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cultură şi spiritualitate

Se andavano in Grecia o in Egitto, gli antichi romani non perdevano occasione di visitare i monumenti più celebri. I più facoltosi avevano anche delle ville marittime dove trascorrevano i mesi estivi con gli amici


A Roma si possono forse rintracciare le origini di un’usanza praticata oggigiorno da milioni di persone: il turismo. Se infatti viaggiare era un’attività comune tra gli antichi romani, che si spostavano per i motivi più svariati (commerciali, professionali, familiari, personali, religiosi, intellettuali o militari), c’era anche chi viaggiava per puro piacere, soprattutto tra le classi agiate. Lo stesso termine turismo viene dal francese tour, che a sua volta rimanda al latino tornare (“girare”) e contiene implicitamente l’idea di un viaggio con un rientro, non diversamente dalle ferie estive dei nostri giorni.

I ricchi romani amavano godersi il tempo libero in lussuose ville con vista sul golfo di Napoli. Olio di Ettore Forti. XIX secolo

I ricchi romani amavano godersi il tempo libero in lussuose ville con vista sul golfo di Napoli. Olio di Ettore Forti. XIX secolo

Foto: bridgeman / Aci

I nobili romani distinguevano tra il negotium, il tempo dedicato alle faccende e agli impegni quotidiani, e l’otium. Quest’ultimo era il periodo di riposo, in cui si allontanavano dal caos urbano per rifugiarsi in una delle numerose ville marittime ai piedi del Vesuvio o per esplorare i monumenti delle province orientali, soprattutto nel caso degli ufficiali e degli amministratori che lavoravano in quelle regioni.

Il desiderio di conoscere il mondo

I romani non erano immuni al fascino irresistibile del viaggio. Non a caso nel corso del II e III secolo d.C. si diffusero i racconti di avventure esotiche (come Leucippe e Clitofonte, Le efesiache e Le etiopiche), grazie ai quali i lettori potevano immedesimarsi nelle giovani coppie di innamorati che si ritrovavano al termine di varie peripezie tra tribù etiopi, pirati greci e despoti orientali. Achille Tazio, Senofonte Efesio ed Eliodoro di Emesa sono alcuni dei nomi di questi “Salgari dell’antichità classica”, che sapevano trasportare il loro pubblico in località remote con la semplice forza dell’immaginazione.

I bibliofili più colti potevano sfogliare anche i volumi delle periegesi, le narrazioni descrittive dei monumenti architettonici e scultorei più famosi del passato. Erano diffuse soprattutto quelle della Grecia, ma ce n’erano anche dell’Asia Minore o dell’Italia meridionale. Rispetto alle guide di viaggio di oggi le periegesi potrebbero essere definite dei trattati storico-artistici che informavano i lettori in merito alle usanze specifiche di una determinata zona e descrivevano i principali complessi religiosi e le rispettive feste e tradizioni. Plinio il Vecchio riferiva che i suoi contemporanei adoravano letture di questo tipo, in particolare quelle su Egitto, Grecia e Asia.

Cicerone davanti alla tomba di Archimede. Olio di Paolo Barbotti. XIX secolo. Musei civici, Pavia

Cicerone davanti alla tomba di Archimede. Olio di Paolo Barbotti. XIX secolo. Musei civici, Pavia

Foto: Erich Lessing / Album

   

Seneca, dal canto suo, amava uscire dalla città perché questo gli permetteva di conoscere persone nuove e scoprire meraviglie naturali prima sconosciute, specialmente i fiumi (un elemento naturale spesso divinizzato che esercitava un grande fascino sugli antichi), tra i quali citava il Tigri, il Nilo e il Meandro. Insomma, sono gli stessi autori greco-romani a fornirci informazioni sulle principali destinazioni turistiche dell’epoca e sui punti di interesse artistico e naturalistico presenti in questi luoghi.

Attraverso la Grecia

Alcune regioni esercitavano un’attrazione particolare sui viaggiatori grazie al loro patrimonio culturale. L’Ellade e le province asiatiche evocavano reminiscenze delle tragedie classiche e dei poemi omerici. A Pilo si venerava il sepolcro di Nestore; ad Atene la tomba di Edipo; Oreste riposava a Sparta, mentre Agamennone e Ifigenia giacevano a Micene. A Troia, cui i romani erano particolarmente legati per le origini del loro eroe Enea, si potevano ancora intuire le tracce dell’accampamento degli assedianti achei o dell’altare di Zeus, dove il re troiano Priamo aveva perso la vita per mano di Neottolemo. Ciononostante la località era famosa soprattutto per le presunte tombe degli eroi omerici, come Ettore o lo stesso Achille, cui si recarono a rendere omaggio Giulio Cesare e alcuni dei suoi successori, come Adriano, Caracalla, Diocleziano e Costantino.

