Siamo a Uzès, in Francia, nell’anno del signore 841. La geografia politica dell’Europa e le istituzioni locali sono state recentemente ridisegnate da Carlo Magno, e il lunghissimo periodo del medioevo è iniziato da circa 4 secoli. In città la moglie del duca locale, Bernardo di Settimania, ha da poco dato alla luce un neonato (22 marzo) che le è stato portato via non ancora battezzato dal marito, il quale si trova al seguito di Pipino d’Aquitania. Il primo figlio della coppia, Guglielmo, è da anni ostaggio di Carlo il Calvo, cresciuto come molti altri figli di nobili sapendo che un errore del padre avrebbe significato morte certa.

Bernardo è un uomo di grande potere alla corte dei franchi

Sotto, Carlo il Calvo in un dipinto ottocentesco:

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In quel periodo di drammatiche lotte intestine combattute dai nipoti di Carlo Magno e da tanti feudatari locali, la nobildonna Dhuoda (800-843) prende parte attiva alla difesa del ducato della sua famiglia e si impegna a garantire le difese della Settimania, contraendo importanti debiti per le spese militari.

Sotto, il ducato di Settimania, in rosa:

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Le premesse a questa storia farebbero pensare a una donna dura, abituata a una vita di complotti e, con ogni probabilità, analfabeta o soltanto in grado di leggere, avvezza più a maneggiare una spada che una Bibbia. E invece…

Invece Dhuoda è una donna di straordinaria cultura, con un profondissimo senso religioso e una grande conoscenza non solo delle scritture sacre ma anche dei testi filosofici del passato. Nell’841, un anno dopo la morte del figlio di Carlo Magno Ludovico il Pio, e nello stesso anno in cui ha partorito il neonato (lei non forse non lo saprà mai ma sarà chiamato Bernardo dal padre), inizia a scrivere il “Liber Manualis”, un libro-guida per il figlio Guglielmo cresciuto lontano da casa.

Il trattato è una straordinaria testimonianza del pensiero di una donna medievale nella sfera del mondo franco

Sotto, fotografia del Liber Manualis, fotografia tratta dal sito dell’Università del Surrey condivisa con licenza Creative Commons:

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Il Liber Manualis è indirizzato al figlio Guglielmo, il quale viene esortato a vivere una vita retta e a educare il piccolo fratello, portato via dal grembo della madre e al seguito del battagliero gruppo del padre.

Il libro è uno straziante esempio della condizione della donna in epoca medievale, totalmente assoggettata al volere del marito e alla ragion di stato. Dhuoda nomina il futuro Bernardo III di Tolosa rivolgendosi a Guglielmo come “Tuo fratellino, di cui non conosco ancora il nome“. La donna è praticamente prigioniera nel suo ducato, senza avere alcuna notizia dei figli i quali sono alla mercé degli impegni politici e militari del marito.

Il contenuto del libro è sostanzialmente una serie di precetti su come essere un buon cristiano, ma si percepiscono altri spunti di saggezza da parte di Dhuoda. La nobildonna stabilisce l’obiettivo per ogni nobile ragazzo quando scrive: “Ciò che è essenziale, figlio mio Guglielmo, è che ti mostri un uomo su entrambi i livelli in modo da essere efficace in questo mondo e piacere a Dio in ogni modo“.

Oltre a insegnargli tutto ciò che sa sulle questioni spirituali e sull’importanza di fare affidamento su Dio nei momenti difficili, Dhuoda educa Guglielmo sui fatti importanti della sua vita familiare, precisando le date del matrimonio dei suoi genitori, della sua nascita e della nascita del fratello minore. Questo tipo di dati sono la base della conoscenza che si trasmette dai genitori ai figli in ogni famiglia moderna, ma è singolare che Dhuoda lo voglia comunicare all’erede.

In epoca Medievale era molto difficile conoscere con certezza la data di nascita di persone, anche di elevato rango sociale, mentre veniva annotata quasi sempre la sola data di morte in occasione del funerale.

Dhuoda scrive come se sapesse che dei lontanissimi posteri avrebbero tratto beneficio dalle sue informazioni

L’autrice narra in modo molto specifico: “E come per qualsiasi altro che un giorno potrebbe leggere il manuale che ora stai esaminando, possa anch’egli meditare sulle parole che qui seguono in modo da potermi raccomandare alla salvezza di Dio“.

