del regime e su testate del regime ancorché eterodosse e di fronda, ma lo fece a differenza di tanti altri che espressero i loro dubbi e le loro repulse [...] solo dopo il 1945».[49]

A metà degli anni Trenta Evola inizia ad orientare i propri studi su aspetti più propriamente politici, legati in particolar modo alla "questione della razza". Riprende l'attività giornalistica scrivendo su quotidiani: Il Regime FascistaCorriere PadanoIl Giornale della DomenicaRomaIl Popolo d'ItaliaLa Stampa e Il Mattino; su stampe e periodici: Logos,Educazione FascistaLa Rivista del Club Alpino ItalianoPolitica,Nuova Antologia'900Il progresso religiosoLa difesa della razza,AugusteaCarattereInsegnare e Scuola e cultura.[50]

Nel 1937 pubblica Il Mito del Sangue (poi riedito nel 1942) dove ricostruisce le concezioni sulla razza dalle civiltà antiche fino alle teorie del XVIII secolo (de Gobineau, Woltmann, de Lapouge, Chamberlain), contrapponendole alla versione moderna del razzismo biologico di stampo nazionalsocialista. Segue nel 1941 Sintesi di dottrina della razza.

Edizione russa deiProtocolli del 1912

In questi testi esprime le sue concezioniantisemite non basate su un razzismobiologico, ma spirituale. Gli ebrei infatti, per Evola, non possono essere considerati una razza: «Già la Bibbia parla di 7 popoli che avrebbero concorso a formare il sangue ebraico [...] Come da questo composto etnico abbia potuto sorgere un sentimento così vivo di solidarietà e di fedeltà al sangue [...] tale da far pensare che il popolo ebraico praticamente sia stato fra i popoli più razzisti della storia - questo è un mistero [...] La formula, in ogni modo, è che gli ebrei non sono una razza ma solo una Nazione».[51]

Egli oppone a livello tradizionale "Giudei" ed "Ariani" (da "Arya") nel nome di una differenza di spirito. In quegli anni scrive la prefazione all'edizione italiana dei Protocolli dei savi di Sion dichiarando che non ha importanza la non attendibilità storica dell'opuscolo, visto che comunque lo stesso racconta una veridicità secondo lui attendibile sugli effetti ebraici di controllo della società (banche, stampa, mercato, politica). L'ebraismo è per Evola una colpa senza redenzione: «nemmeno il battesimo e la crocefissione cambia la natura ebraica».[52]

Sempre in quegli anni tiene un ciclo di conferenze presso le Università di Firenze e di Milano su richiesta del Ministro dell'Educazione Nazionale Bottai.

Benché non ve ne sia traccia nella biografia dell'autore, il saggistaFranco Cuomo scrive che Evola, nel 1938, è tra i firmatari del così dettoManifesto della razza.[53]

Tutt'oggi la "questione razziale" di Evola rimane un tema molto dibattuto tra gli studiosi[senza fonte]. A partire dagli anni sessanta, Evola, a più riprese, cerca di ribadire – in alcuni casi rivedendo certe posizioni giovanili – la sua concezione sulla razza.

Già ne Il mito del sangue (1937) Evola, in riferimento alla concezione biologica che i tedeschi fanno del razzismo, espone le sue perplessità: «È ben possibile che in questo stato il razzismo avrebbe potuto aver la possibilità di sviluppare più proficuamente gli elementi valevoli che esso può comprendere in se. Invece, con l'assurgere a ideologia ufficiale di una rivoluzione [quella nazionalsocialista germanica], il razzismo ha finito con il pregiudicare siffatti elementi»[54] facendo riferimenti espliciti alla figura di Hitler: «[...] l'idea razzista da parte dello Hitler [...] quanto a idee nuove rispetto a quel che finora abbiamo conosciuto, non ve ne è quasi nessuna».[55]

Dedica un intero capitolo (Il problema della razza) della sua autobiografia a questo tema in cui ribadisce la necessità di interpretare il concetto di razza da un punto di vista spirituale e non biologico, contestando ad Alfred Rosemberg (il principale esponente del razzismo nazionalsocialista) la strada del razzismo materialistico intrapresa a suo tempo dalla Germania, definendola «materialismo zoologico»[56] e condannando apertamente il «fanatismo antisemita».[10] Fanatismo verso il quale, nel 1963, dichiara: «né io, né i miei amici in Germania sapevamo degli eccessi nazisti contro gli ebrei [...] e se ne avessimo saputo in alcun modo avremmo potuto approvarli».[57]

