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Pirati dell'antichità: il flagello del Mediterraneo

Ci sono testimonianze scritte di atti di pirateria nel Mediterraneo di oltre tremila anni fa. In epoca greca e latina il fenomeno assunse proporzioni tali da indurre i romani a lanciare una vasta offensiva contro i pirati


Per molte persone il primo contatto con i pirati sono i libri per ragazzi o i film di Hollywood. La perdurante fortuna di romanzi e film come Peter Pan, L’isola del tesoro, Il corsaro nero dimostra che la percezione popolare della pirateria è ancora oggi plasmata dall’universo narrativo degli autori del XVIII e XIX secolo.

Nell’immaginario collettivo il pirata è di solito uno spadaccino che solca i sette mari alla ricerca di un tesoro sepolto, con una benda su un occhio, un arto amputato e un pappagallo appollaiato che ripete volgarità. Ma nonostante il fascino suscitato dai filibustieri fin dall’epoca d’oro della pirateria (1650-1730), il banditismo marittimo è vecchio quasi quanto la stessa navigazione. Il termine latino pirata deriva dalla parola peirao, che in greco antico significa “tentare” e “prendere d’assalto”.

Mosaico proveniente dalla casa di Dioniso e Ulisse a Thugga (odierna Dougga, in Tunisia). III secolo s.C. Museo Nazionale del Bardo, Tunisi​

Mosaico proveniente dalla casa di Dioniso e Ulisse a Thugga (odierna Dougga, in Tunisia). III secolo s.C. Museo Nazionale del Bardo, Tunisi​

Foto: Paul Williams / Alamy / Aci

La pirateria divenne ben presto un elemento importante nella vita quotidiana degli insediamenti costieri del Mediterraneo centrale e orientale, perché la geografia aspra di queste regioni spingeva la gente a guadagnarsi da vivere con il mare piuttosto che con l’agricoltura. La scarsità di terre fertili faceva sì che la maggior parte dei villaggi litoranei fossero più piccoli e più poveri di quelli dell’entroterra. Ciò significava che la sopravvivenza degli abitanti di tali zone dipendeva da risorse marine quali pesci, molluschi, alghe e sale.

Di conseguenza molti uomini in buona salute dei porti del Mediterraneo centrale e orientale possedevano un’imbarcazione, imparavano a navigare in tenera età e conoscevano a perfezione le caratteristiche del mare. Tutto questo agevolava un loro eventuale ricorso alla pirateria in tempi difficili.

Durante i primi secoli di storia della navigazione le imbarcazioni non erano in grado di muoversi in mare aperto, per cui il traffico era limitato a poche rotte navigabili in prossimità della costa. Le lente e sovraccariche navi mercantili costituivano dei bersagli allettanti per i ladroni del mare, che potevano giovarsi dei frastagliati litorali del Mediterraneo. Il gran numero di baie e insenature offriva un rapido accesso alle rotte commerciali e permetteva ai pirati di rimanere nascosti alla vista delle loro vittime fino a quando ormai non era troppo tardi per fuggire.

I pirati più antichi

Tra le più remote fonti d’informazione sulla pirateria nel Mediterraneo ci sono documenti e annali dell’antico Egitto. Le Lettere di Amarna, un lotto di 362 atti di corrispondenza diplomatica tra l’amministrazione egizia e i suoi alleati e vassalli, sono particolarmente istruttive al riguardo. Risalenti all’epoca del Nuovo regno, le lettere (1360-1332 a.C. circa) offrono un’ottima panoramica della situazione politica del Mediterraneo orientale di quegli anni. In alcune di esse si può leggere che due gruppi di pirati, i lukka e gli sherden, stavano perturbando il commercio e la sicurezza nella regione. In una missiva al faraone, il re di Alasia (Cipro) nega categoricamente che il suo popolo si sia alleato con i lukka, che anzi saccheggerebbero spesso la città cipriota di Zikhra. Dai loro insediamenti in Licia (Asia Minore) i lukka potevano attaccare facilmente le comunità costiere del Mediterraneo orientale. Purtroppo la lettera non rivela come fu respinta la minaccia pirata, ma afferma che se qualche abitante locale fosse stato trovato tra le file nemiche, sarebbe stato severamente punito.

Un’altra lettera dell’archivio di Amarna riferisce di un abbordaggio effettuato da un gruppo di pirati di Beirut, Tiro e Sidone a spese di un bastimento. Un racconto romanzesco scritto intorno al 1100 a.C., durante il regno di Ramses III, e noto come Il viaggio di Unamon, illustra bene il potere dei pirati. Secondo il testo un altro gruppo di pirati, gli zeker, controllava il litorale che va dal sud di Israele fino a Byblos (nell’attuale Libano) e poteva attaccare la marina mercantile in totale impunità.

