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Ricostruzione ipotetica della città nel V sec. d.C.

Ricostruzione ipotetica della città nel V sec. d.C.

di Jacopo Mordenti

Più ancora che di una città, la storia di Pisa è la storia di un porto, o meglio di un sistema di porti di assoluto rilievo nell’ambito delle rotte mediterranee. I non pochi approdi nei pressi dell’abitato, sviluppatosi su di un lembo di terra acquitrinosa fra i fiumi Arno e Auser (oggi Serchio), hanno infatti segnato la vicenda di Pisa fin dalle sue incerte origini: stando agli eruditi greci e romani, un primo insediamento potrebbe aver visto la luce addirittura fra II e I millennio a.C., ad opera dei Greci o piuttosto dei Liguri.

È in epoca etrusca, e poi romana, che si delinea con maggiore precisione il ruolo di Pisa quale strategico centro marittimo di ampio respiro. Se già con gli etruschi la città assurge a riferimento commerciale per l’entroterra toscano, con i romani, dunque sin dal III secolo a.C., essa arriva a fungere da base militare contro i Liguri, i Galli e i Cartaginesi di Annibale, probabilmente proprio in ragione dei suoi approdi. Spicca in breve fra essi il cosiddetto porto pisano, la cui capacità di accogliere flotte anche molto numerose è ben documentata.

Fonti alla mano, il porto pisano si direbbe essere l’infrastruttura protagonista anche della Pisa altomedievale, legata ai Longobardi prima e ai Franchi poi. È infatti proprio da esso che, sconfitto dai Franchi, nel 774 salpa alla volta dell’Oriente il principe longobardo Adelchi, a conclusione di un dominio che aveva visto la città non solo fungere da testa di ponte verso la Corsica, la Sardegna, la Spagna, ma anche dare i natali a Pietro da Pisa, uno degli intellettuali di punta della corte carolingia. È ancora al porto pisano che, nell’801, approdano gli ambasciatori del califfo abbaside Harun al-Rashid, carichi di doni per Carlo Magno.

Benché difficoltoso, non fosse altro in ragione dell’impaludamento documentato fra tarda antichità e alto medioevo, è ipotizzabile come sia stato proprio il mantenimento di questo sistema portuale a consentire a Pisa di affermarsi come potenza navale dagli orizzonti mediterranei, già fra X e XI secolo. Pure a lungo politicamente subordinata a Lucca nell’ambito della Marca di Tuscia, è infatti Pisa la città da cui muovono, nel corso dell’XI secolo, alcune significative spedizioni antisaracene in Calabria, in Sardegna, nel Nord Africa; da ricordare anche alcuni interventi nel Sud Italia normanno. La floridità economica e la vivacità culturale raggiunte nel frangente da Pisa risultano ben note anche agli storiografi contemporanei: ad esempio il biografo di Matilde di Canossa, non senza una certa perplessità, testimonia la presenza in città di mercanti “turchi, africani, parti e caldei”.

Boemondo e il Patriarca Daimberto in navigazione verso la Puglia

Boemondo e il Patriarca Daiberto in navigazione verso la Puglia

È fra XI e XII secolo che si consuma l’ascesa pisana. Al suo interno, Pisa vive una prima stagione di turbolenza politica e istituzionale, nel momento in cui il potere pubblico del marchese è sostituito di fatto da quello autonomo del vescovo e delle famiglie eminenti della città: è la nascita del Comune medievale. È però soprattutto sul piano della politica e dei commerci mediterranei che Pisa vive la sua epoca d’oro, tessendo pervicacemente una propria rete di interessi che dal Mediterraneo Occidentale arriva a comprendere il Nord Africa, l’Egitto, la Siria, l’Asia Minore, il Mar Nero. In particolare il supporto alle cosiddette crociate e all’Oriente Latino viene prontamente sfruttato dalla città non solo per ottenere nuovi sbocchi commerciali, ma anche per acquisire un maggiore spessore politico: è significativo che a essere eletto patriarca di Gerusalemme, all’indomani della conquista della città nel 1099, sia proprio il vescovo di Pisa Daiberto.

