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Dal fusto di questa pianta che cresceva nelle paludi del Nilo si ricavava la superficie più funzionale alla scrittura dell’antichità.


Una rigogliosa vegetazione di papiri fiorisce nel Museo del papiro di Siracusa

Una rigogliosa vegetazione di papiri fiorisce nel Museo del papiro di Siracusa

Foto: Alamy/Aci

In epoca faraonica il delta del Nilo, con il suo paesaggio ricco di vita e di colori, costituiva per gli egiziani un’inesauribile fonte di ricchezza agricola. Per secoli fiorirono in quell’ambiente privilegiato vigneti, campi di grano, giardini in cui crescevano alberi da frutto e ortaggi di ogni tipo, e colture di lino. Tuttavia, fu soprattutto una delle molte piante coltivate nel delta ad acquisire un’importanza emblematica: una specie di canna, che cresce nelle paludi, è di color verde intenso e può superare i quattro metri di altezza. Gli antichi egizi le davano vari nomi: mehyt (letteralmente, “pianta delle paludi”), chuty o uady(termini che si riferiscono alla fioritura o al verde, colore associato alla rinascita e alla freschezza). Secondo alcuni ricercatori, il termine che è all’origine della denominazione odierna, papiro, risalirebbe all’espressione pa-en-per-aa , che significa “faraonico” o “ciò che appartiene al re”. Rimanderebbe quindi all’utilizzo di tale pianta nella produzione della prima forma di carta conosciuta nell’antichità, un’attività che generava notevoli profitti ed era perciò monopolio del faraone. Ben presto il papiro assunse un significato simbolico. Data la sua particolare abbondanza nella zona del delta del Nilo, a partire dall’epoca predinastica divenne la pianta araldica del Basso Egitto, mentre quella dell’Alto Egitto era il loto.

Nel bassorilievo sono rappresentati gli spiriti del Nilo intenti a legare a un fusto le piante araldiche dell’Alto e del Basso Egitto, rispettivamente il loto e il papiro

Nel bassorilievo sono rappresentati gli spiriti del Nilo intenti a legare a un fusto le piante araldiche dell’Alto e del Basso Egitto, rispettivamente il loto e il papiro

Foto: Werner Forman/Gtres

Poiché si trattava di una specie caratteristica di ambienti acquatici, i teologi sostenevano che crescesse direttamente dal Nun, l’oceano primordiale che esisteva prima della creazione del mondo, e che le sue radici arrivassero fino al Benben, la collina emersa dall’abisso in cui erano sorti i primi dèi e i primi esseri viventi. Si credeva anche che il cielo e la terra fossero separati da quattro pilastri di papiro, ed è per questo motivo che nelle sale ipostile dei santuari i capitelli avevano di solito la forma di questa pianta. Il papiro era inoltre considerato un simbolo della rinascita del defunto nell’aldilà, perché era associato alla freschezza e all’abbondanza di vegetazione. Nei Testi delle piramidi è riportata una formula in cui il defunto dichiara di impugnare uno scettro di papiro per proteggersi nell’oltretomba.

A partire dal Nuovo Regno vengono prodotti migliaia di papiri funerari, sempre più raffinati

A partire dal Nuovo Regno vengono prodotti migliaia di papiri funerari, sempre più raffinati

Foto: Bridgeman/Aci

Un materiale versatile

Gli egizi usavano la pianta in vario modo. Alcune parti, come il fusto e le radici, erano utilizzate come alimento, sia crude sia cotte. Con il fusto si fabbricavano anche numerosi oggetti: corde, ceste, mobili, calzature e persino imbarcazioni. Ma, soprattutto, il supporto per la scrittura conosciuto ancor oggi come papiro e che gli egizi chiamavano ouadj. Le informazioni disponibili su come avvenisse la produzione del papiro sono scarse. Senz’ombra di dubbio, la presenza di paludi rendeva la zona del delta del Nilo particolarmente adatta alla coltivazione della pianta. I laboratori di produzione della carta si trovavano nelle vicinanze, perché il fusto andava lavorato fresco. Si ignora in quale stagione dell’anno si procedesse alla coltivazione o alla raccolta, anche se è probabile che avvenisse in primavera o in estate. Il processo di produzione del papiro iniziava dunque nelle paludi, dove il fusto veniva sradicato (senza reciderlo).

