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Intorno al Mille a.C. la Puglia fu abitata dagli Iapigi provenienti dall’Illiria, il cui nome fu loro dato dagli antichi greci



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Intorno al Mille a.C. la Puglia fu abitata dagli Iapigi provenienti dall’Illiria, il cui nome fu loro dato dagli antichi greci, che consideravano questi primitivi popoli discendenti del mitico Dedalo. Queste etnie che erano dedite all’agricoltura, alla pastorizia e all’allevamento dei cavalli, si stanziarono agli inizi sul Gargano e poi in tutta la Puglia e nel Bruzio. Quando sbarcarono sulle coste della Puglia gli Iapigi si amalgamarono con la popolazione indigena dando origine a tre gruppi etnici: i Dauni (che si stabilirono nel Tavoliere), i Peucezi (che si insediarono nella terra di Bari) e i Messapi nel Salento. La civiltà dei Dauni ebbe inizio dal primo Millennio, con l’insediamento nel nostro territorio di numerosissimi villaggi che vivevano in un paesaggio lagunare. Fonti in epoca romana (Strab. VI,3,9) ci tramandano che la laguna era navigabile attraverso canali che collegavano le città di Arpi, Salapia e Siponto. Le Stele Daunie scoperte nella piana di Siponto agli inizi degli anni Sessanta e studiate con accuratezza dal grande archeologo lucchese prof. Silvio Ferri, sono la conferma di queste antiche popolazioni vissute nel nostro territorio. Le Stele databili tra il VII e il VI secolo a. C. sono custodite nel museo nazionale archeologico del Castello Svevo-Angioino di Manfredonia. Il loro ritrovamento sconvolse il sistema tradizionale della ricerca e della produzione archeologica Italia. Le raffigurazioni incise sulle Stele funerarie di pietra calcarea narrano di un popolo con costumi e usi singolari, che viveva di caccia, pesca ed era avvezzo alle attività artigianali e alla navigazione.

Durante il Neolitico antico il tavoliere e il Gargano fu popolato da numerosi insediamenti, individuati nel tempo attraverso l’aerofotografia, e ubicati in particolare lungo le coste della laguna, nelle vicinanze dei fiumi e dei corsi d’acqua della falda freatica. Queste popolazioni riunite in poche o singole famiglie, favorite dal clima mite, colonizzarono il nostro territorio ricco di caccia, di pesca e di raccolta di molluschi. I villaggi venivano abbandonati quando i terreni circostanti non erano più produttivi. Nel Neolitico medio, a metà del IV Millennio a.C., a causa del clima secco, gli insediamenti lungo la zona lagunare e i corsi d’acqua subirono una diminuzione. L’abbandono delle popolazioni dalle zone basse, dovuto anche all’abbassamento della falda acquifera naturale, portò allo stanziamento dei villaggi in alture che vanno tuttora sotto il nome di Coppe e Cupole dove l’aria era più salubre e dove più facile era lo scorrimento delle acque piovane. Insediamenti umani significativi si tennero a Passo di Corvo, nelle vicinanze della vecchia Arpi; altri villaggi con notevole presenza di abitanti sono stati scoperti in zona Monte Aquilone e nelle sue vicinanze e quello della masseria Candelaro, quest’ultimo uno dei siti di archeologia tra i più interessanti. Sempre intorno al IV Millennio a.C. la presenza di insediamenti umani sono presenti nelle grotte di Scaloria e Occhiopinto, site nelle vicinanze di Manfredonia, considerati fondamentali per la conoscenza del modo di vivere delle prime comunità agricole del Tavoliere. Nella grotta Scaloria morfologicamente caratterizzata da stalattiti e stalagmiti assume una rilevanza particolare per un primitivo originale culto delle acque. La presenza, poi, di tracce di focolari e di ossi, interpretate come resti di pasti rituali o sacrificali, confermerebbero la sacralità del luogo. Nella grotta Occhiopinto, invece, la frequentazione umana si attesterebbe fino alle soglie dell’età del Bronzo.