Banditi greci

Tra le prime testimonianze di pirateria in Grecia ci sono le leggende intorno alle gesta di Minosse, il potente sovrano di Creta. Tanto Erodoto quanto Tucidide sostenevano che Minosse fosse stato il primo re a creare una talassocrazia, ovvero un impero marittimo. Secondo Tucidide, «Minosse fu il più antico a dotarsi di una flotta ed estese il suo dominio su gran parte dell’attuale mare greco; sottomise le Cicladi e fu il primo a colonizzare molte di esse, espellendo i cari e insediando al governo i propri figli. E, com’era naturale, per poter riscuotere con maggior sicurezza i tributi cercò, per quanto in suo potere, di ripulire il mare dai pirati».

Questa kylix risalente al 520-500 a.C. mostra un mercantile di fronte a una nave da guerra munita di rostro e pronta all’abbordaggio

Questa kylix risalente al 520-500 a.C. mostra un mercantile di fronte a una nave da guerra munita di rostro e pronta all’abbordaggio

Foto: British Museum / RMN-Grand Palais

Malgrado la tentazione di pensare che queste vicende si riferiscano a un evento reale, la talassocrazia minoica non ha una solida base storica e probabilmente entrambi gli autori la usavano come un’allegoria per parlare dell’impero marittimo ateniese del loro tempo. La pirateria come concetto chiaramente definito emerse in realtà solo più tardi, in Epoca arcaica (800-500 a.C.). L’Iliade e l’Odissea, scritte nell’VIII secolo, contengono numerosi riferimenti ai pirati. Per quanto se ne parli spesso con biasimo e disapprovazione, c’è in alcuni casi un tentativo di comprenderne le motivazioni. Quando finge di essere cretese, Ulisse spiega che grazie ai saccheggi i pirati possono elevare il loro status sociale. Quindi, se anche la pirateria era riprovevole come mera attività di sussistenza, il bottino permetteva ai pirati di professione di scalare posizioni nella gerarchia sociale.

Alla fine del VI secolo a.C. le reti commerciali greche abbracciavano ormai un’area vastissima: dal Portogallo meridionale all’India occidentale, dai porti nordafricani al punto più settentrionale del mar Nero. Era cresciuto anche il volume e il valore delle merci trasportate, il che significa che per la prima volta la prosperità economica di città-stato greche come Atene, Corinto ed Egina dipendeva quasi interamente dal commercio marittimo. La pirateria rappresentava quindi una grave minaccia al benessere cittadino. Non a caso, secondo Tucidide, i corinzi furono i primi a cercare di sopprimerla con l’obiettivo di sostenere i mercanti.

Il carattere sacro e inviolabile di Delo ne favorì l’attività mercantile. Nel II secolo a.C. diventò un enorme mercato di schiavi alimentato dalla pirateria

Il carattere sacro e inviolabile di Delo ne favorì l’attività mercantile. Nel II secolo a.C. diventò un enorme mercato di schiavi alimentato dalla pirateria

Foto: AC Productions / Getty Images

L’alto costo delle campagne navali su larga scala impediva però a molti stati d’intraprendere azioni militari. Anche solo una missione puntuale contro un piccolo numero di pirati avrebbe richiesto un enorme sforzo bellico e ingenti investimenti pubblici. Di conseguenza, nel V e nel IV secolo a.C. le città greche cercarono di limitare la pirateria attraverso misure meno costose, che prevedevano sporadiche operazioni volte a ripulire i mari, la formazione di alleanze, la stipula di trattati (che includevano clausole per proibire il banditismo marittimo), la costruzione di presidi militari nelle regioni in cui i pirati operavano e l’uso di scorte per accompagnare le navi mercantili.

Anche se queste misure riuscirono a limitare parzialmente le azioni di pirateria, in molte regioni del Mediterraneo il fenomeno continuò a proliferare.

È indicativo che alla fine del IV secolo a.C. Alessandro Magno vedesse la pirateria come una grave minaccia per i suoi piani d’invasione della Persia. Il suo esercito dipendeva dai rifornimenti inviati dalla Grecia continentale, quindi gli attacchi alla marina mercantile potevano mettere a repentaglio la campagna militare. Per questo Alessandro creò la prima vera “coalizione internazionale” contro la pirateria, cui tutti i suoi alleati e vassalli erano obbligati a partecipare.

Dopo la morte di Alessandro nel 323 a.C. nessuna potenza aveva più la forza o la volontà politica sufficienti per porre fine al fenomeno. Anzi, i successori di Alessandro ritenevano i pirati una risorsa utile a danneggiare i rispettivi avversari, e in alcuni casi li arruolarono nella propria marina come unità ausiliarie.