Evola ha una concezione dell'uomo come essere costituito da corpo, anima e spirito, dove la parte spirituale deve avere il primato su quella corporea. Secondo Evola «l'opportunità di questa formulazione risiede nel fatto che una razza può degenerare, anche restando biologicamente pura, se la parte interiore e spirituale è morta, diminuita o obnubilata, se ha perso la propria forza (come presso certi tipi nordici attuali). Inoltre gli incroci, di cui oggi pochissime stirpi sono esenti, possono avere come conseguenza che ad un corpo di una data razza siano legati, in un individuo, il carattere e l'orientamento spirituale propri di un'altra razza, donde una più complessa concezione del meticciato».[58]

Lo storico Renzo De Felice, pur molto critico e severo rispetto al pensiero e alle tesi di Evola, testimonia di come lo stesso Evola respinge «anche più recisamente [dell'Acerbo] ogni teorizzazione del razzismo in chiave esclusivamente biologica»,[59] ponendo il pensatore tradizionale tra coloro che «imboccata una certa strada, la seppero percorrere, in confronto con tanti che scelsero quella della menzogna, dell'insulto, del completo obnubilamento di ogni valore culturale e morale, con dignità e persino con serietà».[60]

A tale proposito De Felice segnala anche che Evola non è il solo a prendere le distanze dal razzismo biologico di matrice nazionalsocialista. Altre note figure della cultura fascista del tempo, come Giacomo Acerbo, e meno note, come Vincenzo Mazzei, se ne dissociano.[61]

L'impostazione critica data da De Felice su questo passaggio del pensiero di Evola è particolarmente apprezzata dagli autori filo-evoliani.[62]

Anche Paolo Orano sviluppa, secondo taluni, una forma di antisemitismo etico-sociale che rinvia a Il mito del sangue di Evola.[63]L'approccio al "problema della razza" di Evola, come quello di Acerbo ed Orano, pur se sviluppato da posizioni e secondo logiche diverse, viene apprezzato da Mussolini che ne intravede gli elementi differenziatori da quello germanico, anche se successivamente il "Duce" non si farà scrupolo di dare patente di legittimità anche all'antisemitismo di un Preziosi, di un Interlandi e di un Gayda.

Altri autori, invece, ritengono che l'opera e il pensiero di Evola continuino ad essere razzisti tout court o addirittura emuli delle tesi di Paolo Orano. È di questo avviso Attilio Milano che, a proposito della campagna antiebraica fascista, scrive: «Primo, in ordine di tempo, e per notorietà personale, come già ricordato, fu Paolo Orano [...] dietro di lui, con una vena più scadente, comparvero anche Ebrei, Cristianesimo, Fascismo, di Alfredo Romanini, Tre aspetti del problema ebraico, di Giulio Evola [...]».[64]

Lo storico Francesco Germinario nel suo saggio Razza del Sangue, razza dello Spirito[65] analizza in particolare il progressivo avvicinamento di Evola al nazionalsocialismo, specialmente in relazione all'ammirazione che il filosofo aveva nei confronti delle SS.

La tesi di maggior rilievo del saggio di Germinario consiste nel tentativo di interpretare il razzismo evoliano come una sorta di differenzialismo in nuce, ovvero un razzismo che identifica il suo obiettivo principale nella ricomposizione dei così detti tre ordini di razza: corpo, anima, spirito.

Dunque, secondo Germinario, Evola riprende, seppur in maniera meno esplicita, alcune delle teorie del de Gobineu che cercano di identificare una gerarchia ideale nei gruppi delle razze umane.[66]

Lo storico torinese Francesco Cassata, che ha dedicato molti suoi scritti al rapporto tra fascismo e razzismo e agli studi sull'eugenetica, nel suo A destra del fascismo,[67] sottolinea di come il razzismo sia un aspetto centrale del pensiero evoliano, e che in realtà lo stesso è volutamente depotenziato e purificato dai suoi estimatori con lo scopo di dare una visione edulcorata delle teorie del filosofo.[68]

Più dura la posizione del giornalista Gianni Scipione Rossi, che con il volume Il razzista totalitario[69] cerca di mettere in luce quegli aspetti contraddittori del pensiero evoliano rispetto al tema della razza. Ma soprattutto Il razzista totalitario tenta di dimostrare che quella di Evola non è una parentesi razzista, ma una costruzione originale ed autonoma di una teoria che accompagna tutta l'opera evoliana.