Anche nei secoli VII e VIII a.C nelle vicinanze di Siponto erano presenti agglomerati rurali popolati, che ebbero crescita dopo l’anno Mille. Tra i villaggi abitati quello di Sapesso (un nucleo di una certa importanza) e il villaggio di Tilea. Quest’ultimo, devastato e saccheggiato dai Saraceni che lo distrussero insieme ai monumentali alberi di Tiglio che lo circondavano e proteggevano, da cui il borgo prese il nome di Tilea. Molte delle rigogliose piante di Tiglio furono tagliate, abbattute e portate via dagli stessi saraceni.
Nel capitolo V “L’Apulia ed il suo comune nell’alto medioevo“ di Francesco Carabellese è riportato quanto segue sul borgo di Tilea: “Un diploma dell’imperatore Lodovico II concesse ad Ayo arcivescovo di Benevento la cura della stessa basilica Arcangelo sul Gargano. Come fu poi confennaio da altri k. Questo prova che la chiesa di Siponto nella cui diocesi rientravano Monte S.Angelo, faceva parte del grande arcivescovado beneventano, come il principe di Benevento era signore della stessa città di Siponto. Dal palazzo sipontino emanò il principe longobardo Giovanni il diploma redatto da Lamberto notaio, col quale concedeva che si tornasse ad abitare il luogo detto Tilea, già devastato e fatto privo degli annosi tigli, che vi crescevano, dalle ultime incursioni de’ Saraceni”

Dal Codice Diplomatico longobardo, VIII 530, di Carlo Troya sempre con riferimento al borgo di Tilea si evince: “Habitationem incoeperuni in loco qui nominari solet Tilea, quia olin mariorunque nostro rum tempore in eodem loco tiliae arbores altitudinìs imoiensae stare soleban^ quae autem bello Poenorum solbacae et exruptae sunt ecc, Lambertus notarius . Actum in Sipontino in Palatio nostro, p. 330”. Insediamenti umani altresì importanti nei dintorni di Siponto erano: la masseria a Santa Restituta, la villa in località Mascherone, i villaggi nel sito Fontanarosa e in zona della Cupola. Questi siti abitativi e nel contempo produttivi divenuti numerosi nel XIII sec., erano ubicati su rilievi, all’interno di campagne e sulla costa, ed erano collegati attraverso percorsi vari.

Dal XV secolo scomparvero i villaggi nel territorio di Manfredonia perché si creò la Dogana delle Pecore e Il Tavoliere diventò privo di raggruppamenti abitati.

Le orde saracene sul Gargano e a Manfredonia
Nell’anno 718 i Saraceni condotti da Solimano, partiti dalla Sicilia, vennero a stabilirsi nel Promontorio garganico su quel monte che da allora fu chiamato Monte Saraceno. Nell’anno 787 Carlo Magno, favorito dal Papa Adriano, entrò in Roma, s’introdusse nel ducato di Benevento e accolse le richieste di aiuto dei sipontini riuscendo a scacciare i Saraceni dal Gargano. Ancora nel 921 un gran numero di Saraceni provenienti dall’Africa si stabilirono sui Monti Garganici. Questi tormentavano continuamente i Sipontini e ne danneggiavamo le loro proprietà con le loro scorrerie. Dopo vari scontri armati con le orde saracene, gli abitanti di Siponto, stanchi per i continui attacchi subiti, chiesero aiuto al Papa che già nel frattempo aveva ordinato la distruzione dei Saraceni. Nell’anno 930, i Sipontini ed i Beneventani, soccorsi da duemila uomini inviati dal Papa, dettero caccia senza tregua ai Saraceni facendone un strage completa e liberando da essi l’intera Daunia. Va ricordato che le incursioni delle orde saracene iniziate nelle Città del Mediterraneo dall’ VIII sec. continuarono nei secoli successivi. I primi gruppi che s’insediarono sulle coste Mediterranee nel IX e X secolo furono i musulmani d’Africa detti Berberi, mentre i Saraceni e i Mori erano detti arabi in modo generale, in particolare quelli che provenivano dalla Spagna. Nel 1500 i saraceni approfittando della debolezza militare e politica del Regno di Napoli, durante il passaggio di potere tra Aragonesi e Spagnoli saccheggiarono numerose città costiere, tra le quali Vieste, dove il loro feroce comandante Dragut Rais nel 1554 fece uccidere e mozzare le teste a numerosi cittadini, in un sito della Città tristemente denominato ”Chianca Amara”.

