Come da titolo del post, qualche tempo fa sono tornato alla GNAM.
La mostra di Paul Klee il motivo principale del ritorno; l’altro, la voglia di vedere cosa è diventato, con il nuovo allestimento, il museo a cui sono legato di più, che ho visitato più volte e che conosco meglio.
Tanto per esser chiari: il nuovo allestimento ha per certi versi migliorato il museo, ma io continuo a preferire la “vecchia GNAM”, non solo e non tanto per l’allestimento in sé.
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U. Boccioni, Contadino al lavoro, 1910. Questo magnifico dipinto del lavoro del Boccioni prefuturista non l'avevo mai visto in esposizione; ad accompagnarlo un magnifico Lampi di Luigi Russolo, dello stesso anno |
Parto dai miglioramenti: i nuovi colori delle sale rendono l’ambiente, da un punto di vista estetico, più godibile e stimolante. Inoltre - e questo è il fatto più positivo - opere che costituiscono il fiore all’occhiello del museo godono di una visibilità maggiore, sono posti cioè in posizioni più centrali e più degne della loro importanza:Le tre età della donna di Klimt, una delle opere più celebri e attrattive della collezione, è passata dalla nicchia desolante dove era prima al centro della sala d’appartenenza, Il sole di Pellizza da Volpedo dalla stretta e angusta porzione di muro che lo soffocava a un bel pannello che lo mette in risalto e in posizione centrale.
Lo stesso si può dire delle opere di Boccioni, della cui cattiva posizione mi lamentai a suo tempo.
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E.Heckel, Franzi coricata, 1910. La sala dei disegni e delle stampe è un qualcosa di stupefacente. E' dedicata prevalentemente ad artisti espressionisti e dadaisti: da sola vale il prezzo del biglietto (quando vedrete il magnifico disegno di Kirchner, capirete che non esagero!) |
Passo alle note dolenti.
1) Si è deciso di abbandonare la disposizione cronologica (per cui dall’Impressionismo si passa alle Avanguardie e da quest’ultime all’Informale eccetera) per una di tipo tematico: la sala della guerra, quella sugli autoritratti d’artista, eccetera.
La disposizione cronologica magari sarà scontata, ovvia, perfino noiosa, ma ha un grosso vantaggio: rende tutto chiaro! Tu capisci lo sviluppo della storia dell’arte contemporanea – o almeno te ne fai un’idea -, per cui quando vedi Mondrian sai di aver già visto qualcosa che viene prima, e che forse può aver contribuito a ispirarlo: ti crei, insomma, una piccola storia dell’arte, insufficiente certamente, banale altrettanto, ma almeno non confusa e non troppo errata.
Così invece non si capisce niente: io, personalmente, ho avuto difficoltà a raccapezzarmi! Ma come, mi sono detto dopo aver già visto Guttuso, l’ultimo de Chirico e Pollock, che diavolo ci fa qui Mondrian?
Tutto è confuso, mischiato: l’impressione iniziale è che le opere siano messe alla rinfusa - e questa sensazione, anche quando vieni a sapere che uno straccio di criterio in realtà c’è, ti rimane addosso. Risultato: un mal di testa atroce mentre vaghi in stato semiconfusionario per le sale pensando che quel Burri tanto vicino a Duchamp qualcuno l’ha appoggiato lì e se l’è dimenticato, e vorresti prenderlo e rimetterlo a posto!
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P.Klee, Americano-giapponese, 1918. E' una delle opere del Maestro presenti alla mostra |
2) Mai alla GNAM mi era capitato di vedere così tante mostre contemporaneamente: quattro, addirittura.
Questo museo, almeno da quando lo conosco io - dal 2007 - si è sempre contraddistinto per una qualità delle mostre semplicemente eccelsa: poche mostre all’anno – o comunque mai o quasi mai in contemporanea - ma tutte più che degne di essere viste! Ovvio: la Gnam è un museo, quindi le mostre non sono il suo obiettivo primario, come invece può essere per il Palazzo delle Esposizioni, le Scuderie del Quirinale, il complesso del Vittoriano (sulla qualità media non certo esaltante delle mostre di quest’ultimo, ci sarebbe parecchio da scrivere …).
