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Una Sacra Famiglia del “Caravaggio di Verona”: il misterioso Pietro Bernardi


 Pietro Bernardi (Verona, 1580/1590 - 1623) è un artista oggi semisconosciuto, ma è stato uno dei primi caravaggeschi d'Italia. A Verona nessuno fu più vicino di lui a Caravaggio. Perché è stato dimenticato? Scopriamo la sua storia con un suo bellissimo dipinto.

Pietro Bernardi è un artista sfuggente. Di lui sappiamo poco più che niente: “sempre misterioso e mal documentato” lo ha definito lo storico dell’arte Sergio Marinelli in un suo saggio del 2016. Fu attivo a Verona per qualche anno a cavallo tra il secondo e il terzo decennio del Seicento, e questo ci è noto dagli sparuti documenti su di lui, e dalle scarse note biografiche che gli riservò Bartolomeo dal Pozzo, autore, nel 1718, d’un trattato intitolato Le vite de’ pittori, degli scultori et architetti veronesi. Ma anche le notizie di Dal Pozzo, che lo dichiara allievo di Domenico Fetti, son poche e confuse: in certi passaggi le sue opere son scambiate con quelle d’un altro Bernardi, Francesco, noto come “il Bigolaro”, e neanche sulla data della scomparsa fornita dal biografo, il 1623, si può star sicuri, dacché è stato rinvenuto un suo testamento del 1619, che potrebbe anticipare, seppur di poco, la data della sua dipartita. Non conosciamo neppure la sua data di nascita, che si presume risalga agli anni Ottanta del Cinquecento.

Fino a cinquant’anni fa la sua figura era quasi del tutta oscura: occorse il lavoro d’una valente storica dell’arte, Maddalena Salazzari Brognara, per dare avvio alla ricostruzione della sua personalità, nei limiti del possibile. In un pionieristico articolo del 1966, pubblicato sulla rivista Arte antica e moderna, la studiosa lo definì “il più antico caravaggesco veronese”, perché nonostante le scarsissime evidenze della sua produzione (basti pensare che le opere documentate sono tre in tutto: i due quadroni della chiesa di San Carlo a Verona e la Sacra Famiglia con i santi Gioacchino e Anna già a Isola della Scala e oggi al Museo di Castelvecchio), quel poco che conosciamo è sufficiente per immaginare contatti molto stretti con Caravaggio. Perché un dato, almeno, è sicuro: nessun altro, a Verona, fu più vicino a Caravaggio di Pietro Bernardi, e soprattutto nessuno fu più precoce di lui nella sua vicinanza al lombardo (per tutte le opere riferibili a Bernardi son state proposte datazioni agli anni Dieci del XVII secolo). Talmente vicino a Caravaggio da lasciar presumere che tra lui e il grande Michelangelo Merisi non ci fossero mediatori, e che il veronese avesse desunto le sue conoscenze caravaggesche osservando direttamente le sue opere a Roma.

Non avendo riscontri documentarî occorre lavorar di fantasia, e immaginare un giovane Bernardi che lascia per qualche tempo la sua città, soggiorna a Roma verso il 1610, prima ancora dei tre artisti che, fino a prima della sua riscoperta, erano considerati gl’importatori del caravaggismo a Verona, ovvero Marcantonio Bassetti, Pasquale Ottino e Alessandro Turchi, e torna nella città natale con un rinnovato bagaglio d’esperienze. Un bagaglio che lo rese un “fedele interprete del Merisi, completamente liberato […] da ogni residuo di cultura manieristica”, rammenta Salazzari Brogna. Addirittura, la storica dell’arte ravvisa nel suo modo di citare Caravaggio, con menzioni puntuali e dirette, un fare tipico degli artisti più prossimi al Merisi: Orazio Gentileschi, Orazio Borgianni, Carlo Saraceni. Ai quali Pietro Bernardi potrebbe esser tranquillamente avvicinato. Per Sergio Marinelli, Bernardi è “tra i primi e più oltranzisti fautori del realismo a Verona”. Ed è ciò che si pensa osservando un suo dipinto ch’è stato datato al 1610 circa, ed è conservato al Museo di Castelvecchio di Verona: si tratta d’una Sacra Famiglia con i santi Giovannino ed Elisabetta, entrata nell’istituto veronese col lascito del collezionista Cesare Bernasconi del 1871.

Pietro Bernardi, Sacra famiglia coi santi Giovannino ed Elisabetta (1610 circa; olio su tela, 136 x 166 cm; Verona, Musei Civici, inv. 5809-1B30). Foto di Gabriele Toso, Padova. © Museo di Castelvecchio, Verona
Pietro Bernardi, Sacra famiglia coi santi Giovannino ed Elisabetta (1610 circa; olio su tela, 136 x 166 cm; Verona, Musei Civici, inv. 5809-1B30). Foto di Gabriele Toso, Padova. © Museo di Castelvecchio, Verona

La Vergine e san Giuseppe stanno ai lati della composizione, e sorvegliano Gesù Bambino e san Giovannino al lume d’una candela, mentre santa Elisabetta rivolge lo sguardo san Giuseppe. Il lume fioco rischiara a malapena i volti dei due vecchi, mentre un bagliore più acceso investe l’adolescente Maria e i due piccoli, lasciando supporre un’altra fonte luminosa, esterna ai bordi del dipinto. Le figure son descritte con un realismo ruvido, quasi tagliente: un fatto del tutto nuovo a Verona in quegli anni. Sull’angolo in basso a sinistra, una cesta con un gattino addormentato su di un telo bianco, brano di quotidianità familiare che entra in questo notturno dal fondo cupo e che lascia intravedere quelle qualità di naturamortista che ben aveva descritto Salazzari Brognara.

