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Leonardo da Vinci: gli ultimi anni di un genio

Le guerre che i re di Francia combatterono in Italia permisero ai sovrani di entrare in contatto con Leonardo da Vinci, di cui divennero generosi mecenati, a tal punto che l’artista si trasferì in Francia e lì terminò i propri giorni


Gli venne un parossismo messaggiero della morte; per la qual cosa rizzatosi il re e presoli la testa per aiutarlo e porgerli favore acciò che il male lo alleggerisse, lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re». Con questa scena commovente il biografo Giorgio Vasari concluse la Vita di Leonardo da Vinci immaginando – perché il racconto è lontano dalla verità storica – che il 2 maggio 1519 Francesco I accogliesse l’ultimo respiro dell’uomo eccezionale che tre anni prima si era posto al suo servizio. Se l’aneddoto rappresenta solo una fiorita leggenda che avrebbe però proiettato Leonardo in una dimensione mondiale e avrebbe ispirato artisti come Jean-Auguste-Dominique Ingres, è vero però che da Vinci si era recato alla corte di Francesco I re di Francia dietro insistenza dello stesso sovrano e dei suoi predecessori.

Nel 1818 Ingres riprodusse su tela la morte di Leonardo come la racconta Vasari. Petit Palais, Parigi

Nel 1818 Ingres riprodusse su tela la morte di Leonardo come la racconta Vasari. Petit Palais, Parigi

Foto: Album

Nato a Vinci e cresciuto a Firenze, dove si era formato nelle arti, nelle tecniche e nell’osservazione della natura presso la bottega di Andrea del Verrocchio – protetta da Lorenzo il Magnifico –, nel 1482 Leonardo si recò alla corte milanese di Ludovico Sforza, detto il Moro. E lì si trovava quando, nel settembre 1494, il sovrano francese Carlo VIII, alleato degli Sforza, oltrepassò le Alpi con l’esercito per occupare il regno di Napoli. Un riesame dei documenti disponibili e delle circostanze note suggerisce che Leonardo avesse subito stabilito relazioni con alcuni funzionari reali. Sembra indicarlo il cosiddetto “memorandum di Ligny”, nel Codice Atlantico, un insieme di testi e disegni leonardeschi. In questo compare una misteriosa nota: «Trova Ingil e dilli che tu l’aspetti amorra e che tu andrai con seco ilopanna». Nei tre nomi, scritti al contrario, si possono riconoscere Luigi di Lussemburgo, conte di Ligny (Ingil) nonché cugino del re, Roma (A-rRoma) e Napoli (A-nNapoli).

Quando nel luglio 1499 i francesi invasero di nuovo il Milanese, il re Luigi XII fece a Leonardo alcune richieste che ignoriamo e che non vennero esaudite neppure al ritorno del genio a Firenze, nel 1501. Leonardo stava dipingendo la Madonna dei Fusi per il ministro delle finanze Florimond Robertet. Il re reclamava Leonardo al suo servizio, e incaricò Charles II d’Amboise, governatore di Milano, di farlo tornare. Questi esercitò insistenti pressioni sulla repubblica fiorentina e alla fine Leonardo, che aveva intrapreso la Battaglia di Anghiari ma aveva interrotto il lavoro, forse per il fallimento della sua tecnica sperimentale, l’abbandonò definitivamente e lasciò Firenze. Nel 1508 si mise al servizio del re come Nostre paintre et ingénieur ordinaire. Doveva finire una Sant’Anna con la Madonna e il Bambino, che da molti anni conduceva con la consueta e proverbiale lentezza, e la seconda Vergine delle Rocce, oggi alla National Gallery di Londra, richiesta dal re per poter sostituire l’originale, oggi al Louvre, e impadronirsene. Leonardo l’aveva dipinta su committenza della confraternita dell’Immacolata Concezione di Milano.

