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Madain Saleh, la ricca città nabatea nel deserto arabo

Anticamente conosciuta come Hegra, la piccola "Petra dell’Arabia Saudita" venne scoperta dagli archeologi alla fine del XIX secolo


https://www.storicang.it/a/madain-saleh-ricca-citta-nabatea-nel-des...

A gli inizi del XX secolo, alla vigilia dei grandi cambiamenti che avrebbero posto fine all’impero ottomano, l’oasi di Madain Saleh, situata nel nordovest dell’Arabia Saudita, fu interessata da due piccole rivoluzioni: la costruzione della ferrovia dell’Hejaz, destinata a collegare le città di Damasco e Medina, e l’avvio di ricerche archeologiche.

Gli orientalisti francesi Jaussen e Savignac, nel corso della prima campagna archeologica nell’antica Hegra, nel 1907

Gli orientalisti francesi Jaussen e Savignac, nel corso della prima campagna archeologica nell’antica Hegra, nel 1907

Foto: Scuola biblica di Gerusalemme

Fino ad allora questa pianura dominata da impervi rilievi di arenaria era rimasta in uno stato di isolamento quasi totale, interrotto esclusivamente dall’occasionale passaggio dei pellegrini diretti alla Mecca. Gli stranieri non erano i benvenuti e solo un esiguo numero di occidentali aveva osato avventurarsi nella regione. Il poeta e viaggiatore inglese Charles Montagu Doughty vi giunse nel 1876, dopo essersi unito sotto mentite spoglie a un gruppo di pellegrini, molti dei quali conoscevano Madain Saleh poiché non era distante dal luogo detto della “fonte di Mosè”, dove solevano sostare le carovane. La città appariva simile a Petra, la leggendaria capitale dei nabatei, sorta nell’odierna Giordania tra il IV e il I secolo a.C.

Le iscrizioni che Doughty annotò, decifrate nel 1884 dallo storico ed erudito francese Joseph-Ernest Renan, attestavano infatti che si trattava dell’antico centro nabateo di Hegra, una fiorente stazione carovaniera sorta lungo la cosiddetta Via dell’incenso, che univa gli attuali Oman e Yemen al Mediterraneo. Fu allora che tra gli orientalisti si accese il desiderio di intraprendere un’esplorazione sistematica dell’Arabia Saudita.

Una città di pietra

Nel 1907 i due padri domenicani Antonin Jaussen e Raphaël Savignac, professori della Scuola biblica e archeologica francese di Gerusalemme, furono i primi europei a indagare esaustivamente il terreno del sito. Partiti dalla Città Santa nel mese di marzo, attraversarono il Giordano nei pressi di Gerico e giunsero a Madaba, in Giordania, da dove avrebbero proseguito in treno fino a Tabuk nell’Arabia Saudita, approfittando della linea ferroviaria appena costruita. Percorsero infine gli ultimi 250 chilometri fino a Madain Saleh a dorso di cammello. Per alcune settimane esaminarono con cura la zona, studiando gli imponenti gruppi di arenaria che sorgevano isolati nel deserto, alla ricerca delle tracce della città fiorita duemila anni prima.

Scolpita in un imponente monolite roccioso che si erge solitario nel deserto, benché incompiuta è la tomba più grande e suggestiva di Madain Saleh

Scolpita in un imponente monolite roccioso che si erge solitario nel deserto, benché incompiuta è la tomba più grande e suggestiva di Madain Saleh

Foto: Andreas Wolf / Age Fotostock

Durante questa prima spedizione e nelle due successive, del 1909 e 1910, Jaussen e Savignac non rinvennero resti di abitazioni, ma poterono raccogliere numerose informazioni sull’architettura funeraria nabatea. Così come a Petra, anche a Hegra l’antico popolo di mercanti aveva scavato nella pietra centinaia di tombe, che presentavano una sintesi di elementi greco-romanai, nabatei e babilonesi. Particolarmente ben conservate sono quelle scolpite nello sperone roccioso di Qasr al-Bint, situato nella zona orientale del sito.

A differenza di Petra, tuttavia, le pareti delle tombe di Hegra sono arricchite da numerose epigrafi in tardo aramaico, che ci offrono preziose informazioni su coloro che ne commissionarono la costruzione; si trattava in molti casi di donne facoltose.

Jaussen e Savignac scoprirono inoltre il luogo santo della città, uno sperone di roccia isolato che si erge nell’area nordorientale del sito, chiamato Jabal Ithlib. Si accede al suo interno attraverso uno stretto passaggio naturale (siq), al cui ingresso si trova una piccola sala, detta diwan, destinata probabilmente a banchetti rituali. Nicchie votive e iscrizioni sacre corrono lungo le pareti del siq, che sfocia in uno spazio aperto di forma circolare, dove avevano luogo i riti sacri in onore di Dushara, il Signore della montagna.

Scultura nabatea in pietra risalente al I secolo a.C. Museo della Cittadella, Bosra (Siria)

Scultura nabatea in pietra risalente al I secolo a.C. Museo della Cittadella, Bosra (Siria)

Foto: Manuel Cohen / Art Archive

L’inesorabile declino della città avrebbe avuto inizio nel 106 d.C., quando il regno nabateo fu annesso dai romani, che spostarono l’asse del commercio verso i porti del mar Rosso, e nel VI secolo d.C. il centro fu completamente abbandonato.

Sulla caduta di Hegra, ormai in rovina al tempo di Maometto, esiste persino una leggenda, narrata nel Corano: il profeta Saleh, mandato da Allah per convertire gli abitanti del luogo (i corrotti tamudeni), consegnò loro una cammella con il suo piccolo, che avrebbe condiviso il latte materno con gli uomini. Ma i tamudeni, incuranti degli ammonimenti del profeta, uccisero i due animali sacri e incorsero così nella vendetta di Allah che li sterminò senza pietà. Questa tradizione avrebbe lasciato il segno nella toponomastica locale: il punto di ingresso settentrionale nella piana di Madain Saleh è detto Mabrak an-Naqa, ossia “il luogo dove la cammella si inginocchiò”, mentre l’odierno nome di Hegra non significa altro che “la città del profeta Saleh”.

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Gli studi più recenti

Le fonti antiche offrono scarse notizie sulla Hegra preislamica, e solo l’archeologia ha contribuito a fare un po’ di luce. Gli studi degli orientalisti francesi Jaussen e Savignac sono rimasti a lungo l’unica fonte d’informazione sull’antica Hegra; solo negli anni 2000, dopo alcuni interventi sporadici, una spedizione franco-saudita ha dato finalmente l’avvio a nuove ricerche. Gli scavi più recenti hanno dimostrato che sebbene i nabatei abbiano condotto la città alla prosperità, non ne sono i fondatori.

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