I risvolti del ruolo di potenza marittima raggiunto in quest’epoca da Pisa sono molteplici e correlati fra loro. Si pensi in primo luogo alla ricchezza culturale della quale la città, in virtù del suo contatto con i più avanzati saperi circolanti nel Mediterraneo, si fa tramite a vantaggio della civiltà occidentale. Una figura su tutte: quella di Leonardo Fibonacci, geniale matematico che introduce in Europa, mutuandoli dalla cultura musulmana, il calcolo posizionale e le cifre indo-arabe. Nato verosimilmente fra gli anni Settanta e Ottanta del XII secolo, Leonardo viene chiamato ancora bambino dal padre Gulglielmo, scrivano della dogana dei pisani, a Bugia, dove apprende i rudimenti della matematica araba e, in un secondo momento, le nove figure indiane (quelle che impropriamente sono chiamate numeri arabi); nel corso dei suoi viaggi nel Mediterraneo, Leonardo continua ad applicarsi ai suoi studi, finendo per consegnare all’Occidente, sprovvisto di una matematica appena più che rudimentale, una summa del sapere aritmetico e algebrico che travalica i risultati conseguiti fino ad allora dai grandi matematici arabi. Non è un caso se i trattati fondamentali di Fibonacci (in primo luogo il Liber Abaci del 1201, nonché la Pratica Geometriae del 1220) non risultano godere di immediata fortuna: pure tutt’altro che privi di risvolti pratici (si pensi in questo senso allo spazio che il Liber Abaci dedica alla soluzione dei tipici problemi connessi alla matematica mercantile, come compravendite, cambi, prestiti, società, ecc. ecc.), per lunghi decenni essi incontrano la diffidenza di non pochi mercanti europei, giacché quella che nei fatti propugnano è una rivoluzione che, per essere applicata, richiede l’abbandono di quanto impiegato in precedenza. In buoni e duraturi rapporti con la corte dell’imperatore Federico II, che conosce personalmente in occasione del soggiorno di questi a Pisa nel 1226, Fibonacci risulta ancora in vita nel 1241, allorquando il Comune di Pisa delibera a suo favore un salario annuo di 20 lire.

Statua di Fibonacci nel Camposanto di Pisa

Statua di Fibonacci nel Camposanto di Pisa

Beninteso, la Pisa del XII secolo raggiunge risultati straordinari anche in ambito artistico. Si pensi alle grandi opere architettoniche, ricche di suggestioni, che accompagnano la forte crescita della città: il Duomo, pure avviato nel 1064, è al centro di un cantiere secolare a cui, fra il 1173 e il 1180, prende parte anche il grande scultore Bonanno; non sono da meno il Battistero – su progetto di Diotisalvi, per realizzare il quale le famiglie pisane ricorrono nel 1153 all’autotassazione, e al quale un secolo dopo lavorerà anche Nicola Pisano – e il Campanile, meglio noto come Torre di Pisa, eretto a partire dal 1173 e a lungo afflitto dai ben noti problemi di cedimento del terreno. Rimarchevoli anche i traguardi giuridici, e più latamente intellettuali, di cui si rivela capace la cultura pisana del periodo: basti ricordare il Costitutum Usus del 1161, una formulazione del diritto consuetudinario pisano, attinente commerci e navigazione, che non solo esplicita il proficuo contatto di Pisa con città e costumi altri, ma che permette di intendere la sua cultura giuridica – espressa fra le altre da una figura poliedrica come quella di Burgundio, al contempo ambasciatore, giurista e grecista – come precoce e indipendente rispetto a quella bolognese.

In termini di politica interna, la Pisa del XII secolo dimostra di avere la lungimiranza di ampliare le infrastrutture funzionali al suo ruolo di potenza marittima: ad esempio il porto pisano vede migliorare le proprie strutture di attracco, di immagazzinamento delle merci e di accoglienza dei viaggiatori; una fitta rete di canali e fossi, inoltre, consente ai pisani di contenere la costante minaccia dell’impaludamento e dell’interramento degli approdi, guadagnando al contempo aree urbanizzabili e terreni coltivabili. Tutto ciò non impedisce alla città di essere percorsa tanto da profondi contrasti sociali – di cui sono espressione via via movimenti come quello dei patarini, dei valdesi, degli umiliati – quanto da violenti antagonismi fra le famiglie più in vista, di estrazione feudale piuttosto che consolare o commerciale. Nel 1191 il consolato cede il passo alla magistratura del podestà: non è che la prima di una serie di trasformazioni istituzionali, tutt’altro che pacifiche, che accompagnano la storia pisana del basso medioevo. Peraltro, le tensioni interne tendono con il tempo a riverberarsi anche nei domini diretti di Pisa, come ad esempio in Sardegna: nel XIII secolo l’isola è il primo teatro dello scontro, particolarmente lungo e acceso, fra i Conti della Gherardesca (fra cui il conte Ugolino di dantesca memoria) e i Visconti.

