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Un “nuovo” Raffaello agli Uffizi: la riscoperta di un disegno dimenticato dell'Urbinate


 Dalle collezioni del Gabinetto dei Disegni degli Uffizi riemerge un disegno, attribuito a Luca Penni a inizio del Novecento e poi dimenticato, ma che è adesso possibile assegnare a Raffaello. La scoperta è di due giovani studiose, Roberta Aliventi e Laura Da Rin Bettina.

Sono state presentate ieri, agli Uffizi, in diretta streaming per il programma Uffizi on air, alcune rilevanti novità emerse durante lo svolgimento dell’attività scientifica nell’ambito del progetto di ricerca interdisciplinare Euploos sul fondo del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi: in particolare, le giovani studiose Roberta Aliventi e Laura Da Rin Bettina hanno presentato una ricerca comune che, partendo dallo studio inventariale e collezionistico del fondo dei disegni di Raffaello Sanzio (Urbino, 1483 - Roma, 1520), ha portato a un’importante scoperta riguardo un cartone dell’Urbinate, restaurato di recente da Maurizio Michelozzi ed esposto per la prima volta alla grande mostra monografica su Raffaello alle Scuderie del Quirinale. In breve, è stato nuovamente attribuito a Raffaello un disegno dimenticato: l’opera in questione, infatti, risultava attribuita a Luca Penni (Firenze, 1500 circa - Parigi, 1556), fratello minore del Giovan Francesco che fu allievo di Raffaello, anche se era stato in passato assegnato alla mano di Raffaello.

Si tratta di un disegno raffigurante una Giovane donna seduta con le braccia tese verso un fanciullo (così è stato presentato alla mostra del Quirinale), citato per la prima volta, con attribuzione a Raffaello, da Karl Morgenstern nel 1813. Risale invece ai primi del Novecento l’assegnazione a Penni, anche se nel 1925 lo studioso Oskar Fischel ne suggerì implicitamente l’autografia raffaellesca ritenendolo un cartone per la Deesis con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria eseguita da Giulio Romano (ma su invenzione di Raffaello) e conservata a Parma. L’ultima menzione nella letteratura critica del cartone risale al 1944, quando viene citato da Frederick Hartt con attribuzione a Giovan Francesco Penni. In seguito, del cartone non si è più discusso, né è stato mai esposto.

“Si tratta di uno studio in corso da alcuni anni”, ha dichiarato Roberta Aliventi, “che ci ha portato a ricostruire in modo dettagliato un album di disegni di Raffaello che nella seconda metà del Seicento faceva parte della collezione grafica del cardinale Leopoldo de’ Medici. Leopoldo fu uno dei più grandi collezionisti del suo tempo e nel corso della sua vita acquisì innumerevoli opere appartenenti a diversi generi. Soffermandoci sulla sua raccolta di disegni, che costituisce il nucleo fondante del Gabinetto dei Disegni e delle Stampe delle Gallerie degli Uffizi, sappiamo che era composta da circa 12mila pezzi e che venne disposta in volumi da Filippo Baldinucci, gentiluomo fiorentino, storico delle arti e conoscitore. Tali volumi si suddividevano in particolari dedicati ai fogli di singoli artisti e in universali, ovvero raccolte e miscellanee di opere di diversi maestri. Questi libri vennero smembrati a partire dai primi decenni dell’Ottocento: uno dei più preziosi dell’intera raccolta doveva essere sicuramente il volume chiamato Particolare II, nel quale erano custoditi solo disegni di Raffaello. Ed è proprio questo volume che io e Laura abbiamo cercato di ricostruire nella sua interezza. Per fare ciò siamo partite dallo studio dei documenti d’archivio e inventariali, ci siamo avvalse anche di un testo scritto all’inizio dell’Ottocento da Karl Morgenstern, filologo tedesco che nel suo viaggio in Italia si soffermò a descrivere alcuni dei tesori custoditi proprio agli Uffizi. Inoltre, fondamentale per il nostro lavoro è stata la ricerca a tappeto su tutti i fogli conservati nel Gabinetto collegabili in qualche modo a Raffaello: abbiamo quindi preso in esame le opere classificate sotto il nome dell’artista stesso ma anche le copie, i disegni di bottega e di scuola. Infine, abbiamo cercato tutti gli studi che nei secoli passati erano ritenuti di Raffaello, ma che con il tempo e per diverse ragioni hanno cambiato autore e sono stati collocati nelle cartelle di altri artisti”.

Il foglio (il numero d’inventario 14730 F) è stato ritenuto tra i più interessanti di quelli oggetto della ricerca. A causa della sua collocazione nelle cartelle di Luca Penni, il disegno è rimasto sconosciuto alla critica recente e non risulta mai citato negli studi raffaelleschi della seconda metà del XX secolo. Realizzato a carboncino con lumeggiature a biacca su un supporto tinteggiato di color beige e realizzato da tre pezzi di carta incollati tra loro, raffigura una giovane donna velata che porta una mano al petto. Al momento del ritrovamento si presentava in uno stato di conservazione precario (la mano destra della donna era danneggiata e maldestramente reincollata, e lo studio era foderato da un controfondo a sua volta incollato su un altro foglio). In occasione dell’esposizione della mostra di Roma l’opera è stata però restaurata da Maurizio Michelozzi, che ha rimosso i due vecchi supporti e la ricomposizione della mano sinistra, danneggiata e frammentaria, riportando il foglio a uno stato il più possibile vicino al suo aspetto originario.