Tra le tappe obbligate di un viaggio in Grecia c’erano destinazioni quali Corinto, Epidauro, Delfi, Sparta o Olimpia. In queste località si svolgevano importanti feste e giochi sportivi, che rappresentavano anche il momento migliore per una visita. Altre città erano famose per i loro monumenti locali: a Rodi, per esempio, c’erano i resti del Colosso, la cui massa bronzea di 33 metri di altezza raffigurante il dio Helios era crollata durante il terremoto del 226 a.C. I visitatori si divertivano a esplorare i frammenti dei suoi enormi arti, trasformati in grotte artificiali, o a cercare di cingere il pollice della statua con le braccia, un compito che Plinio il Vecchio riteneva impossibile.

Appassionati d’Egitto

Ma la terra che più meraviglia suscitava nel turista romano era l’Egitto. La stranezza dei riti religiosi e della scrittura geroglifica disorientavano e al contempo affascinavano i visitatori. Anche i monumenti provocavano stupore e sconcerto, che si trattasse delle piramidi di Giza o delle tombe sotterranee della Valle dei Re, sulle cui pareti sono ancora visibili i segni del passaggio di centinaia di viaggiatori che vi hanno inciso nomi, date, brevi biografie, poesie e opinioni. Sappiamo per esempio che un certo Isidoro, originario di Alessandria, studiò legge ad Atene, che il centurione Januarius visitò le cripte con la figlia Januarina e che Antonio trovò la valle quasi altrettanto stupefacente di Roma. Circa la metà delle incisioni è stata rinvenuta nella tomba di Ramses VI, in passato ritenuta il sepolcro di Platone e per questo meta di pellegrinaggio dei filosofi neoplatonici, che vi entravano con la riverenza di chi visita un tempio. Molti di questi graffiti non sono altro che i commenti lasciati dai turisti. «Non mi è piaciuto affatto, se non per il sarcofago», scrisse qualcuno. Un avvocato di nome Bourichios era seccato perché non comprendeva i geroglifici: «Di questa scrittura non si capisce niente!», scrisse.

Sulle basi di queste statue, i colossi di Memnone, che si ergevano all’ingresso del tempio funerario di Amenofi III, ci sono almeno 90 iscrizioni lasciate dai viaggiatori romani a testimonianza della loro visita

Sulle basi di queste statue, i colossi di Memnone, che si ergevano all’ingresso del tempio funerario di Amenofi III, ci sono almeno 90 iscrizioni lasciate dai viaggiatori romani a testimonianza della loro visita

Foto: Johanna Huber / Fototeca 9x12

   

Un altro monumento egizio di particolare richiamo era la coppia di sculture sedute di Amenofi III conservate nel suo tempio funerario, nei pressi di Luxor. Greci e romani le ribattezzarono subito “colossi di Memnone”, ritenendo che una delle statue raffigurasse il re etiope alleato dei troiani. Al mattino, quando la brezza soffiava attraverso le crepe provocate dal terremoto, le statue emettevano un suono curioso, in cui molti credevano di riconoscere la musica di una lira, oppure un fischio o un pianto.

C’era anche chi ingaggiava scalpellini locali per fare incidere sul colosso i propri componimenti, come un poeta lirico di nome Paeone che scrisse dei versi in onore del suo mecenate Mezio Rufo, o la poeta Giulia Balbilla, che viaggiava al seguito della moglie dell’imperatore Adriano, Vibia Sabina.