Tra il 1494 e il 1498 Leonardo dipinse l’affresco dell'Ultima cena per il refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, a Milano

Tra il 1494 e il 1498 Leonardo dipinse l’affresco dell'Ultima cena per il refettorio del convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, a Milano

Foto: Mauro Magliani / RMN-Grand Palais

Leoni per due re

Nel 1509, durante la visita di Luigi XII a Milano, Leonardo progettò per uno spettacolo in suo onore un leone meccanico che, ritto sulle zampe, si apriva sul petto per trarne palle blu e gigli d’oro, secondo l’araldica regale. Ma la dipendenza di Leonardo dal monarca s’interruppe quando gli Sforza ripresero la città nel dicembre 1512. Nel settembre 1513 Leonardo andò a Roma, dove si trovò di nuovo protetto dai due Medici Leone X e il fratello Giuliano, della dinastia dei mercanti-banchieri fiorentini ormai approdata in politica e che lo aveva favorito in gioventù. Tuttavia, per Leonardo non era Roma la meta a lungo inseguita. Con il sibillino appunto «li medici mi creorono e desstrussono» nel Codice Atlantico, egli confidava al foglio una sua profonda insoddisfazione: ignoriamo se si riferisca ai Medici che, avendolo “creato”, ovvero allevato professionalmente, lo abbandonarono, o ai dottori, i medici che, dopo averlo fatto venire al mondo, gli rovinavano ora la salute con l’impiego di cure sbagliate.

Alla ripresa della guerra contro la Lombardia da parte di Francesco I, re dal gennaio 1515, Leonardo entrò di nuovo nelle attenzioni della corona francese. Quando la patria fiorentina offrì un banchetto al re che sostava a Lione, fu un altro leone meccanico inventato da Leonardo a rendergli omaggio: l’automa – simbolo di Firenze e di Lione – camminava e il suo petto si apriva mostrando araldici gigli. In ottobre Francesco I entrò a Milano, già occupata dalle sue truppe, e lì probabilmente contemplò l’Ultima cena, che aveva così affascinato il suo predecessore da convincerlo a portarla in Francia. Poco dopo, nel dicembre dello stesso anno, Leonardo, al seguito di papa Leone X, ebbe modo di conoscere a Bologna il sovrano, che mantenne un colloquio privato con il pontefice.



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L’ultima tappa

Deluso per lo scarso successo a Roma e preoccupato per il futuro dopo la morte prematura di Giuliano de’ Medici, nel marzo 1516 Leonardo accettò l’invito a lavorare in Francia che Francesco I e sua madre Luisa di Savoia gli avevano rivolto fin dal 1515: il sovrano, genero di Luigi XII, ammirava quanto il suocero i lavori dell’artista. In una vita di peregrinazioni, non era certo il suo primo trasloco. Ma quello del 1517 fu definitivo, come egli ben sapeva; di fatto comportò il trasferimento di quasi tutti i suoi averi, anche quelli ritirati da depositi a Firenze e in altre città, attraverso le Alpi. Non conosciamo i dettagli di un trasporto tanto ingente, ma i documenti di età rinascimentale lo lasciano intuire. Nelle rappresentazioni di carovane – per esempio quella dei re Magi – si vedono bestie da soma con bauli pendenti a coppie sui fianchi, carichi di casse di oggetti imballati con cura. Sarà stato necessario anche un carro per i quadri più grandi, poiché con Leonardo viaggiarono i suoi dipinti incompleti: la Sant’Anna, San Giovanni Battista, forse il San Giovanni-Bacco e l’inseparabile Monna Lisa, capolavori oggi conservati al Louvre. Il viaggio fu faticoso per Leonardo, che aveva sessantaquattro anni e forse era già sofferente per i postumi di un probabile ictus cerebrale che gli aveva compromesso la mobilità della mano destra. Un appunto del Codice Atlantico in data 22 maggio 1517 rivela che si era stabilito ad Amboise, nella valle della Loira; con lui c’erano anche i fedeli collaboratori Francesco Melzi e Salaì.

Il castello di Amboise s’innalza sulla cima di un promontorio che domina il fiume Loira. Fu una delle residenze reali preferite del re Francesco I

Il castello di Amboise s’innalza sulla cima di un promontorio che domina il fiume Loira. Fu una delle residenze reali preferite del re Francesco I

Foto: Olimpio Fantuz / Fototeca 9x12

     

