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Washington Irving e l’incanto dell’Alhambra

Nel 1829 lo scrittore nordamericano realizzò un viaggio fino a Granada. Meravigliato dall’Alhambra, le dedicherà un’opera che la renderà famosa in tutto il mondo


Fu una delle personalità più inquiete e affascinanti che diedero lustro alla giovane repubblica nordamericana. Lo stesso nome dello scrittore, storico, diplomatico, antropologo e viaggiatore romantico era un omaggio a George Washington, padre fondatore degli Stati Uniti. Divenuto famoso a poco più di vent’anni per aver scritto una storia satirica di New York, sua città natale, maturò il suo stile a Liverpool, dove si trasferì nel 1815 per rappresentare gli interessi dell’attività familiare d’import-export. Quando, tre anni dopo, l’attività fallì, Irving si dedicò a viaggiare per l’Europa e a scrivere libri di racconti che ottennero un grande successo. Dai suoi numerosi viaggi avrebbe tratto Racconti di un viaggiatore, pubblicato nel 1824. Nella raccolta di racconti compaiono anche alcuni testi dedicati al brigantaggio italiano.

Washington Irving. Incisione a colori del viaggiatore, storico e diplomatico statunitense

Washington Irving. Incisione a colori del viaggiatore, storico e diplomatico statunitense

Foto: Granger / Age Fotostock

   

Irving, infatti, ebbe modo di conoscere il fenomeno durante un soggiorno in Italia avvenuto tra il 1804 e il 1805. Il racconto Storie di briganti italiani è ambientato in una locanda di Terracina in cui si incontrano alcuni viaggiatori diversi per nazionalità e status sociale, tra cui un medico e una coppia di sposi veneziani che, a uno a uno, iniziano a descrivere vicissitudini legate alla presenza dei briganti che in quel tempo imperversavano l’Italia centrale e meridionale. Nel suo viaggio per l’Italia lo scrittore aveva visitato anche Genova, la Sicilia, Roma, Bologna e Milano.

Irving si trovava invece a Parigi quando nel 1826 venne invitato a trasferirsi a Madrid dall’ambasciatore nordamericano in Spagna. La missione era quella di tradurre in inglese dei documenti sulla scoperta e la conquista dell’America da parte degli spagnoli. Da sempre grande appassionato di storia, Irving decise di scrivere una biografia di Cristoforo Colombo, che fu pubblicata nel 1828. Il successo fu tale da spingere lo scrittore a lanciarsi in un nuovo progetto: una storia della conquista di Granada da parte dei re cattolici, libro che vide la luce l’anno seguente.

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Durante la sua permanenza in Spagna, oltre a trascorrere il tempo in archivi e biblioteche, Irving viaggiò molto. Nel 1828 insieme a due amici, al console e al segretario dell’ambasciata russa di Madrid, si recò all’Alhambra.

L’Alhambra. Questo dipinto di Samuel Colman del 1865 rappresenta la città di Granada, dominata dall’impressionante fortezza nasride così com’era ai tempi della visita di Irving

L’Alhambra. Questo dipinto di Samuel Colman del 1865 rappresenta la città di Granada, dominata dall’impressionante fortezza nasride così com’era ai tempi della visita di Irving

Foto: Alamy / Aci

   

In quel periodo i viaggi costituivano una vera e propria avventura. Spesso il cammino era lungo e pieno di pericoli. In certe occasioni era necessario cavalcare su sentieri a strapiombo sul mare, o sotto una pioggia incessante. Lo stesso Irving ricorda: «La maggior parte del nostro cammino è stato incredibilmente faticoso attraverso panorami selvaggi e in una parte del paese completamente sprovvista di comodità, però siamo stati ricompensati da paesaggi sublimi fatti di aspre montagne che, in certi momenti, mi hanno impressionato con sentimenti di una grandezza austera che solo avevo provato leggendo le pagine di Dante». Viaggiavano durante la notte, si fermavano per fare colazione e continuavano fino a mezzogiorno. A quel punto facevano una lunga sosta per mangiare e riposavano fino a mezzanotte.

L’avventura granadina

Dopo aver attraversato molti luoghi famosi del sud della Spagna (Cordoba, Malaga, Gibilterra, Siviglia), nel maggio del 1828 il gruppo arrivò a Granada, dove si fermò per nove giorni e dove Irving ebbe l’occasione di visitare l’Alhambra. Affascinato dalla città, decise di tornarvi l’anno seguente. Accompagnato dal principe russo Dolgoronky, lo scrittore rimase a Granada per quasi tre mesi. Questa volta ottenne dal governatore l’autorizzazione ad alloggiare all’interno del palazzo dei nasridi. All’epoca gli interni del palazzo erano devastati dall’occupazione francese e quello stato di decadenza esotica risvegliava la sensibilità romantica dello scrittore quando li ammirava alla luce della luna: «Tutte le ingiurie del tempo […] svaniscono completamente; il marmo recupera il suo bianco primitivo […] i saloni si bagnano di una soave chiarezza e tutto l’edificio sembra un palazzo incantato dei racconti arabi».