La donna, nonostante si ritenga indegna della salvezza, si riconosce il ruolo di guida nei confronti dei figli: “Figlio mio, figlio mio primogenito, avrai altri insegnanti che ti presenteranno opere di maggiore e più ricca utilità, ma nessuno sarà come me, tua madre, il cui cuore brucia per te“. Nonostante la donna sia separata dai figli e attualmente all’opera nella difesa del suo ducato conosce il valore e la forza dell’amore materno, e spiega loro (a Gugliemo direttamente e a Bernardo per procura) quanto siano amati.

Dopo alcuni passaggi dell’opera mi sembra cruciale condividere con il lettore l’epitaffio scritto da Dhuoda, le ultime parole di una madre franca del IX secolo:

“Trova, lettore, i versi del mio epitaffio:

Formato da terra, in questa tomba

Giace il corpo terreno di Dhuoda.

Grande re, ricevila.

La terra circostante ha ricevuto nelle sue profondità

La debole sporcizia di cui è stata creata.

Gentile re, concedile il tuo favore.

L’oscurità della tomba, bagnata dal suo dolore,

È tutto ciò che le resta.

Tu, re, assolvila dai suoi fallimenti.

Tu, uomo o donna, vecchio o giovane, che cammina avanti e indietro in questo posto

Ti chiedo, dì questo:

Santissimo, grandissimo, liberala dalle catene.

Costretta nella nera tomba dalla morte amara,

Chiusa, ha finito la sua vita nella sporcizia della terra.

Tu, re, liberala dai suoi peccati

In modo che il serpente oscuro

Non porti via la sua anima, dì in preghiera:

Dio misericordioso, vieni in suo aiuto.

Non lasciare che nessuno se ne vada senza leggere questo.

Io ti supplico per tutto ciò che pregano, dicendo:

Dalle pace, gentile padre,

E, (oh) misericordioso, ordina che almeno si arricchisca

Con i tuoi santi della tua luce perpetua.

Lascia che riceva il tuo amen* dopo la sua morte.

*Amen nella liturgia cristiana ha il significato di assentimento nel senso di “affidazione”.

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E’ bene ricordare che un simile epitaffio non fu scritto da una monaca in un eremo, ma da una donna che combatté e si adoperò per la difesa del proprio popolo nel ducato del marito. Oltre alle preghiere al lettore, Dhouda rivolge anche le sue ultime parole al figlio, probabilmente le ultime che questi lesse di sua madre:

Poiché la recitazione dei Salmi ha tali e tanti poteri, ​​figlio Guglielmo, ti esorto a recitarli costantemente, per te stesso, per tuo padre, per tutti i vivi, per quelle persone che sono state amorevolmente al tuo fianco, per tutti i fedeli che sono morti, e per quelli la cui commemorazione è scritta qui o chi vi viene aggiunto.

E non esitare a recitare i Salmi che hai scelto per il rimedio della mia anima, così che quando il mio ultimo giorno e la fine della mia vita verranno potrei essere trovata degna di essere risuscitata in cielo alla destra del padre con la buona gente le cui azioni sono state degne, e non a sinistra con gli empi. Ritorna frequentemente a questo piccolo libro. Addio, nobile ragazzo, e sii sempre forte in Cristo“.

Dhuoda morì nell’843, l’anno in cui finì di scrivere il suo libro di precetti, “completato con l’aiuto di Dio il quarto giorno prima delle None di febbraio“.

Sotto, la copertina di “Manuale per mio figlio”, in vendita su Amazon:

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La fine di Dhuoda, del marito e dei figli

Per noi lettori, che ci immergiamo nel mondo di Dhouda ben 1.200 anni dopo, le sue parole evidenziano tutte le contraddizioni dell’essere umano, ma anche la straordinaria fede cristiana che animava le persone medievali. Dhuoda e i suoi parenti vissero in un’epoca difficilissima, in cui la guerra era la realtà quotidiana dell’essere umano. Oltre alla battagliera nobildonna, il marito e i figli furono impegnati sui campi praticamente tutta la vita.

Nonostante i precetti di Dhuoda, il marito Bernardo di Settimania morì decapitato per tradimento durante la prima metà dell’844, mentre il figlio Guglielmo subì la stessa sorte del padre soltanto 5 anni dopo, nell’849. Il piccolo Bernardo III di Tolosa, che probabilmente non rivide mai la madre dal momento della nascita, fu l’unico a morire per cause naturali, nell’886, dopo aver trascorso la vita sui campi di battaglia.

Della devota fede di Dhuoda, forse, troviamo traccia nel nipote, Guglielmo I di Aquitania (865-918), il quale fu il fondatore dell’Abbazia di Cluny, la più rinomata e importante d’Europa per tutta l’epoca medievale.