Sempre nell’agosto 1554, mentre Vieste cadeva rovinosamente sotto le orde saracene, giunsero notizie al porto della Città dove era ancorata la grande galea da guerra del Gran Visir Acmet Pascià notizie preoccupanti da Otranto, città in quel tempo occupata dai turchi. Questi immediatamente abbandonò la sanguinosa impresa di Vieste e si diresse con le sue galee con a bordo il suo potente esercito e numerosi prigionieri verso Otranto. Il 2 settembre sempre di quell’anno, passando per Manfredonia Acmet Pascià tentò una incursione respinta dalla vigile opera del Conte Alberico di Lugo e un certo Serpencini, che costrinsero il gran visir a rinunciare all’impresa e a lasciare liberi 200 prigionieri. Nel secolo successivo, va altresì ricordato per la storia, che nei giorni dal 16 al 18 agosto del 1620 i turchi assediarono, depredarono, e misero a ferro e fuoco la città di Manfredonia, distruggendo totalmente il bellissimo Duomo Angioino, i conventi e le chiese. Molti sipontini si rifugiarono nel castello, ma furono traditi dal codardo castellano don Fernando di Velasco. Questi ignaro della sorte dei sipontini, per avere salva la sua vita insieme a quella dei suoi familiari, si affannò per patteggiare la resa del castello con i saraceni. L’esercito delle orde saracene composto anche da numerosi rinnegati e schiavi convertiti alla religione islamica, nel corso del saccheggio rubarono quasi tutte le campane dei campanili delle chiese, incendiarono altresì antichi documenti laici ed ecclesiastici e i palazzi storici; metà della popolazione fu uccisa dopo aver subito inaudite violenze, un devastante saccheggio (seguito successivamente dallo sciacallaggio meschino dei medesimi sipontini e da quello effettuato dagli abitanti dei comuni vicini, come ci ricorda nei suoi scritti del ‘700 Matteo Spinelli) dal quale la Città si riprese dopo decine di anni.

**L’albero del tiglio della famiglia delle Tiliaceae è originaria dell’Europa e del Caucaso. Gli alberi di notevoli dimensioni hanno vita lunga e possono raggiungere anche i 30 metri di altezza. Sono particolarmente resistenti al caldo e alla siccità. Con le foglie e i fiori della pianta si possono realizzare infusi di tiglio, bevanda particolarmente adatta per chi soffre d’insonnia, di problemi respiratori, mal di testa, stati d’ansia e nervosismo.

***Note bibliografiche per il presente articolo: Codice Diplomatico Longobardo, VIII 530; “L’Apulia e il suo comune nell’alto medioevo”; “L’antica e la Nuova Siponto” di Luigi Pascale; “Il Triduo della mezzaluna nella Manfredonia del Seicento“ di Matteo Di Turo; SipontoManfredonia” di Paolo Cascavilla; “Siponto Antica” di Marina Mazzei; “Memorie storiche dell’Antica e Moderna Siponto” di Matteo Spinelli; “Storia e Immagini di Siponto e Manfredonia”(Centro Regionale Servizi Educativi e Culturali-Manfredonia).
”Nu squicce de storje arrefrèscke sembe la mènde, pe ne scurdè chica sume e daddì ca venime”.

a cura di Franco Rinaldi, cultore di storia e tradizioni popolari di Manfredonia

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