Per il germanista Furio Jesi Evola è «un razzista così sporco che ripugna toccarlo con le dita».[70] Lo storico e saggista torinese infatti dubita fortemente della definizione spiritualistica attribuita al razzismo di Evola[71] e ritiene anzi che le sue teorie farmeticanti e trivialiconducano direttamente ad Auschwitz: «Egli [Evola] non si è mai dichiarato paladino dei roghi dei libri, anche se bisogna precisare che implicitamente, da intellettuale, s'intende, ha dato una mano ai forni crematori non per libri ma per uomini».[72]

La maggior parte delle critiche mosse ad Evola ed ai suoi studi sulla razza, sostanzialmente, cercano di dimostrare che il così dettorazzismo spirituale in realtà è una sofisticata costruzione teorica utilizzata dall'autore e, ancor più dai suoi epigoni, per celare il convincimento di un vero e proprio razzismo di matrice biologica, e che dunque c'è in realtà un filo diretto tra le teorie nazionalsocialiste e quelle evoliane, queste ultime solo apparentemente diverse.[73]

In ogni caso è in concomitanza con la campagna antiebraica scatenata dal regime fascista a partire dal 1937 che Julius Evola, grazie al suo "razzismo spirituale", entra definitivamente a far parte, a pieno titolo, della cultura e dell'intelligencija fascista di quegli anni.

Gli anni della Seconda guerra mondiale 

Evola non aderisce al Partito fascista e tale mancata adesione gli impedisce nel 1940 di arruolarsi come volontario contro l'Unione Sovietica nel corso della Seconda guerra mondiale. Nel 1942 viene pubblicato un suo saggio dal titolo Per un allineamento politico-culturale dell'Italia e della Germania[74] nel quale esprime ammirazione per il nazismo tedesco, considerandolo superiore al fascismo in ragione del coraggio nel risvegliare l'antico spirito ariano e germanico. Critica tuttavia l'incompletezza nell'attuazione di questo programma, non abbastanza radicale e aderente ai principi della "Tradizione": per esempio una difesa della razza improntata giuridicamente ad una sorta di "igiene razziale" e il potere del Führer derivato dal popolo e non un potere regale di origine divina come nell'ideale società ario-germanica delle origini.

Evola teorizza dunque il tradizionalismo puro, ideale e radicale, capace di attuare i propri principi e di far trionfare la cultura romana e pagana delle origini. Tra l'Unione Sovietica comunista e gli Stati Uniti capitalistici, il nazionalsocialismo tedesco gli sembra proporre una terza via: un impero europeo e pagano sotto la guida egemonica della Germania di Hitler.

Nel 1943, riprendendo temi già trattati nei suoi anni giovanili, pubblica La dottrina del risveglio, un saggio sull'ascesi buddhista. Nel 1951 l'opera viene poi tradotta in inglese[75] da Harold Edward Musson (Ñāṇavīra Thera) con l'avallo della Pali Society, anche se l'unica fonte che riporta questa informazione è lo stesso Evola: «L'edizione inglese aveva avuto il crisma della Pali Society, noto istituto accademico di studi sul buddhismo delle origini, che aveva riconosciuto la validità della mia trattazione».[76]

Ancor oggi rimane aperto, tra gli studiosi, il dibattito sull'adesione di Evola alla Repubblica Sociale, alla quale fanno accenno saggi ed opere enciclopediche di larga diffusione.[77] In realtà subito dopo l'8 settembre, il filosofo romano, che si trova in Germania per tenere alcune conferenze, raggiunge a Monaco gli altri esuli fascisti «[...] osservando con distacco reazionario scelte che non lo convincono».[78] Farà ritorno nell'Italia liberata solo al termine della guerra. Essendo Evola rigorosamente contrario all'abrogazione dellaMonarchia e alla trasformazione dell'Italia in una Repubblica, intraprende tentativi di influenza sulle SS e sui nazisti tedeschi, compreso lo stesso Heinrich Himmler. Si scopre poi, nel dopoguerra, che Evola è – sia in Germania che in Italia – tenuto sotto stretta sorveglianza dall'Ahnenerbe.[79] Le SS gli permettono di avere ruoli culturali di rilievo solo nei casi in cui questo giovi alla causa tedesca.

Nel 1945 Evola si trova a Vienna e nell'intento «di non schivare anzi di cercare i pericoli, nel senso di un tacito interrogare la sorte»[80]si avventura in una passeggiata durante i bombardamenti sovietici che colpiscono la capitale austriaca. Sbalzato da uno spostamento d'aria, subisce una lesione al midollo spinale che gli provoca una paralisi permanente agli arti inferiori.[81] Solo nel 1948, grazie all'interessamento di Umberto Zanotti Bianco – presidente della Croce Rossa Internazionale – viene trasferito prima al sanatorio diCuasso al Monte, poi a Bologna e infine, nel 1951, a Roma, come egli stesso riporta in una lettera inviata all'amico poeta Girolamo Comi.[82]

Il processo ai FAR [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi La Sfida (rivista).

