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I dati diffusi dal Crea tracciano un quadro di espansione incontrollata delle aree boschive italiane. Ci sono rischi? Un punto di vista diverso

di Lisa Signorile

http://www.nationalgeographic.it/ambiente/2016/02/25/news/lasciate_...

ambiente,italia,agricoltura,foreste

Il bosco della Camosciara, nel Parco nazionale d'Abruzzo. Fotografia di Barbara Dall'Angelo

"Io non so se sia vero quello che si legge nei libri, che in antichi tempi una scimmia che fosse partita da Roma saltando da un albero all'altro poteva arrivare in Spagna senza mai toccare terra", scriveva Italo Calvino ne Il Barone Rampante. Neanche noi sappiamo se sia vero, ma una cosa sappiamo di sicuro: i boschi italiani, dopo un periodo buio in cui sono andati decrescendo e riducendosi al lumicino, sono finalmente in ripresa.

Lo si legge nei dati dell’INFC, inventario nato in ottemperanza, da parte dell’italia, dei protocolli di Kyoto, della conferenza di Rio de Janeiro, dalla Convenzione per la Lotta alla Desertificazione (UNCCD) e vari altri protocolli internazionali in difesa dell’ambiente, del clima e, in ultima analisi, della nostra sopravvivenza.

Non tutti sembrano però esultare degli ottimi risultati italiani: se si guarda a questo sviluppo forestale non come bene in sé, ma come bene economico non sufficientemente sfruttato dalle imprese, i toni sono tutt’altro che rassicuranti.

Tuttavia, 
non di sola economia si vive, e ci sono dati che meritano di essere osservati dalla lente dell’ecologia.

L’Italia ha conosciuto periodi alterni di deforestazione e riforestazione, soprattutto a causa di fattori umani, sin dall’epoca dei Romani: l’espansione dell’Impero e le continue necessita’ di campi agricoli, pascoli, materiale da costruzione e legna da ardere portarono al taglio delle foreste su larga parte della penisola, erosero i suoli e desertificarono alcuni ambienti, che si ripresero solo alla fine dell’Impero Romano. La deforestazione ripartì dopo l’anno Mille, si arginò a cavallo della crisi del Trecento, ripartì in grande stile con la rivoluzione industriale e conobbe un massimo storico in corrispondenza della Prima guerra mondiale.

In questi alterni periodi la ripresa dei boschi era spontanea, non vi erano ovviamente piani gestionali, politiche mirate e gli interventi di rimboschimento erano minimi. I boschi si affidavano, per la loro ripresa, all’avanzata delle specie decidue pioniere, con chioma che lascia passare luce e quindi garantisce anche un folto sottobosco. Pian piano la composizione forestale cambia, sino alle foreste mature, composte di alberi d’alto fusto, buie e prive di sottobosco. Al momento in Europa resta (miracolosamanete) una sola foresta vergine, mai gestita dall’uomo negli ultimi secoli, la foresta di Bia?owieska tra la Polonia e la Bielorussia, e in essa la biodiversita’ e’ massima. Tutte le altre foreste, dovranno attendere, e sperare.

Secondo i dati dell’Inventario Forestale Nazionale, l’Italia e’ passata da 8.675.000 ettari di foreste nel 1985, epoca del primo censimento, a 10.470.000 Ha nel 2015, con un incremento del 20% in trent’anni, portando la superficie boscata italiana a circa il 34%. Questo trend non è però lineare e la ripresa sta rallentando: negli ultimi dieci anni la crescita e’ stata solo dello 0.6% annuo, relativamente piu’ lenta rispetto ai vent’anni precedenti.

