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Cosimo de' Medici, il fondatore di una dinastia

Esperto banchiere e politico prudente, Cosimo de Medici gettò le basi per una dinastia che sarebbe durata tre secoli. In una Firenze divisa dalle rivalità tra le grandi famiglie, usò la sua ricchezza per tessere una vasta rete di influenze che lo resero il primo signore di fatto della città


Alla fine del XIV secolo la fiorente borghesia italiana si preparava a consumare il sorpasso della vecchia classe aristocratica. Sebbene possedere un nobile lignaggio fornisse ancora status e notevole influenza, l'economia dettava ormai il destino delle città. Le corporazioni erano sempre più influenti, il commercio fioriva ed aumentava esponenzialmente il potere delle banche, dai cui prestiti dipendeva ogni azione politica, dalla realizzazione di opere pubbliche alla capacità di reclutare eserciti nelle continue guerre contro le città vicine.

Ritratto di Cosimo de' Medici di Peter Paul Rubens. 1612 - 1614. Museum Plantin-Moretus, Anversa, Belgio

Ritratto di Cosimo de' Medici di Peter Paul Rubens. 1612 - 1614. Museum Plantin-Moretus, Anversa, Belgio

Foto: Pubblico dominio

Al momento della sua nascita, il 27 settembre 1389, Cosimo de Medici – in seguito chiamato "Il Vecchio" per distinguerlo dai suoi successori che avrebbero portato lo stesso nome – non sembrava possedere i requisiti per ambire al successo in questo scenario: solo due generazioni prima di lui, la sua famiglia era impegnata nel commercio della lana. Ma suo padre Giovanni investì i suoi modesti beni nella creazione di una banca a Firenze nel 1397, che 30 anni dopo poteva contare su una grande fortuna e filiali a Roma e Venezia. Alla morte di suo padre, nel 1429, Cosimo e suo fratello minore Lorenzo ereditarono quasi 200.000 fiorini d'oro e un'invidiabile rete di influenze che giungevano fin dentro al Vaticano.

Un manager prudente

Sull'orlo dei quarant'anni Cosimo era in una posizione molto più influente di quella che suo padre aveva mai ricoperto. Oltre ad essere molto ricco, era riuscito ad acquisire una posizione sociale rilevante grazie al matrimonio con Contessina de Bardi, esponente di una delle famiglie aristocratiche più illustri della città. Questo legame gli permise di trattare da pari a pari con le famiglie di alto rango dentro e fuori le mura di Firenze.

 Ritratto postumo di Contessina de Bardi, moglie di Cosimo de' Medici. Olio su tela. Cristofano dell'Altissimo. 1570 - 1580

Ritratto postumo di Contessina de Bardi, moglie di Cosimo de' Medici. Olio su tela. Cristofano dell'Altissimo. 1570 - 1580

Foto: Pubblico dominio

Cosimo fu probabilmente il gestore più abile della sua famiglia: nei 25 anni in cui fu a capo della banca dei Medici raddoppiò le ricchezze che aveva ricevuto da suo padre e aprì nuove filiali a Napoli, Ginevra, Bruges, Parigi, Londra, Pisa, Avignone, Milano e Lione. Nonostante il ruolo politico che acquisì nel corso del tempo, rimase essenzialmente un uomo d'affari. La fortuna di famiglia gli permise di guadagnare il favore di umili e potenti: creò posti di lavoro in beneficio dei primi, grazie alla sponsorizzazione di opere pubbliche, ottenendo un grande sostegno tra i sindacati e facilitando il progresso sociale dei loro capi; ai secondi concedeva invece i prestiti necessari per acquistare favori, pagare eserciti mercenari o procurarsi generose doti per le loro figlie.

Fu anche il primo grande mecenate dei Medici e dedicò ingenti somme di denaro ad opere pubbliche come il convento di San Marco, la Basilica di San Lorenzo, la Biblioteca Medicea Laurenziana – che nutriva con un generoso contributo di opere classiche – e il il progetto più ambizioso che la città abbia mai visto: la costruzione della cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Fondò pure l'Accademia Neoplatonica, che segnò l'inizio del Rinascimento intellettuale fiorentino.

Interno della Biblioteca Medicea Laurenziana

Interno della Biblioteca Medicea Laurenziana

Foto: Di I, Sailko, CC BY 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=3810386

Tuttavia – e nonostante la sua formazione umanistica – il patrocinio di Cosimo era principalmente uno strumento pratico di promozione politica e come tale un investimento calcolato con prudenza. Nelle commissioni private stava attento a non realizzare progetti troppo ostentati per evitare di suscitare invidia e pettegolezzi e si impegnava in progetti pubblici solo a condizione che il suo patrocinio fosse associato alla prosperità della città e non fosse interpretato come un'esibizione pubblica di ricchezza.

Il patrocinio di Cosimo era in realtà un'opera di promozione politica, un investimento calcolato con prudenza

Equilibrio dei poteri

I tempi erano cambiati e il denaro contava ormai più del cognome. I nobili fiorentini non erano contenti di questa situazione: fino a quel momento infatti l'aristocrazia aveva ricoperto la totalità delle cariche pubbliche e non vedeva di buon occhio l'accesso della borghesia – o peggio ancora dei capi sindacali – alle istituzioni politiche. A quel tempo la fazione aristocratica era guidata dalle potenti famiglie degli Albizzi e degli Strozzi, che vedevano i Medici come un pericoloso contrappeso al loro potere: sebbene Cosimo, in linea con il suo carattere prudente, cercasse di non monopolizzare molti uffici pubblici, attraverso favori economici fu capace di tessere una vasta rete di legami clientelari che gli garantiva, nella pratica, il sostegno a tutti i suoi progetti.