L’arrivo dei cilici

Uno dei successori di Alessandro, Demetrio Poliorcete, schierava regolarmente contingenti di pirati tra le sue truppe navali. Lo storico Diodoro Siculo afferma che durante l’assedio di Rodi il sovrano macedone impiegò molti banditi marittimi, tra cui il famoso Timocle e la sua ciurma. Analogamente Tolomeo II li utilizzò contro il seleucide Antioco II durante la Seconda guerra siriaca (260-253 a.C.).

Ricostruzione della Kyrenia realizzata sulla base dei dati archeologici, mostra un’imbarcazione con un solo albero, vela quadrata e due timoni laterali. Lo scafo era protetto da un rivestimento di piombo

Ricostruzione della Kyrenia realizzata sulla base dei dati archeologici, mostra un’imbarcazione con un solo albero, vela quadrata e due timoni laterali. Lo scafo era protetto da un rivestimento di piombo

Foto: Richard Schlecht / NGS

Ciononostante, anche se alcuni di questi predoni si guadagnavano da vivere negli eserciti dei regni dei diadochi, la maggior parte continuò a operare per conto proprio, come Timarco, un avventuriero dell’Etolia attivo in Asia Minore durante il III secolo a.C. Il crollo della potenza navale di Rodi nel 167 a.C. eliminò l’ultimo ostacolo alla diffusione della pirateria, che vent’anni più tardi costituiva di nuovo un problema rilevante. Questo periodo vide l’ascesa dei cilici, che spadroneggiavano nelle acque del Mediterraneo orientale. I pirati cilici attaccavano di solito le lente navi adibite al trasporto del grano. I membri dell’equipaggio e i passeggeri catturati potevano essere venduti come schiavi oppure, nel caso in cui fossero stati abbastanza importanti o facoltosi, tenuti in ostaggio fino al pagamento di un riscatto.

I romani e la pirateria

Inizialmente i romani tollerarono la presenza dei cilici, in quanto le attività agricole e minerarie dipendevano fortemente dall’abbondante offerta di schiavi a buon mercato. Ciononostante, quest’attitudine cambiò nel 74 a.C., quando alcuni cilici rapirono il giovane Giulio Cesare e pretesero un riscatto per la sua liberazione. L’incidente irritò particolarmente il generale romano, trattandosi della seconda volta che cadeva nelle mani dei pirati. Nel momento in cui venne rilasciato, Cesare mise insieme una flotta, localizzò pirati, li sconfisse e alla fine li fece giustiziare.

Rilievo romano del II secolo d.C. che rappresenta un combattimento navale. In acqua si vedono i corpi di alcuni soldati. Museo archeologico, Venezia

Rilievo romano del II secolo d.C. che rappresenta un combattimento navale. In acqua si vedono i corpi di alcuni soldati. Museo archeologico, Venezia

Foto: DEA / Scala, Firenze

   

Poco dopo, nel 67 a.C., alcuni banditi marittimi saccheggiarono Ostia, il porto di Roma. Quest’evento convinse i cittadini dell’Urbe della necessità di uno sforzo sistematico per mettere fine al fenomeno. Innanzitutto fu approvata una legge antipirateria, conosciuta come Lex Gabinia (dal nome del suo promotore, Aulo Gabinio), che dichiarava i pirati hostes gentium, “nemici dell’umanità”.

Cicerone espresse il medesimo concetto nella sua opera De officiis, in cui li accusava di essere una calamità per tutti gli esseri umani.

Pompeo sconfigge i pirati

La Lex Gabinia garantiva al generale Gneo Pompeo ampi finanziamenti pubblici e un’autorità senza precedenti per combattere la pirateria, e rese di fatto Gneo Pompeo l’uomo più potente di Roma: avrebbe avuto a disposizione 120mila soldati, quattromila cavalieri, 270 navi e un fondo di ben seimila talenti. Con queste risorse Pompeo intraprese una serie di operazioni contro i principali bastioni pirata del Mediterraneo, tra cui la Cilicia, Creta, l’Illiria e Delo.

Gneo Pompeo Magno mise fine alla minaccia pirata nel Mediterraneo. Busto di marmo del I secolo a.C. Museo della civiltà romana, Roma

Gneo Pompeo Magno mise fine alla minaccia pirata nel Mediterraneo. Busto di marmo del I secolo a.C. Museo della civiltà romana, Roma

Foto: Prisma / Album

L’aspetto più rilevante delle campagne di Pompeo il Grande fu la clemenza che venne concessa a molti dei nemici. Anche se migliaia di loro morirono per mano delle truppe di Pompeo, chi si arrese spontaneamente ricevette proprietà e terra in regioni lontane dal mare, dall’Anatolia all’Africa settentrionale. Tali ricompense avevano lo scopo d’incentivare la gente a guadagnarsi da vivere onestamente e ridurre in questo modo il fascino esercitato dalla pirateria. Si trattò di una delle politiche più efficaci attuate in epoca romana contro il banditismo marittimo, anche se non riuscì mai a sradicare completamente il fenomeno.

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