Come aveva intuito Fischel, l’opera va messa in relazione con la Vergine della Deesis, prodotta tra il 1519 e il 1520 nella bottega di Raffaello e ormai concordemente assegnata a Giulio Romano. Non si tratta di uno studio preliminare, ma del cartone definitivo, ovvero dello strumento grafico che serviva per trasferire la composizione sul supporto finale. In questo caso il disegno non fu trasferito con la tecnica dello spolvero, ma con quella dell’incisione: sul foglio si trovano infatti i segni lasciati dallo stilo (riscontrati da una fotografia a luce radente) per riportare il disegno sul supporto definitivo. La Vergine disegnata presenta inoltre le stesse dimensioni di quella dipinta, e anche la posa corrisponde quasi perfettamente (l’inclinazione della testa, la borsa sotto l’occhio). Il foglio, secondo Aliventi e Da Rin Bettina, è quindi sicuramente un frammento del cartone impiegato da Giulio Romano nell’esecuzione della sua Deesis.

Raffaello, Busto di giovane donna velata con la mano sul petto (cartone per la Vergine della “Deesis con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria”) (1519-1520 circa; carboncino, biacca, stilo su carta tinteggiata con colore grigio-beige, 266 × 264 mm; Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 14730 F)
Raffaello, Busto di giovane donna velata con la mano sul petto (cartone per la Vergine della Deesis con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria) (1519-1520 circa; carboncino, biacca, stilo su carta tinteggiata ...


Il cartone prima del restauro
Il cartone prima del restauro


Immagine del cartone a luce radente
Immagine del cartone a luce radente


Giulio Romano, Deesis con i santi Paolo e Caterina d'Alessandria (1519-1520; olio su tavola, 122 x 98 cm; Parma, Galleria Nazionale)
Giulio Romano, Deesis con i santi Paolo e Caterina d’Alessandria (1519-1520; olio su tavola, 122 x 98 cm; Parma, Galleria Nazionale)


Confronto tra il cartone e il dipinto
Confronto tra il cartone e il dipinto


Alcuni frammenti di cartoni di Giulio Romano per la Sala di Costantino
Alcuni frammenti di cartoni di Giulio Romano per la Sala di Costantino

“Nel dipinto di Giulio”, afferma Laura Da Rin Bettina, “una delle prime cose che io e Roberta abbiamo notato è come la figura della Vergine abbia un’espressione che a noi è sembrata più indurita e meno spontanea rispetto a quella del disegno degli Uffizi, che invece ha un’espressione più naturale e intensa. Questo scarto qualitativo tra soluzione grafica e soluzione pittorica ci ha portate a riflettere sull’attribuzione da dare a questo disegno, quindi lo abbiamo confrontato in primo luogo con i cartoni di Giulio Romano vicini per datazione al nostro, ovvero databili intorno al 1519-1520, e sinceramente ci è parso di notare alcune non trascurabili differenze formali con il nostro”. Per esempio, i cartoni eseguiti da Giulio Romano per gli affreschi della sala di Costantino in Vaticano (progettato da Raffaello ma sostanzialmente eseguito dopo la sua morte dagli allievi) presentano “uno stile più scultoreo rispetto a quello del disegno degli Uffizi. Inoltre, in un altro cartone di Giulio Romano, quello per la Lapidazione di santo Stefano conservata nella chiesa di Santo Stefano a Genova, vediamo un chiaroscuro molto netto e tagliente, quindi molto diverso da quello del nostro disegno. Le figure rappresentate sono molto più tridimensionali e plastiche rispetto, e allo stesso tempo i loro movimenti ci sembrano bloccati. La resa delle vesti e dei panneggi, anche in questo caso molto netta e tagliente, ci sembra più appiattita sulla superficie, meno atmosferica. Diversamente, nonostante il suo carattere frammentario, nel nostro foglio la figura si articola più liberamente nello spazio e con una certa grazia, ed è rappresentata con un morbido segno atmosferico a carboncino. A nostro avviso queste caratteristiche stilistiche lo avvicinano piuttosto ai disegni di Raffaello, in primo luogo al Cristo in gloria del Getty Museum, e anche ad altri esempi come la testa di angelo che Raffaello disegnò per la sala di Costantino e che oggi si conserva ai Musei di Belle Arti di Budapest. Sebbene in diversi casi distinguere la mano del maestro da quella di Giulio Romano sia molto difficile, proprio perché Giulio Romano è capace di assimilare il linguaggio di Raffaello raggiungendo degli esiti molto prossimi ai modi del maestro, in questo caso ci sembra opportuno restituire questa prova grafica, a nostro avviso di altissima qualità, a Raffaello, recuperando in questo modo l’antica attribuzione seicentesca del foglio che era conservato nella collezione del cardinale Leopoldo de’ Medici”.

L’attribuzione, hanno fatto sapere le due studiose, è stata condivisa (attraverso comunicazione orale, ma di cui Aliventi e Da Rin Bettina hanno dato conto nella scheda dell’opera nel catalogo della mostra degli Uffizi) da Marzia Faietti e Achim Gnann: quest’ultimo, in particolare, la ritiene plausibile in quanto la figura della Vergine appare risolta in modo più convincente rispetto a quella dipinta, ma si è tuttavia riservato di confermare o meno l’autografia dopo l’analisi diretta del disegno. Le considerazioni delle due studiose, infine, sono in corso di pubblicazione negli atti del convegno Marcantonio Raimondi. Il primo incisore di Raffaello, tenutosi a Urbino, a Palazzo Albani, tra il 23 e il 25 ottobre del 2019, e nell’ambito del quale s’è dato conto per la prima volta della scoperta.

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