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Accusandolo di aver cercato di stabilire un governo tirannico, i suoi rivali riuscirono a far arrestare Cosimo, che evitò la condanna a morte solo grazie all'intervento di potenti alleati – uno fra tutti, papa Eugenio IV – che in passato i Medici avevano favorito con la banca di famiglia. Scampato alla morte fu esiliato a Venezia, dove visse a suo agio per alcuni mesi: la sua assenza dalla scena politica fiorentina si ritorse però contro i suoi nemici, poiché la rete di influenze dei Medici riuscì a fare in modo che l'esilio venisse revocato nel giro di un anno, quando Cosimo tornò trionfalmente a Firenze.

Una lettera scritta da Cosimo de’ Medici a suo figlio Giovanni di Cosimo de’ Medici. Archivio di Stato, Medici avanti il Principato, Firenze. 24 giugno 1442

Una lettera scritta da Cosimo de’ Medici a suo figlio Giovanni di Cosimo de’ Medici. Archivio di Stato, Medici avanti il Principato, Firenze. 24 giugno 1442

Foto: Pubblico dominio

Questo ritorno rappresentava per i nobili la conferma che il loro tempo stava per finire: la creazione di nuovi organi di governo, con una maggioranza favorevole alla politica popolare di Cosimo, fu l'inizio di un cambiamento nelle istituzioni governative, in cui le corporazioni contavano sempre di più. A sua volta questo processo influenzò anche la politica estera, in cui le alleanze si stipulavano ormai in base a interessi economici e dove l'equilibrio tra le varie potenze della penisola italiana era sempre più precario.

Il ritorno di Cosimo dall'esilio rappresentò per i nobili la conferma che il loro tempo stava per finire

Anche in questo senso Cosimo de' Medici, grazie al suo carattere calcolatore, seppe gestire la diplomazia internazionale: sfruttando le sue alleanze personali fu stato in grado di trovare un equilibrio tra le città rivali di Milano e Venezia, in modo che nessuna dei due prevalesse sull'altra e arrivasse così a minacciare la sicurezza di Firenze.

Il primo signore di Firenze

Agli inizi del 1450 Cosimo era ormai uno degli uomini più influenti della penisola e aveva reso Firenze il fulcro della politica italiana. Fuori dalle mura della sua città veniva trattato quasi alla pari con un capo di stato e la banca di famiglia andava a gonfie vele. Tuttavia, la sua salute obbligò un uomo ormai divorato dalla gotta – una malattia che avrebbe colpito molti suoi discendenti – a ritirarsi dalla scena pubblica. I suoi figli ne occuparono il posto a livello politico mentre gli eredi di suo fratello Lorenzo – morto nel 1440 – gli subentrarono negli affari. La stirpe di questi ultimi avrebbe comandato il Gran Ducato di Firenze, circa un secolo più tardi.

Firenze fu la culla del Rinascimento, contrassegnato da artisti come Leonardo o Brunelleschi, autore della cupola di Santa Maria del Fiore, nell’immagine

Firenze fu la culla del Rinascimento, contrassegnato da artisti come Leonardo o Brunelleschi, autore della cupola di Santa Maria del Fiore, nell’immagine

Foto: Pietro Canali / Fototeca 9x12

Nonostante gli sforzi di Cosimo per aumentare il prestigio e il potere della sua famiglia, la sorte non gli arrise: nel 1463 morì il suo figlio prediletto, Giovanni, nel quale aveva riposto le sue speranze di successione in vista della fragile salute del suo primogenito Piero. Le sue aspettative dipendevano quindi dal giovane nipote Lorenzo, che aveva appena 15 anni, ma in cui il vecchio Cosimo apprezzava un precoce talento diplomatico che non aveva nulla da invidiare al suo, sebbene il Magnifico non gestisse la fortuna della famiglia con la stessa prudenza che aveva caratterizzato lo zio.

Il primo agosto 1464, a quasi 75 anni e consumato dalla gotta, Cosimo il Vecchio morì nella sua villa a Careggi, nella periferia di Firenze, il rifugio personale in cui si ritirò in cerca di tranquillità.

Parete est della 'Cappella dei Magi'. In testa al corteo, in sella a un cavallo, si trova Lorenzo de' Medici e dietro di lui Piero e Cosimo de' Medici

Parete est della 'Cappella dei Magi'. In testa al corteo, in sella a un cavallo, si trova Lorenzo de' Medici e dietro di lui Piero e Cosimo de' Medici

Foto: Pubblico Dominio

Gli storici successivi si avvicinarono all'eredità di Cosimo de 'Medici da prospettive opposte: la maggior parte lo lodava come il fondatore dell'età d'oro di Firenze, mentre altri lo criticavano identificandolo con la causa della deriva autocratica delle istituzioni repubblicane. Ne è prova il fatto che, alla sua morte nel 1464, la Signoria fiorentina si offrì di finanziare per lui un funerale di stato. L'offerta fu gentilmente declinata dal figlio Piero, per desiderio espresso di Cosimo, che nelle sue ultime volontà lasciava scritto di voler essere sepolto come un semplice cittadino.

La Signoria gli concesse comunque il titolo di "Padre della Patria", l'ultimo gesto di una città immensamente grata al vecchio statista, che morì com'era vissuto: con apparente modestia, ma di fatto come signore di Firenze.

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