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Un’autonomia totale

Leonardo e Melzi ricevevano uno stipendio dal re e il sovrano aveva ceduto all’artista la proprietà di Clos-Lucé, a cinquecento metri dal castello di Amboise, residenza reale. Francesco I, che aveva una stima enorme per Leonardo, ne gradiva la presenza e la conversazione al punto da intrattenersi con lui ogni giorno. Una tale confidenza ha fatto nascere la leggenda del “passaggio segreto”, un tunnel fra il castello di Amboise e Clos-Lucé che avrebbe favorito i loro incontri, che però non risulta sia mai esistito. Leonardo trovò nel monarca francese un mecenate che gli forniva uno stipendio senza pretendere nulla in cambio, così poté lavorare in libertà. Si mise quindi al servizio di Francesco I, e come scenografo di corte allestì quattro spettacoli, due dei quali furono molto apprezzati. Nel maggio 1518, per commemorare la battaglia di Marignano che tre anni prima aveva permesso al re di assumere il controllo del Milanese, vennero messi in scena l’assedio e la presa del castello di Amboise, con uno spettacolo roboante di fumo, colubrine e bombarde che sparavano delle sfere che poi ricadevano al suolo, con grande piacere di tutti e senza causare danni ai presenti: un’invenzione magnifica. A giugno ebbe luogo la celebrazione più sorprendente: la “festa del paradiso”, allestita nel giardino di Clos-Lucé. Leonardo s’ispirò a una rappresentazione che aveva già organizzato a Milano per Ludovico il Moro nel 1490, basata sui versi del poeta Bernardo Bellincioni. Un telone blu di quasi settecento metri quadrati, adornato di stelle dorate, evocava la volta del cielo e centinaia di torce trasformavano la notte in giorno. Il pubblico sotto il telone assistette rapito a uno spettacolo che includeva attori mascherati da pianeti e un portento meccanico: un globo che si apriva mostrando il paradiso. Quella fu l’ultima festa che organizzò.

Ritratto di Leonardo da Vinci

Ritratto di Leonardo da Vinci

Foto: White Images / Scala, Firenze

   

La visita del cardinale

Sempre ad Amboise, il 10 ottobre 1517 l’artista accolse il cardinale Luigi d’Aragona e il suo segretario Antonio de’ Beatis, in missione diplomatica; e fu proprio de’ Beatis che, nel suo resoconto del viaggio, riferì della paresi alla mano destra, la quale impediva a Leonardo di dipingere anche se, da mancino, poteva ancora disegnare. Ai visitatori vennero mostrati tre quadri: «Uno di certa donna firentina, facto di naturale, ad instantia del quondam magnifico Iuliano de Medici, l’altro di san Iohanne Baptista giovane, et uno de la Madonna et del figliolo che stan posti in gremmo de sancta Anna, tucti perfectissimi». E inoltre un’infinità «de volumi, et tucti in lingua vulgare, quali si vengono in luce saranno profigui et molto delectevoli». Tutti i manoscritti dei più svariati argomenti – studi sul volo, un trattato di pittura, macchine, acque, anatomia, ottica – avevano seguito infatti Leonardo in Francia. Per i quadri su sant’Anna e san Giovanni Battista sono certe le identificazioni con quelli oggi al Louvre, mentre non è certa l’identità della dama fiorentina, da molti (ma non da tutti) ritenuta essere Monna Lisa.

La fine del cammino

Ormai prossimo alla morte, il 23 aprile 1519, otto giorni dopo il suo compleanno, Leonardo fece testamento. Volle essere sepolto nella chiesa di Saint-Florentin ad Amboise; durante il funerale, sessanta poveri pagati a tale scopo avrebbero dovuto reggere altrettante lanterne. In sua memoria si sarebbero dovute dire tre messe maggiori e trenta minori. A Francesco Melzi, suo esecutore testamentario, lasciò vesti, denaro e, soprattutto, libri, documenti, disegni «circa l’arte sua et industria de Pictori»: un tesoro inestimabile di fogli rilegati e sciolti, del quale inizierà ben presto la dispersione. La vigna di Milano fu divisa fra Salaì (che avrebbe tenuto la casa da lui costruita) e il servitore Battista de Villanis, mentre alla cuoca Maturina andarono due ducati e capi di vestiario. I fratellastri, con cui Leonardo in passato aveva avuto liti e cause legali, ereditarono i 400 scudi in deposito a Firenze presso lo Spedale di Santa Maria Nuova. Invece i quadri, che erano già stati venduti al re, rimasero fuori dal testamento. Quando oggi qualcuno - che sia un politico bene intenzionato o una tifoseria da stadio - reclama la restituzione della Monna Lisa all’Italia, non tiene conto della volontà di Leonardo, che “esportò” personalmente il quadro e ne permise l’ingresso nelle raccolte reali. Questo e gli altri quadri là giunti in tempi diversi, contribuirono a fare di Parigi la città con la più alta concentrazione al mondo di opere di pittura di Leonardo.



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