Il grosso di queste foreste si trova in Toscana, Sardegna e Piemonte (vedi grafico qui), per la maggioranza in aree montuose con forti pendii, e di conseguenza non coltivabili e non terrazzabili, quindi poco utili dal punto di vista agricolo, ma fondamentali per contenere il rischio idrogeologico. Il vincolo idrogeologico interessa gran parte della superficie forestale totale del paese (l’80,9%), e riguarda soprattutto la macrocategoria del bosco. A livello di distretti territoriali, la percentuale di superficie di bosco vincolata si mantiene sempre superiore all’80%, con valori molto alti, oltre il 95%, in corrispondenza di alcuni distretti del Nord e Centro Italia (Trentino, Alto Adige, Veneto, Umbria, Toscana).

Sebbene servano a evitare frane, potremmo pero’ sfruttare il surplus di questi boschi, gestirli, correggerli, sfruttarli, tagliarli a nostro uso e consumo, come propongono gli economisti? Cosa ce ne facciamo, tutto sommato, dei boschi? Se abbiamo eccessi di boschi in ripresa, non potremmo usarli per farne legname e combustibile?

Il primo dato che emerge leggendo però i dati Crea nell'Annuario dell'agricoltura italiana 2014 e’ che I due terzi (67%) dei boschi italiani sono di proprieta’ privata e sono polverizzati in minuscole parcelle di superficie variabile da 0,5 o meno a 3 ettari. La gestione omogenea di  queste frazioni risulta pertanto impraticabile, sebbene a livello nazionale l’81.3% della superficie forestale totale risulti disponibile al prelievo legnoso. La decisione sul cosa farne dipende, tutto sommato, dai singoli proprietari.

I boschi hanno però un valore intrinseco incomparabile al loro (scarso) valore monetario. Gli alberi sequestrano e immobilizzano anidride carbonica dall’aria convertendola in biomassa, riducendo l’effetto serra e rallentando i cambiamenti climatici. In questo rappresentano un adempimento chiave agli obblighi imposti dai trattati internazionali. Bruciarli come combustibile è poco efficiente, rilascia l’anidride carbonica e non compete con i più efficienti sistemi di riscaldamento a metano o di teleriscaldamento. Farne legname per mobili, potendo utilizzare le piantagioni a a turn-over rapido e ciclo continuo del nord Europa, è un non-sense ecologico. In Italia abbiamo analoghe piantagioni, costituite prevalentemente da pioppeti e destinati alla produzione della carta, ma non abbiamo la tradizione nord europea per le piantagioni di alberi da legname: tagliare le foreste di cedui misti per farne salotti ci porterebbe presto su una strada pericolosa.

Inoltre, le foreste preservano biodiversità. Secondo Susanna Nocentini, professore ordinario del Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali dell’Universita’ di Firenze, “le foreste rappresentano il sistema naturale a più alto contenuto di diversità non solo genetica, specifica ed ecosistemica, ma anche storica e culturale, e la loro resilienza dipende dal mantenimento dell’eterogeneità e della variabilità”. Nel nostro paese, riporta la ricercatrice in una presentazione all’ISPRA di qualche anno fa, tutti i sistemi forestali sono stati influenzati, anche se in diversa misura, dall’attività umana, ma la coltivazione del bosco porta a semplificazione della struttura e della composizione  e a una riduzione della complessità del sistema.

A una complessità forestale corrisponde una complessitaà faunistica, ed è proprio grazie a questa ripresa dei boschi che molte specie minacciate come lupi, martore, scoiattoli rossi o i coleotteri chiamati cervi volanti stanno tornando a popolare terre che altrimenti sarebbero dei deserti.

Indubbiamente la presenza di specie alloctone come la robinia e l’ailanto andrebbe gestita e controllata, ma resta un dato fondamentale: quasi nessun altro paese europeo, nonostante gli sforzi, è riuscito ad avere il nostro successo involontario: la Gran Bretagna ad esempio, dopo quasi un secolo di rimboschimenti da parte della Forestry Commission, conta appena 2.982.000 ettari, tre volte e mezzo meno dell’Italia: un successo, il nostro, di cui non si puo’ non gioire.
 

(25 febbraio 2016)

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