In base ai registri del 1824 i palazzi erano abitati da 381 persone tra impiegati del governo, militari, sacerdoti ed emarginati (poveri, vagabondi, ladri…). Irving visse tra queste persone con naturalezza.

Illustrazione di Mccannell per 'I Racconti dell’Alhambra'. 1920

Illustrazione di Mccannell per 'I Racconti dell’Alhambra'. 1920

Foto: Alamy / Aci

   

Lì conobbe un certo Mateo Jiménez, un «filosofo straccione» che lo avvicinò e si offrì come guida. Scrisse Irving: «Ho la tipica diffidenza del viaggiatore verso i ciceroni ufficiali, così gli dissi: “Immagino che lei avrà dimestichezza con il posto”. Al che rispose: “Più di chiunque altro; signore, io sono figlio dell’Alhambra”. La gente comune in Spagna ha veramente un modo così poetico di esprimersi, un figlio dell’Alhambra!». Da quel momento i due instaurarono una stretta relazione che si trasformò in sincera amicizia. Irving mantenne conversazioni anche con degli anziani invalidi che avevano trovato rifugio nel palazzo, come tío Polo, un vecchio soldato le cui storie gli ispirarono La leggenda di Sleepy Hollow.

Un triste addio

Il 18 luglio del 1829 Irving ricevette la notizia della sua nomina a segretario dell’ambasciata nordamericana a Londra. «Il mio dolce e felice regno nell’Alhambra venne bruscamente interrotto dall’arrivo di alcune lettere che mi sollecitavano a uscire dal quel paradiso musulmano per immergermi ancora una volta nel trambusto polveroso del mondo. Come potevo far ritorno alle mie inquietudini dopo aver assaporato quel tipo di vita così idilliaco?». Alla fine decise comunque di accettare l’incarico. La partenza venne posticipata di alcuni giorni, durante i quali Irving si dedicò a «vagare attraverso i miei luoghi favoriti, che ogni volta si offrivano sempre più deliziosi alla mia contemplazione».

Alla fine lo scrittore lasciò Granada il 28 giugno del 1829. Nel salutare la città si ricordò dell’ultimo re nasride: «All’imbrunire arrivai nel luogo dove il cammino serpeggia tra le montagne e mi fermai per dirigere un ultimo sguardo su Granada. Adesso potevo comprendere qualcosa dei sentimenti provati dal povero Boabdil quando disse addio al paradiso che si lasciava alle spalle e contemplò davanti a sé il cammino aspro e ripido che conduceva all’esilio». Si estasiò per l’ultima volta nella contemplazione del palazzo: «Come d’abitudine i raggi del sole al tramonto rilasciano un melanconico fulgore sulle rossastre torri dell’Alhambra. Potevo appena distinguere la finestra della torre di Comares dove mi ero sommerso in tanti e tanto deliziosi sogni. I numerosi boschi e giardini intorno alla città apparivano preziosamente dorati dal sole e la purpurea foschia dei tramonti estivi si estendeva lungo la pianura. Tutto era piacevole e delizioso e al tempo stesso tenero e triste al mio sguardo di addio. Mi allontanerò da questo paesaggio – pensai – prima che il sole tramonti. Porterò con me la sua immagine in tutto il suo splendore». Nel 1832 pubblicò I racconti dell’Alhambra, libro che, combinando impressioni di viaggio con racconti ambientati durante il periodo nasride, contribuì a rendere universalmente noto il complesso del palazzo andaluso. Negli anni successivi molti viaggiatori si recarono a Granada e chiesero di Mateo Jiménez, di cui Irving aveva parlato tanto bene nella speranza che l’amico potesse guadagnarsi da vivere come cicerone e fosse così in grado di cambiare il cencioso, logoro e consumato mantello scuro che indossava quando lo vide la prima volta per una tenuta più nuova ed elegante.

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Stanza degli Abencerrages. Irving ambientò una delle sue leggende più famose dell’Alhambra in questa sala. Incisione di David Roberts. 1834

Stanza degli Abencerrages. Irving ambientò una delle sue leggende più famose dell’Alhambra in questa sala. Incisione di David Roberts. 1834

Foto: Bridgeman / Aci

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