Su di un piano politico internazionale, l’affermazione di Pisa finisce in breve per collidere con quella delle altre repubbliche marinare italiane. Se i rapporti con Venezia non risultano idilliaci, in ragione del reiterato tentativo dei pisani di dominare anche la ricca orbita bizantina, è soprattutto con Genova che si registrano i più intensi e deleteri contrasti: lo scontro, anche armato, prende il via nel 1118 per trascinarsi di fatto per secoli, toccando Corsica, Sardegna, Oriente Latino, Spagna. Pisa ha infine la peggio, subendo nel 1284 la grave sconfitta della Meloria: un episodio spesso inteso, non senza qualche forzatura, come l’inizio della fine della sua vicenda.

Faro e navi. Bassorilievo sulla facciata della Torre Pendente

Faro e navi. Bassorilievo sulla facciata della Torre Pendente

A risultare davvero determinante per il declino delle ambizioni di Pisa è tuttavia il suo reiterato schierarsi a favore del fronte ghibellino. Se è vero che i buoni rapporti con l’imperatore Federico I Barbarossa fruttano alla città, fra il 1162 e il 1165, il riconoscimento della propria autonomia e del proprio dominio su di un entroterra relativamente cospicuo, è anche vero che, qualche buon decennio più tardi, il sostegno dato a Federico II – che culmina nell’episodio dell’isola del Giglio del 1241, allorquando i pisani intercettano i cardinali diretti via mare al concilio di Roma – costa a Pisa una duratura cattiva reputazione presso il papato ed il fronte guelfo. Non basta: agli inizi del Trecento la città offre il proprio appoggio all’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, salvo poi ritrovarsi, all’indomani dell’improvvisa morte di questi in Italia nel 1313, a dover affrontare da sola le armate lucchesi, fiorentine e angioine. Benché i brillanti risultati della difesa consentano a Pisa di chiedere una pace onorevole, l’isolamento della città si direbbe conclamato.

Perduto nel 1326 anche il controllo della Sardegna, dopo un fallimentare conflitto con l’Aragona, nel corso del XIV secolo Pisa si vede costretta a ridimensionare il proprio raggio d’azione su base via via sempre più regionale, il che la porta a scontrarsi con una Firenze in forte ascesa economica e commerciale. Piegata dalle ondate epidemiche della metà del secolo e in costante fibrillazione interna, nel 1399 la città viene venduta da Gherardo d’Appiano a Giangaleazzo Visconti, signore di Milano: appena sei anni più tardi il figlio di questi, Gabriele Maria, la vende a sua volta proprio a Firenze.

Il dominio fiorentino dura quasi un secolo. All’impoverimento materiale di Pisa – che pure continua a distinguersi da un punto di vista culturale – va peraltro a sommarsi il dissesto idrografico dell’ambiente circostante, che comporta il definitivo interramento dei porti – già nel Trecento lo stesso porto pisano era stato abbandonato a favore degli approdi prossimi a quella che sarà Livorno – e il dilagare della palude. Illustri commentatori politici, come il Guicciardini, hanno significativamente sostenuto come ciò sia stato appositamente indotto dai fiorentini per piegare la resistenza pisana. L’ultimo tentativo di riconquistare la propria indipendenza è compiuto da Pisa nel 1494; quindici anni più tardi, a seguito di un assedio decennale, la resa della neonata repubblica suggella il definitivo tramonto di Pisa quale città autonoma, e prelude al suo ingresso nel Granducato di Toscana ad opera dei Medici.

N.B.:Questo articolo è tratto da Storica National Geographic, Speciale n. 14 del giugno 2014 (“Le città medievali“) e appare qui per gentile concessione dell’editore e dell’autore.

Jacopo_Mordenti_200x200Jacopo Mordenti (1982) è l’autore del saggio Templari in Terrasanta. L’Oltremare del Templare di Tiro, pubblicato nel 2011 per i tipi di Encyclomedia Publishers. Ha conseguito nel 2008 la laurea specialistica in Culture del Medioevo e Archivistica presso l’ateneo di Bologna: la sua tesi, incentrata sugli ultimi decenni di vita dell’ordine templare, ha preso le mosse da una fonte relativamente poco nota come la cosiddetta “Cronaca del Templare di Tiro”, terza e ultima parte di un’opera più complessa, conosciuta come “Gester des Chiprois” e giunta fino a noi in un’unica copia trecentesca. Il suo lavoro universitario di ricerca è stato insignito della dignità di stampa.
Scrive su temi che spaziano dalla tarda antichità fino al Basso Medioevo per il mensile Storica National Geographic. Collabora stabilmente attraverso i suoi scritti con l’associazione culturale Italia Medievale e con la Libera Associazione Ricercatori Templari Italiani (L.A.R.T.I.) che si occupa della storia del Tempio soltanto attraverso fonti storicamente documentate.

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