A partire dal 1949 inizia la collaborazione con la rivista La Sfida fondata da Enzo ErraPino Rauti ed Egidio Sterpa, ispirando poi la nascita della nuova rivista Imperium che vede la luce nel 1950. Nel 1950 pubblica su Imperium l'opuscolo Orientamenti nel quale vengono sintetizzate in undici punti le sue idee (poi sviluppate nei libri successivi e riedite nel 1970).

Nel 1951 Evola viene arrestato con le accuse di apologia di fascismo e di essere l'ispiratore di alcuni gruppi neofascisti: si tratta del processo ai FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria). In questa occasione Evola viene difeso gratuitamente dall'avvocato antifascistaFrancesco Carnelutti[83] ed egli stesso tiene dinanzi al Tribunale un'autodifesa poi pubblicata integralmente dalla Fondazione Julius Evola.[84] Scrive Evola:

« Dissi che attribuirmi idee fasciste era un assurdo, non in quanto erano fasciste, ma solo in quanto, rappresentavano, nel fascismo, la riapparizione di principi della grande tradizione Politica europea di Destra in genere. Io potevo aver difeso e potevo continuare a difendere certe concezioni in fatto di dottrina dello Stato. Si era liberi di fare il processo a tali concezioni. Ma in tal caso si dovevano far sedere sullo stesso banco degli accusati: Platone, un Metternich, un Bismarck, il Dante del De Monarchia e via dicendo »
(Julius Evola, Il cammino del cinabroop. cit., pp. 94-95.)

Pino Rauti ricorda che Evola viene portato dall'infermeria di Regina Coeli nella I sezione della Corte d'Assise di Roma su un telo retto da quattro detenuti, per l'occasione trasformati in infermieri, in quanto in tutta la Corte non vi è una sedia a rotelle.[85]

Una rara fotografia deglianni cinquanta

Il processo ai FAR si conclude il 20 novembre del 1951 con l'assoluzione di Evola con formula piena.

Successivamente lo scrittore Marcello Veneziani, in relazione all'accusa mossa ad Evola di essere l'ispiratore e ideologo dei FAR, scrive che «[...] gli errori compiuti da chi ha cercato di tradurre Evola sul terreno sismico della politica, appartengono a chi li ha compiuti e non ad Evola».[86]

Analoga tesi sostiene Giorgio Galli,[87] sottolineando inoltre di come lo stesso Evola è molto polemico nei confronti delle ristampe così dette "non autorizzate" che alcuni fanno dei suoi testi, soprattutto in relazione agli scritti giovanili (Imperialismo pagano in particolare) e a quelli relativi al problema della razza (Il mito del sangueIndirizzi per una educazione razzialeSintesi di dottrina della razza).

Scrive infatti Evola in L'Italiano: «Non è certo colpa mia se alcuni giovani hanno fatto un uso arbitrario, confuso e poco serio di alcune idee dei miei libri, scambiando piani molto diversi».[88]

Secondo Gianfranco De Turris, non potendo accusare Evola direttamente per i suoi scritti, si tenta di effettuare una "doppia lettura" dei suoi testi: una lettura palese per il volgo ed una "esoterica" per gli "iniziati".[89] Furio Jesi è il primo ad avanzare questa teoria nel suo famoso Cultura di destra del 1979.[90] Sempre secondo il De Turris, lo Jesi giunge ad una conclusione «aberrante [poiché] a suo giudizio attentati e stragi potrebbero essere il risultato di questa pedagogia del compito inutile, una prova iniziatica attuata dai terroristi neri per passare dal primo grado al secondo grado, dal neofascismo profano al neofascismo sacro».[91]

Altri autori sostengono invece che Evola sia un vero e proprio cattivo maestro. Felice Pallavicini – partigiano e frequentatore di Evola – così stigmatizza l'influenza del pensatore tradizionale sui giovani neofascisti: «Non ha fabbricato ordigni esplosivi, non è stato il capo di una banda di dinamitardi, ma le idee producono fatti, conseguenze [...] Ebbene l'evolismo ha prodotto fascismo, razzismo e antisemitismo. La rivolta ha senso solo se alla distruzione segue la ricostruzione, ma Evola ha badato solo a distruggere».[92]

Il dopoguerra 

Nel 1953 pubblica Gli uomini e le rovine – testo che esercita grande influenza negli ambienti della destra italiana – nel quale spiega la decadenza del mondo moderno in seguito alla distruzione del principio di autorità e di ogni possibilità di trascendenza per l'affermarsi del razionalismo, in contrasto con le antiche civiltà e i valori della Tradizione. Nel 1958 esce la Metafisica del sesso sulla forza magica e potentissima dell'atto sessuale, attraverso lo studio dei simboli esteso a numerose tradizioni.