Si tratta d’un dipinto ancora piuttosto schematico, quasi elementare: son questi i termini che han fatto supporre una datazione molto precoce. La Sacra Famiglia un tempo a Isola della Scala, se si volesse avanzare un confronto, è già un dipinto più avveduto e consapevole, benché il più vivo sentimentalismo che traspare dall’opera giovanile riesca probabilmente a render quest’ultima più gradita al pubblico d’oggi. Ma questa ingenuità non diminuisce il valore del dipinto, anzi: lo colloca in una posizione di precedenza rispetto ad altre opere note o attribuite a Pietro Bernardi, e può fornire più d’un aiuto per ricostruire una carriera di cui niente sappiamo.

È opera d’un pittore molto giovane, che probabilmente non aveva ancora compiuto trent’anni, e che qui par quasi lasciarsi suggestionare dai caravaggeschi d’Olanda, dai quali poté aver tratto ispirazione per il soggetto del notturno a lume di candela: gli effetti di luce artificiale erano del resto tipici del caravaggismo nordico. Si pensi che in passato questa Sacra Famiglia fu attribuita anche a uno dei più grandi caravaggeschi olandesi, Gerrit van Honthorst. L’assegnazione a Pietro Bernardi è per ragioni stilistiche: la Vergine, ad esempio, dimostra notevoli somiglianze con l’Annunciata della chiesa di San Fermo a Verona, che gli veniva ascritta già da Bartolomeo dal Pozzo, con data 1617. Lo schema compositivo, con le due figure sedute e affrontate ai lati e la terza nel mezzo, ricorda quello della Sacra Famiglia già a Isola della Scala. Rimanda invece alla tradizione veronese il tema di Gesù Bambino e san Giovannino che s’abbracciano: ne è un fulgido esempio la Madonna col Bambino e san Giovannino di Giovan Francesco Caroto passata in asta da Wannenes il 21 dicembre del 2020. Comprendere però quale sia il terreno dal quale è germogliata quest’opera è impresa ai confini dell’impossibile.

Non è invece difficile comprendere perché la figura di Pietro Bernardi sia stata dimenticata. Negli anni Trenta del Seicento, Verona s’aprì a una cultura varia, e i pittori che soggiornarono a Roma riportando dal viaggio gli elementi caravaggeschi della loro arte (s’è detto sopra quali siano: Bassetti, Ottino e Turchi, tutti destinati ad avere un successo di gran lunga maggiore rispetto a quello di Bernardi, specie Turchi) non dimostrarono mai quella stretta osservanza che denotano al contrario le pitture di Bernardi, perché il gusto dei collezionisti e dei committenti veronesi richiedeva un eclettismo che si riscontra con pienezza nelle opere del “gruppo dei tre”, come lo chiama Salazzari Brognara. Bernardi, invece, morì prima di potersi aggiornare sulle nuove direttive del gusto locale: così oggi, di quel caravaggesco della prima ora, di quella meteora che solcò i cieli veronesi per qualche anno all’inizio del Seicento, rimane ben poco, tanto tra i dipinti quanto tra i documenti. Gli studî però proseguono: Marinelli, appena cinque anni fa, ne ha scoperto un’insospettabile anima da disegnatore assiduo e talentuoso, non immune da sbavature e ingenuità, ma anche capace di donare ai volti “un carattere di misteriosa potenza di non finito”, in grado di tracciare sulla carta brani di “realismo quasi ottocentesco”, o di dare evidenza alle sue figure con luci vivide e forti. Ne emerge non soltanto un caravaggesco atipico, data la quantità e la frequenza dei suoi disegni, ma ne risulta financo una personalità “a tratti grandiosa”, dice Marinelli, benché difficile da ricollegare alla frammentaria pittura. Una personalità che merita e aspetta solo d’esser studiata più a lungo, perché le sorprese che può riservare sono ancora tante.

Se ti è piaciuto questo articolo, leggi i precedenti della stessa serie: il Concerto di Gabriele Bella; la Ninfa rossa di Plinio Nomellini; l’Apparizione di Cristo alla madre del Guercino; la Maddalena di Tiziano; le Mille e una notte di Vittorio Zecchin; la Trasfigurazione di Lorenzo Lotto; il Tobia e l’angelo di Jacopo Vignali; il Profumo di Luigi Russolo; Novembre di Antonio Fontanesi; i tondi di san Maurelio di Cosmè Tura, la Madonna col Bambino e Angeli di Simone dei Crocifissi, le Bilance a bocca d’Arno di Francesco Gioli, lo Specchio della vita di Pellizza da Volpedo, la Galatea di Elisabetta Sirani, la ,Sant’Anna Metterza di Masaccio e Masolino, il Metrò natalizio di Fausto Melotti, la Madonna della candela di Luca Cambiaso, la Danza delle Ore di Gaetano Previati.

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