Con i fusti del papiro si potevano produrre corde, ceste, mobili o sandali

Alcuni bassorilievi nelle tombe di alti funzionari dimostrano che i fusti di papiro, una volta raccolti, venivano legati in fasci e portati nei laboratori. Qui veniva rimossa la corteccia dal fusto e il midollo era tagliato in strisce sottili, larghe tra uno e tre centimetri, le quali venivano poi allineate verticalmente fino a formare uno strato rettangolare. Quindi si componeva un altro strato con le stesse caratteristiche, che veniva collocato perpendicolarmente al primo. In tal modo, una delle facce aveva le fibre disposte in verticale e l’altra in orizzontale. Per compattare i due strati, venivano percossi con un martelletto o pressati tra due pietre per vari giorni. Erano i succhi rilasciati naturalmente dalla pianta a mantenerli uniti: questo spiega perché i fusti dovevano essere teneri al momento della lavorazione. I fogli di papiro erano normalmente costituiti solo da due strati, ma ne sono stati ritrovati esemplari anche con tre. L’ultima fase del processo consisteva nel levigare la superficie con un peso e ritagliarne i bordi. Stando ai bassorilievi faraonici, i fogli inizialmente erano di una tonalità color avorio, molto chiara, e solo con il tempo acquisivano il caratteristico colorito giallognolo.

Sala ipostila di Karnak disseminata di colossali colonne. Quelle centrali sono sormontate da capitelli a forma di papiro aperto

Sala ipostila di Karnak disseminata di colossali colonne. Quelle centrali sono sormontate da capitelli a forma di papiro aperto

Foto: Juergen Ritterbach/Alamy/Aci

Il papiro e la civiltà

Le dimensioni dei fogli di papiro variavano a seconda delle epoche. Durante il Medio Regno il foglio standard era largo tra i 38 e i 42 centimetri ed era alto tra i 42 e i 48. Le misure si ridussero nel Nuovo Regno, quando la larghezza del foglio passò a 16-20 centimetri e l’altezza a 30-33. Dal canto loro, gli scribi non usavano fogli separati bensì rotoli, che svolgevano sulle ginocchia mentre scrivevano, sostenendoli con la mano sinistra. Poiché di solito si scriveva da destra a sinistra, questa era considerata la posizione migliore. Ogni rotolo era formato da un totale di 20 fogli, che venivano sovrapposti per alcuni centimetri (da uno a tre) lungo il bordo laterale, e quindi incollati con un composto di acqua e farina.

Rotolo liturgico di pergamena. Museo bizantino, Atene

Rotolo liturgico di pergamena. Museo bizantino, Atene

Foto: Prisma/Album

In genere si scriveva sulla faccia con le fibre orizzontali ma, dati gli alti costi del supporto e la facilità di conservazione, molti dei papiri venivano utilizzati anche sul retro. Come supporto scrittorio, il papiro offriva evidenti vantaggi. Leggero e resistente, si adattava a qualsiasi tipo di testo, il che gli consentì di essere usato non solo in Egitto ma anche in Grecia, durante l’impero romano e in epoca islamica. Tuttavia, la sua produzione era carae limitata alla zona di Alessandria. Per questo finì per essere sostituito con materiali più economici e accessibili, come la pergamena e, soprattutto, la carta, prodotta a partire da altre fibre vegetali con un procedimento d’invenzione cinese. Eppure, questa pianta fu estremamente importante durante l’antichità. Plinio ne riassunse bene il ruolo quando scrisse: «Tratteremo delle caratteristiche del papiro, perché sull’uso della carta si fonda in buona parte la civiltà umana e, se non la sua esistenza, da esso dipende in ogni caso la sua memoria».

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