Alcuni romani erano indignati dai geroglifici: «Di questa scrittura non si capisce niente!», scrisse l'avvocato di nome Bourichios

Lavoro e piacere

Anche chi era all’estero per svolgere missioni belliche o diplomatiche trovava il tempo per fare turismo. È il caso di Lucio Emilio Paolo, che dopo la vittoria di Pidna nel 168 a.C. e lo smembramento del vecchio regno ellenistico di Macedonia andò a rendere omaggio alla dea Atena sull’Acropoli, ad Apollo presso il santuario di Delfi, ad Asclepio nel recinto sacro di Epidauro e, naturalmente, a Zeus nel tempio di Olimpia a lui dedicato. Ma non trascurò nemmeno altre località emblematiche come Aulide, in Beozia, da dove era salpata la spedizione greca contro Troia guidata da Agamennone, o l’istmo di Corinto, sede dei famosi giochi. Alcuni anni più tardi il senatore Lucio Memmio trovò il modo di coniugare ozio e impegni lavorativi nel corso di una visita alla città egiziana di Arsinoe, l’antica Crocodilopoli. Memmio fu accolto con tutte le attenzioni da un funzionario del re Tolomeo IX, tale Asclepiade, che durante la sua permanenza non gli fece mancare nulla: gli organizzò una visita al labirinto (il complesso funerario collegato alla piramide del faraone Amenemhat III) e gli procurò i tipici panetti che i turisti davano in pasto ai rettili da cui la città prendeva nome, e in particolare al più importante fra questi: il coccodrillo che incarnava il dio Sobek. Il geografo Strabone racconta che questo enorme animale trangugiava la frutta, i biscotti e il vino che i visitatori gli gettavano passando.

Questo frammento del famoso Mosaico del Nilo, del I secolo a.C., mostra un gruppo di persone che bevono lungo il fiume. Galleria nazionale d’arte antica. Colonna Barberini, Palestrina

Questo frammento del famoso Mosaico del Nilo, del I secolo a.C., mostra un gruppo di persone che bevono lungo il fiume. Galleria nazionale d’arte antica. Colonna Barberini, Palestrina

Foto: Dea / Album

   

Ma non c’era bisogno di andare dall’altra parte del Mediterraneo per godersi una bella vacanza. A partire dall’epoca repubblicana molti patrizi romani cominciarono a dotarsi di una o più ville al mare o in campagna, dove si ritiravano quando volevano sottrarsi agli impegni quotidiani e dedicarsi a un otium completo.

Case di villeggiatura

La zona preferita per le ville marittime era la Campania, che ospitava località emblematiche come Pompei, Ercolano e Stabia. La regione era facilmente raggiungibile da Roma e aveva un clima mite e spiagge attraenti che ne facevano un centro turistico privilegiato. Ben lo comprese all’inizio del I secolo a.C. l’imprenditore Caio Sergio Orata, che ristrutturava le ville del golfo di Napoli per poi venderle a caro prezzo ai senatori.

Sulle spiagge campane il tempo trascorreva sereno, tra «le gozzoviglie, i canti, i concerti, le gite in barca», secondo le parole di Cicerone. Plinio il Giovane descrive le occupazioni estive cui si dedicava nelle sue ville: la meditazione, la lettura, i massaggi, il bagno, la musica, la pesca e le gite a cavallo. Se era in compagnia di qualche altro vacanziere delle case adiacenti, il passatempo prediletto era la caccia. Nel IV secolo d.C. l’oratore Quinto Aurelio Simmaco, proprietario di decine di abitazioni, trascorreva il tempo con i suoi amici Macedonio e Attalo chiacchierando, leggendo e dedicandosi anche lui alla caccia, uno svago che tra gli aristocratici andava per la maggiore. Tra i nobili poi erano all’ordine del giorno i banchetti, spesso allietati da spettacoli di musica, teatro, danza o esibizioni che oggi si definirebbero circensi. Ummidia Quadratilla, illustre nobildonna vissuta circa duemila anni fa, disponeva di una compagnia di pantomimi, funamboli e ballerini che animava le sue serate.

Alcuni viaggiatori alloggiano in una 'mansio' o stazione di posta. Museo della civiltà romana, Roma

Alcuni viaggiatori alloggiano in una 'mansio' o stazione di posta. Museo della civiltà romana, Roma

Foto: Dea / Album

L’archeologia è riuscita a conservare vari esempi di queste lussuose abitazioni, spesso circondate da ampi giardini e ninfei, decorate con pitture e gruppi di sculture in marmo e in bronzo d’ispirazione greca, e dotate di biblioteche come quella della villa dei Papiri a Ercolano. Molte di queste residenze erano immense, come la villa del Pastore a Stabia, con i suoi quasi 19mila metri quadrati, o la vicina villa Arianna, approssimativamente di 13mila metri quadrati.

In questi sontuosi ambienti di rappresentanza sociale, il patrizio romano poteva dedicarsi al riposo spirituale e al divertimento intellettuale come un raffinato sovrano ellenistico nel suo palazzo.

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