Allora il problema è non solo, e non tanto, che quella di Klee (su cui c’è anche da segnalare una stranezza:
cliccate qui) è la prima mostra non eccelsa, quindi più o meno deludente, che dal 2007 ho visto alla GNAM, ma che uno spazio museale che, in fatto di mostre, aveva sempre preferito la qualità alla quantità, adesso sembra voler diventare altro: uno spazio espositivo tra i tanti, un contenitore che ospita il maggior numero di manifestazioni possibili - dalla qualità alla quantità.
Questa impressione sconfortante, questa paura, che spero rimanga infondata (e sarà il prossimo futuro a rivelarcelo), si è rafforzata vedendo una cosa per me stranissima: nel bel mezzo delle opere della collezione, nei punti più diversi delle varie sale, sono comparse all’improvviso sagome di animali colorate, luci al neon di varie forme, e altre cose del genere. “Che diavolo sono ‘ste cose?”, mi sono chiesto, una volta giunto a una delle sale più belle del museo, quella che ospita, tra gli altri, Cézanne, Monet e Medardo Rosso. Già, perché in un angolo era appeso al muro questo strano oggetto azzurrino; l’ho provato ad accendere, ma niente: come fonte di illuminazione era davvero inutile!
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Ecco, in mezzo a Cézanne, Degas, Monet e le sculture di Medardo Rosso (queste ultime, finalmente visibili dopo un bel pò di tempo, sono davvero uno dei fiori all'occhiello del museo, per qualità e quantità), una delle "luci al neon"di Marotta |
Per fortuna è intervenuto il mio amico contemporaneista a rivelarmi che questi cosi strani, questi neon e queste sagome di animali sono le opere di un artista contemporaneo, Gino Marotta.
La mostra di costui, insomma, era all’interno delle sale, con le opere del museo, tra le opere del museo, in mezzo a loro, confuse con loro.
Ecco allora che l’impressione spiacevole di cui vi parlavo prima si è di colpo rafforzata: va bene che siamo in museo di arte contemporanea, va bene che hasta l’avanguardia siempre, ma insomma, con quale diritto mi create un corto circuito tale in un museo, un luogo che dovrebbe avere come scopo principale la presentazione il più possibile ottimale di opere d’arte che con le sagome e i neon del suddetto artista c’entrano come i cavoli a merenda?
L’amico contemporaneista ha aggiunto che Marotta cose del genere le fa spesso, che questa commistione fa parte del suo operare; e chi se ne frega, aggiungo io? Io vengo alla GNAM perché la GNAM è un museo che conserva opere d’arte che io voglio vedere nelle migliori condizioni possibili, non un contenitore per le velleità di qualsivoglia artista!
Se poi, come in questo caso, le opere del suddetto artista aggiungono confusione alla confusione del nuovo allestimento, tanto peggio!
E non solo: l’impressione è che, appunto in nome del nuovo, o meglio, di quel famolo strano che spesso sembra l’unico criterio di molta produzione artistica d’oggi, le opere d’arte della GNAM siano state indebitamente piegate a servire da sfondo, da cornice, all’esposizione di Marotta: il vecchio in sacrificio sull’altare del nuovo.
E questo, per me, se fatto in queste forme (irrispettose), è inaccettabile.
Chiudo nel dubbio; nel dubbio che le mie critiche al nuovo allestimento siano solo il frutto del mio legame affettivo con quello vecchio (che pure, come ho scritto nel precedente articolo, era tutt’altro che esente da critiche) e soprattutto nel dubbio che io sia stato eccessivamente pessimista, che tutte queste mostre in contemporanea siano state solo un caso, che la “commistione” di cui vi ho parlato un semplice passo falso irripetibile: lo spero fortemente.
Lo spero perché se in mezzo alle tante porcherie storico artistiche che ci vengono offerte nei tanti spazi mediocri che ingombrano Roma, la GNAM perdesse i caratteri d’eccellenza che l’hanno contraddistinta, allora ci vedremmo privati di quello che è stato sempre un brano di prato in mezzo alla palude.
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