di Valeria Mannoia
Il 14 maggio, per il concerto di inaugurazione del Festival Monteverdi di Cremona (nella chiesa di San Marcellino), Modo Antiquo ha proposto un programma un po’ diverso dal solito. Sin dalla sua fondazione (1987), l’ensemble barocco ha puntato sulla qualità e sul favorire un approccio mai banale e scontato alla prassi esecutiva storicamente informata, applicandosi con grande fervore al repertorio italiano del XVIII secolo. In primis il prete rosso, alias Antonio Vivaldi. Ma qui il cavallo di battaglia di Federico Maria Sardelli è sostituito da un altro gigante della storia della musica, Claudio Monteverdi.
L’attenzione si sposta indietro nel tempo, alla Venezia del 1641, quando esce alla stampe uno degli ultimi magistrali sforzi editoriali del grande Claudio, la Selva Morale e Spirituale. Però, della monumentale miscellanea monteverdiana di canzoni spirituali, messe, mottetti e magnificat il direttore Sardelli sceglie di selezionare solo cinque composizioni, come il secondo e terzo Confitebor tibi Domine e il secondo Dixit Dominus a otto parti, preferendo accostare altri mottetti dello stesso autore, ma pubblicati in raccolte diverse. Evidentemente, più che sull’integrità della fonte scelta si punta su una continua diversificazione dell’organico vocale utilizzato, mostrando involontariamente come la scrittura musicale del XVII secolo prevedesse un ventaglio di infinite soluzioni esecutive, nella scelta delle tipologie vocali e nell’uso della tecnica del concertato.
Risultano pregevoli le esecuzioni di Salvo Vitale e di Paolo Fanciullacci (rispettivamente il basso e il tenore secondo dell’ensemble vocale) che hanno saputo sostenere il suono con qualità anche in un ambiente acusticamente poco generoso, come quello della Chiesa di San Marcellino. Spicca per la ricchezza di diminuzioni cristalline della linea vocale il Confitebor tibi Domine, composto per soprano solo, con ritornelli strumentali di due violini e basso continuo, tratto dalla raccolta postuma Messa a quattro voci, et salmi, concertati (1650). “L’irregolarità” dei mottetti concertati per diverse combinazioni vocali e strumenti è spezzata, come spesso accade in questi concerti, dall’esecuzione di cinque Sonate solo strumentali di Giovanni Paolo Cima, Andrea Gabrieli e Dario Castello. La scelta non poteva essere più indicata. Molto apprezzabile anche l’intenzione, perfettamente aderente al principio del comporre per ogni sorta de’ strumenti, di variare costantemente l’organico alternando due pregevoli coppie di violini al duo violino e cornetto fino al flauto solo, sempre su un nutrito basso continuo di organo, tiorba e violoncello.
Di grande carattere l’interpretazione della sonata prima a soprano solo di Dario Castello eseguita da Sardelli al flauto diritto, così come l’esecuzione della non semplice sonata di Giovanni Paolo Cima, in realtà intenzionalmente composta dall’autore per violino e violone (si tratta, per altro, della prima composizione espressamente pensata per il violino). Ha lasciato perplessi l’esordio un po’ titubante e sotto tono del concerto, apertosi con il festoso Beatus vir a sei voci concertate con due violini e tre tromboni, ma fortunatamente il tono generale del concerto si è ripreso, mantenendo le aspettative promesse a un folto pubblico quasi tutto di provenienza estera. Forse troppo pochi gli italiani, per lo più studiosi del settore e appassionati del repertorio seicentesco ma probabilmente, o così speriamo credere, il temporale improvviso della serata ha trattenuto a casa buona parte del pubblico cremonese.
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