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La terra vista dai Greci: teorie e scuole di pensiero

I primi filosofi greci elaborarono varie teorie sulla forma della terra e la sua posizione nell’universo. Anassimandro la immaginava come un cilindro sospeso nel vuoto, i pitagorici sostenevano fosse sferica e Aristarco che ruotasse intorno al sole


Questo tempio dedicato probabilmente alla dea Demetra fu eretto a Naxos attorno al 530 a.C.

Questo tempio dedicato probabilmente alla dea Demetra fu eretto a Naxos attorno al 530 a.C.

Foto: Oliver Taylor/Alamy/Aci

Il cielo si muove come una sfera; la terra, secondo la nostra percezione, ha forma sferica in ogni sua parte; è al centro della sfera celeste e in rapporto a essa è un punto

Queste parole del geografo alessandrino Claudio Tolomeo, tratte dall’Almagesto, riassumono la concezione della terra e del mondo che si era affermata tra gli astronomi greci verso la metà del II secolo d.C. Secondo questo modello, che sarebbe rimasto praticamente immutato per tutto il Medioevo, la terra era un corpo sferico situato al centro dell’universo. Alcune centinaia di anni prima i greci avevano una visione del mondo molto diversa. Nei poemi omerici, per esempio, si trova un’immagine poetica del cosmo, in cui «il Sole infaticabile, la Luna e la volta celeste coronata di stelle» sormontavano la «terra piatta» e questa era circondata dal fiume Oceano. Esisteva inoltre un misterioso spazio sotterraneo, «l’oscura dimora di Ade», il dio degli inferi, che nel racconto omerico Odisseo raggiungeva dopo aver attraversato «l’Oceano dai vortici profondi» e una piccola spiaggia delimitata dai boschi sacri a Persefone. Il passaggio da una visione poetica e religiosa dell’universo a una concezione scientifica e matematica, aperta all’osservazione dei fatti e interessata alla loro spiegazione, rappresenta una delle più brillanti avventure intellettuali intraprese dai greci.

Questa mappa del globo terrestre proposta da Tolomeo nel II secolo d.C. continuava essere il punto di riferimento della cartografia rinascimentale

Questa mappa del globo terrestre proposta da Tolomeo nel II secolo d.C. continuava essere il punto di riferimento della cartografia rinascimentale

Foto: Akg/Album

Le prime teorie

In quest’epopea svolsero un ruolo particolarmente attivo i filosofi presocratici, ovvero quei pensatori vissuti tra il VI e il V secolo a.C., per lo più nella Ionia, un’antica regione costiera dell’Asia Minore. Le loro ipotesi sembrano a volte contraddirsi l’un l’altra ed essere animate da una volontà di confutare le dottrine già esistenti. Ma questo non toglie valore ai loro contributi: anzi, l’attitudine dialettica era uno strumento per perfezionare le teorie precedenti e correggerne gli errori. Il primo filosofo, Talete di Mileto, affermò nel VI secolo a.C. che la terra galleggiava sull’acqua «come un pezzo di legno». La sua idea non si discostava troppo dalle concezioni di egizi e babilonesi né dalla visione biblica e sarebbe passata inosservata se a Talete non fossero stati attribuiti anche altri importanti risultati scientifici, come la previsione di un’eclissi di sole nel 585 a.C. o il teorema matematico che porta il suo nome. Sicuramente la sua teoria aveva un punto debole, ovvero quello di ritenere che la terra avesse bisogno di una base su cui appoggiarsi, perché questo generava un problema logico senza soluzione: se la terra è sostenuta dall’acqua, su cosa si regge a sua volta l’acqua?

Zeus condannò Atlante a sostenere la volta celeste sulle spalle per l’eternità

Zeus condannò Atlante a sostenere la volta celeste sulle spalle per l’eternità

Foto: Foglia/Scala, Firenze

Analoghe difficoltà presentavano le posizioni di altri filosofi del periodo, come quella di Anassimene, secondo cui la terra poggiava sull’aria, o di Senofane, che pensava che si estendesse all’infinito verso il basso. Fu Anassimandro di Mileto, discepolo di Talete e tra i più originali di questi primi pensatori, a superare il problema del punto d’appoggio sostenendo che la terra era sospesa al centro dell’universo, immobile e in equilibrio in virtù della sua equidistanza dagli altri corpi celesti. Secondo Anassimandro, la terra aveva forma di una «colonna» (o, meglio, del tamburo di una colonna di pietra), la cui altezza era un terzo del diametro. Gli esseri umani vivevano sulla faccia superiore di questo disco. Il filosofo di Mileto riteneva che il cosmo si fosse sviluppato dalla rottura di una sorta di involucro, creato dal rapporto tra caldo e freddo, che circondava la terra; un evento che aveva dato origine al sole, alla luna e alle stelle. Fu pure il primo a tentare una stima delle dimensioni dei corpi celesti. Per Anassimandro il sole e la luna sono due enormi anelli, il primo grande 28 volte la terra, la seconda 19. Il suo allievo Anassimene riteneva invece che la terra fosse piatta e racchiusa dalla cupola celeste. Fu lui a concepire per primo il cielo come una semisfera di cristallo su cui erano incastonate le stelle.

