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Legale ed autorizzata, la prostituzione nella Roma antica, poteva essere praticata sia dalle donne che dagli uomini, anche i personaggi di più alto rango della società romana erano liberi di intrattenersi in tali rapporti, senza per questo incorrere nella disapprovazione morale. Allo stesso modo però, le prostitute venivano relegate alla condizione di infamia, cioè totalmente prive di qualsivoglia posizione sociale e mancanti della maggior parte delle protezioni concesse a chi possedeva i requisiti di  cittadinanza, essendo nella maggior parte dei casi, schiave o liberte. Lo stesso status era condiviso anche dai gladiatori e dagli attori del teatro latino. La stessa letteratura latina, negli scritti di Tacito o di Tito Livio, fa spesso riferimento, più o meno esplicitamente, all’esercizio di tale pratica, ricordando certe prostitute che nel tempo sono riuscite ad emergere, riuscendo ad acquisire un certo grado di rispettabilità, mediante atti patriottici o all’aver compiuto elargizioni disinteressate al popolo romano. La realtà in cui erano costrette a vivere le prostitute ci è stata tramandata nelle poesie di Catullo, Ovidio e Giovenale, oltre alla gran varietà di dipinti e iscrizioni ritrovati in gran numero, particolarmente a Pompei.

La prostituzione nella Roma antica, affresco dalla villa dei misteri a Pompeihttps://romaeredidiunimpero.altervista.org/wp-content/uploads/2019/04/Roman_fresco_Villa_dei_Misteri_Pompeii_-_detail_with_dancing_menad-290x480.jpg 290w" sizes="(max-width: 504px) 100vw, 504px" />
La prostituzione nella Roma antica, affresco dalla villa dei misteri a Pompei

La Prostituzione nella Roma antica, le prostitute:

Anche se come detto in precedenza, la prostituzione nella Roma antica poteva essere praticata sia da uomini che da donne, è ampiamente documentato che quella femminile fosse molto più comune. In diverse situazioni una prostituta poteva essere autonoma, affittando di sua tasca una camera dove ricevere i clienti, ma più spesso conviveva con una “Lena”, una sorta di protettrice, che in molti casi poteva essere la stessa madre.  Una meretrice poteva però anche esercitare la sua professione al di fuori della sua casa, svolgendola in un bordello (Lupanare), o in un’osteria, dove il proprietario provvedeva a procurare la clientela.  Tutto ciò suggerisce che molte donne  facessero ricorso alla prostituzione pur se nate libere ma in uno stato di disperato bisogno finanziario, e tali prostitute possono essere state considerate relativamente di maggiore notorietà rispetto alle altre. Alcune tra le più esperte, grazie alle frequentazioni di alto borgo, potevano diventare molto ricche in breve tempo, famoso è il caso del dittatore, Lucio Cornelio Silla, il quale si suppone che dovesse i suoi possedimenti alle ricchezze lasciategli da una prostituta nel suo testamento. Anche ai tempi di Cicerone, famosa era la cortigiana, Citeride, ospite assai gradita ai banchetti di alto livello, per la sua istruzione e per le sue doti artistiche, ma che abbigliamento e che aspetto avevano? Alcune di esse erano solite indossare la toga, un capo di abbigliamento consentito ai soli uomini, uno sconfinamento ancora oggi variamente interpretato, ma le cortigiane più in vista, in privato erano solite indossare abiti di seta costosi e trasparenti, e quelle di più basso livello? La tesi più riconosciuta, rafforzata da molte illustrazioni ritrovate nei vari lupanari, vuole che le prostitute di livello  più infimo, accogliessero i propri clienti completamente nude, o tutto al più indossando una sorta di reggiseno che manteneva in molte occasioni anche durante i rapporti sessuali.

La Prostituzione nella Roma antica, prostituzione forzata e regolamentazione:

Essendo nella gran parte dei casi, schiave, è difficile realizzare fino a che punto questa attività fosse volontaria o meno, certo è che un proprietario aveva diritto di vita e di morte su di uno schiavo e pertanto poteva legittimamente sfruttare i suoi uomini o le sue donne come più faceva comodo. Comunque, sebbene uno stupro nella Roma antica fosse punito solo nel qual caso, quest’atto avesse, per così dire, “danneggiato la merce”, la pena veniva finalizzata a risarcire il padrone, compensandolo per il danno subito alla sua proprietà. Il primo Imperatore di Roma, Ottaviano Augusto, redasse una legge secondo la quale una donna che avesse commesso adulterio, sarebbe stata condannata alla prostituzione forzata nei lupanari, una legge abolita solo nel 389 d.C..