Nel 1959 esce un testo sul pensiero di JüngerL'«Operaio» nel pensiero di Ernst Jünger. Nel 1961 è la volta di Cavalcare la tigre in cui prosegue la sua critica al mondo moderno, offrendo una guida per coloro che pur non sentendo di appartenere interiormente a questo mondo, hanno intenzione di non cedervi psicologicamente ed esistenzialmente. Scrive anche su alcune riviste ispirate al concettometafisico ed immanente di Tradizione, come Il Ghibellino.

Gli uomini e le rovine e Cavalcare la tigre sono considerati due testi fondamentali grazie ai quali c'è «una fattiva adesione dei giovani di destra al ribellismo antisistema partito dalle università»[93] alla fine degli anni sessanta. Scrive Pino Tosca: «Se si medita bene, ci si accorgerà che la posizione dei tradizionalisti nei fatti del '68, proviene in massima parte dalla lettura miscellanea di questi due testi».[94]

Nel 1963 pubblica Il cammino del cinabro, la sua autobiografia, e nel 1968 un volume di saggi: L'arco e la clava.

In questi anni torna all'attenzione del pubblico la sua produzione artistica: nel 1963 Enrico Crispolti organizza una mostra dei suoi quadri alla galleria La Medusa di Roma; nel 1969 viene pubblicata da Scheiwiller Raâga Blanda, una raccolta di tutte le sue poesie, tra cui alcuni lavori inediti.

Riprende anche l'attività giornalistica e scrive su Meridiano d'ItaliaMonarchiaBarbarossaOrdine NuovoDomaniIl Conciliatore,TotalitàVie della Tradizione e Il Borghese.

In questo periodo Evola assiste alla costituzione del Gruppo dei Dioscuri, di cui è uno degli ispiratori[95] attraverso i suoi scritti sulla romanità, il paganesimo e le idee imperiali.

Gli ultimi anni 

Julius Evola in una fotografia del 1973

Vive gli ultimi anni con una pensione di invalido di guerra facendo traduzioni e scrivendo articoli, sostenuto economicamente da alcuni ammiratori guidati da Sergio Bonifazi, direttore del trimestraleSolstitivm. Un primo scompenso cardiaco si manifesta nel 1968, un secondo nel 1970. In quest'ultima occasione viene fatto ricoverare in ospedale da Placido Procesi, suo medico personale. Evola è infastidito dalle suore che lo assistono e minaccia di denunciarle per sequestro di persona. Viene fatto rientrare nella sua abitazione. La sua salute continua costantemente a peggiorare: inizia ad avere difficoltà respiratorie ed epatiche.

Poco prima della morte detta lo statuto originario di quella che sarebbe diventata la Fondazione Julius Evola per la difesa dei valori di una cultura conforme alla Tradizione.[96]

Muore nella sua casa romana di corso Vittorio Emanuele nel 1974. Pur costretto sulla sedia a rotelle, vuole morire in piedi: alcuni amici lo tengono eretto durante gli ultimi minuti della sua vita di fronte alla finestra della sua stanza che guarda il colle Gianicolo.

Pierre Pascal così lo ricorda nei suoi ultimi giorni: «Gli dissi il desiderio supremo di Henry de Montherlant: essere ridotto in ceneri dal fuoco, affinché fossero disperse a brezza leggera del Foro, tra i Rostri e il Tempio di Vesta. Allora quest'uomo, che era davanti a me, disteso, con le belle mani incrociate sul petto mi mormorò dolcemente e quasi impercettibilmente: "Io vorrei... ho disposto... che le mie fossero lanciate dall'alto di una montagna"».[97]

L'esecuzione testamentaria è affidata all'avvocato Paolo Andriani, condirettore della rivista Civiltà e amico fraterno, il quale riesce, dopo molte peripezie, a far cremare il corpo di Evola – come da sua esplicita richiesta – presso il cimitero di Spoleto. L'amica di Evola Amalia Baccelli ricorda che il feretro rimane per molti giorni bloccato al Cimitero del Verano nella stanza mortuaria.[98] Un'urna contenente le ceneri viene consegnata alla guida emerita del CAI Eugenio David – compagno di scalate di Evola in giovinezza – e calata nel crepaccio del Lyskamm Orientale sul Monte Rosa dal Direttore del Centro Studi Evoliani di Genova Renato Del Ponte. Una seconda urna si trova invece presso la tomba di famiglia al cimitero del Verano.

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