Questa sfera armillare del XVII secolo mostra i movimenti dei corpi celesti secondo il sistema tolemaico

Questa sfera armillare del XVII secolo mostra i movimenti dei corpi celesti secondo il sistema tolemaico

Foto: Oronoz/Album

La scuola pitagorica

Poi arrivò Pitagora, il sapiente di Samo fondatore di un’influente scuola filosofica. I pitagorici ripresero due principi dai loro predecessori: da Anassimandro la concezione della terra come una superficie tondeggiante e da Anassimene l’idea del cielo come una cupola di cristallo punteggiata di stelle fisse. Per i pitagorici l’universo era una sfera che ruotava attorno a un asse, il cui polo visibile era situato nell’Orsa minore – una costellazione visibile tutto l’anno. Pitagora pensava inoltre che la terra fosse al centro dell’universo e avesse anch’essa forma sferica. Non sappiamo bene come giunse a questa conclusione: alcuni ritengono che l’idea della sfericità gli venne osservando l’ombra ricurva che la terra proietta sulla luna durante le fasi di eclissi; secondo altri Pitagora estese l’immagine del cielo sferico anche agli altri oggetti astronomici. C’è infine chi pensa che il filosofo si limitò a sviluppare un argomento matematico-estetico, in quanto considerava la sfera come la più bella delle forme geometriche. A partire dall’osservazione del cosmo, i pitagorici svilupparono dei modelli astronomici particolarmente elaborati, anche se i loro ragionamenti non erano sempre esenti da pregiudizi. Filolao (nato a metà del V secolo a.C., secondo Diogene a Crotone) affermava per esempio che la terra e gli astri giravano attorno a un fuoco centrale, il cosiddetto «trono di Zeus». Sosteneva inoltre l’esistenza di un pianeta uguale al nostro ma sempre nascosto dal sole, l’«antiterra». Forse si trattava di un espediente per far sì che i corpi celesti fossero dieci, un numero ritenuto perfetto dai pitagorici.

Pitagora afferma che la terra è rotonda. Olio di Pierre-Narcisse Guérin. XVIII - XIX secolo

Pitagora afferma che la terra è rotonda. Olio di Pierre-Narcisse Guérin. XVIII - XIX secolo

Foto: Bridgeman/Aci

Il genio di Archimede

Nel V secolo a.C. arrivarono in Grecia le osservazioni effettuate dai babilonesi, molto più numerose e precise rispetto a quelle degli astronomi locali. Tale novità, in unione con i progressi nello studio della geometria sferica, accelerò il ritmo delle scoperte e permise sia di perfezionare le ipotesi sia di elaborare nuove teorie. Nel frattempo fecero la loro comparsa i primi trattati di matematica e astronomia. A metà del IV secolo a.C. Aristotele riprese l’idea che la terra fosse una sfera di non grandi dimensioni. Nel III secolo a.C., poi, la cultura greca sviluppò notevolmente la sua comprensione della terra e del cosmo. Ne sono una prova le parole che il grande matematico siceliota Archimede scrisse nell’Arenario, un’opera della fine del III secolo a.C. dedicata al figlio del tiranno Gerone II di Siracusa

Ora sai bene che molti astronomi considerano il cosmo una sfera al cui centro c’è la terra e di raggio eguale alla retta congiungente il centro del sole con il centro della terra; e ciò è quanto hai appreso dagli astronomi

Archimede si riferiva in questo scritto alle teorie rivoluzionarie di Aristarco di Samo, uno scienziato della Ionia vissuto alcune decine di anni prima, che aveva ipotizzato un modello di universo in cui la terra e il resto dei pianeti girano attorno al sole. «Aristarco di Samo – scrive Archimede – ha esposto nei suoi libri alcune tesi secondo le quali […] le stelle fisse e il sole sono immobili, mentre la terra si muove lungo una circonferenza al cui centro si trova il Sole». Secondo Plutarco, l’astronomo ionico sosteneva anche che la terra ruotava sul suo asse. Nel suo trattato Sulle dimensioni e distanze del Sole e della Luna, Aristarco tentò di calcolare la grandezza del cosmo. A partire da alcune osservazioni astronomiche, in particolare delle eclissi lunari, e tramite calcoli geometrici, concluse che la distanza tra la terra e il sole era tra le 18 e le 20 volte quella tra la terra e la luna. In realtà il rapporto tra le distanze medie è di circa 400, ma il grande merito di Aristarco fu quello di attribuire all’universo un’estensione molto maggiore rispetto a quanto si riteneva fino ad allora.

Tolomeo riprese gli elementi fondamentali della sua teoria dalle cosmologie precedenti

Tolomeo riprese gli elementi fondamentali della sua teoria dalle cosmologie precedenti

Foto: Josse/Scala, Firenze

Nel III secolo a.C. si era quindi ormai imposta l’idea secondo cui i corpi celesti si muovono circolarmente attorno a un centro. L’unico oggetto di dibattito era se la posizione centrale fosse occupata dalla terra o dal sole. Sfortunatamente la visionaria teoria eliocentrica di Aristarco cadde nell’oblio (Archimede fu uno dei pochi a ricordarla nel passo citato). Secondo quanto riferisce Plutarco, lo stoico Cleante arrivò ad accusare l’astronomo di Samo di empietà per «aver turbato il centro dell’universo», cioè per aver sostenuto che la terra era in movimento. Gli scienziati di epoca ellenistica e romana preferirono adottare il modello di universo geocentrico, che sarebbe poi giunto fino al Medioevo grazie all’Almagesto di Tolomeo, provocando una lunga stasi dell’astronomia occidentale. Successivamente sarebbero state le ipotesi di Copernico, l’Aristarco della modernità, e le osservazioni fatte da Galileo con il suo telescopio, a rinnovare l’immagine del cosmo e a inaugurare una nuova fase di progresso scientifico.

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