La prostituzione nella Roma antica venne regolamentata, non tanto per ragioni morali, quanto per massimizzarne quanto più possibile il profitto. Ogni prostituta era tenuta a registrarsi presso gli uffici dell’edile, fornendo il proprio vero nome, il luogo di nascita, e lo pseudonimo sotto il quale intendeva svolgere la propria attività. Se una ragazza appariva giovane e di rispettabili origini, gli addetti alla registrazione avrebbero tentato di dissuaderla, ma se ciò non andava a buon fine, le avrebbero consegnato la licenza e valutato il prezzo con il quale avrebbe dovuto fornire i suoi servizi. Una volta entrate nel giro, il nome sul registro non sarebbe più stato rimosso, creando un ostacolo di non poco conto in caso di pentimento nel tentativo di tornare ad una vita più rispettabile. L’Imperatore Caligola inaugurò una tassa sulle prostitute, facendo riscuotere una parte delle tariffe che ciscuna di esse guadagnava, aggiungendo una clausola secondo la quale ogni donna che avesse esercitato e ogni uomo che ne avesse esercitato la procura, fossero pubblicamente classificati. Questa legge venne sfruttata anche, secoli dopo,  dall’Imperatore Alessandro Severo, il quale dispose che tali entrate dovessero essere utilizzate per la manutenzione degli edifici pubblici.

La prostituzione nella Roma antica, scena di sesso da un murale di Pompeihttps://romaeredidiunimpero.altervista.org/wp-content/uploads/2019/04/Sexual_scene_on_pompeian_mural_6-320x450.jpg 320w" sizes="(max-width: 686px) 100vw, 686px" />
La prostituzione nella Roma antica, scena di sesso da un murale di Pompei

La Prostituzione nella Roma antica, i Lupanari:

I Lupanari (dal termine Lupa con cui si identificava una prostituta), si concentravano principalmente nella Suburra, tra la valle del colle Celio e dell’Esquilino. Questo quartiere, densamente abitato e ricco di taverne, bancarelle, caserme per i soldati stranieri acquartierati a Roma, e negozi, era un luogo ideale per chiunque avesse intenzione di apririvi un lupanare, affittare un luogo per tale attività era assolutamente legittimo. Mentre alcuni lupanari, i più popolari, apparivano sporchi, bui e scarsamente ventilati, facilitando il persistere degli odori sgradevoli, altri si prefiggevano una clientela di più alto rango con all’interno parrucchieri per donna che avevano il compito di risistemare le varie acconciature dopo ogni rapporto, e di alcuni ragazzi che attendevano all’ingresso di ogni stanza con diversi contenitori di acqua. All’interno di ogni stanza vi era comunque solo una lampada di bronzo, o nei casi più infimi, di argilla, e un lettino ricorperto da una sorta di piccola trapunta, che all’occorrenza poteva servire anche come tendaggio.  Le case in licenza sembrano essere state di due tipi: quelle di proprietà e gestiti da un protettore o protettrice e quelli in cui questi ultimi erano solo  agenti che riscuotevano l’affitto delle camere messe a disposizione oltre ad agire come fornitori per gli affittuari. Nel primo caso il proprietario teneva un segretario  o un sorvegliante per le ragazze; questo responsabile, assegnato il nome alla donna ne fissava i prezzi, riceveva il denaro e la riforniva di abbigliamento ed altre necessità. Era anche  dovere di questo responsabile fare da cassiere, per tenere conto di quanto ogni ragazza aveva guadagnato: a seconda dei conti del bordello se ne adattava la tassa. Anche gli archi sotto i vari circhi erano mete di prostitute, questi antri nascosti sono stati chiamati “fornix”, da cui deriva il termine “fornicazione”, le stesse taverne vennero considerate dai magistrati romani dei bordelli a tutti gli effetti, considerando quindi le cameriere che vi lavoravano di conseguenza. 

La Prostituzione nella Roma antica, prostituzione e religione:

Le prostitute ebbero nel corso della storia di Roma anche un ruolo in diverse osservanze della religione romana, in particolare nel mese di aprile.  Il primo di aprile le donne onoravano la Fortuna Virilis, una festività dedicata a Venere, in questa occasione, Ovidio, ci racconta che le prostitute si univano alle matrone romane durante il rito di purificazione ai piedi della statua della divintà. Il 23 di aprile durante i “Vinalia” una festa dedicata al vino e il 25 durante la festa agricola dei Robigalia, le prostitute mandavano offerte ai due templi di Venere situati a Roma, sul Campidoglio e sul Quirinale. Il 27 aprile infine durante la festività dedicata alla Dea Flora, si svolgevano dei balli molto sensuali eseguiti da alcune prostitute completamente nude.

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