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Quattromila anni fa in Mesopotamia comparvero i primi codici legislativi. A emanarli furono i re sumeri e babilonesi, per stabilire l’ordine sulla Terra


In un anno imprecisato tra il 1792 e il 1750 a.C., per volere del suo re, uno scultore babilonese è all’opera su un’imponente roccia di diorite nera di oltre due metri di altezza. Egli ha tagliato la parte frontale superiore del monolite, che per il resto è di forma quasi cilindrica, ricavando così lo spazio necessario per ritrarre una scena solenne. In essa il suo sovrano, Hammurabi, con indosso il tipico copricapo regale di Babilonia, alza la mano destra in segno di rispetto nei confronti di una maestosa figura seduta su un trono, Shamash, il dio del sole e della giustizia. La divinità a sua volta porge al re un bastone e un cerchio, che nell’iconografia mesopotamica costituiscono due simboli del potere regio: essendo usati per costruire edifici, il dono di essi legittima Hammurabi come “re costruttore”. Nessun dettaglio è trascurato: il seggio su cui siede il dio rappresenta la facciata di un tempio caratteristico dell’area; i suoi piedi poggiano su una pietra rialzata che raffigura i monti orientali dai quali ogni mattina sorge il sole; dalle sue spalle emanano due potenti raggi, che simboleggiano la luce della giustizia. Tutto il resto della gigantesca roccia è inciso con migliaia di caratteri cuneiformi.

Hammurabi in piedi davanti al dio Shamash. Stele con il codice di Hammurabi. 1792-1750 a.C. Louvre, Parigi

Hammurabi in piedi davanti al dio Shamash. Stele con il codice di Hammurabi. 1792-1750 a.C. Louvre, Parigi

Foto: E. Lessing / Album

Questi segni costituiscono la più importante raccolta di disposizioni legislative della storia precedente all’epoca romana: il codice di Hammurabi. Dato che la maggior parte della popolazione dell’epoca non sapeva leggere, il valore di tale scena a rilievo a completamento del testo scritto risulta fondamentale: l’esposizione pubblica del monumento rafforzava l’immagine di Hammurabi come re legittimato ad amministrare la giustizia dalla diretta volontà degli dei.

La storia della legge codificata era iniziata in Mesopotamia secoli e secoli prima del regno di Hammurabi. I primi codici erano apparsi infatti sul finire del III millennio a.C., in seguito alla nascita della società urbana e della scrittura. Dalla scoperta della stele di Hammurabi, nel 1901, il ritrovamento di altre raccolte di leggi ha permesso di conoscere meglio l’organizzazione delle società antiche del Vicino Oriente. Tuttavia, nonostante l’intensificarsi degli studi sulle norme presenti in codici come quello di Hammurabi, il dibattito sulla concreta imposizione delle norme è ancora aperto. Tali leggi erano applicate alla lettera oppure fungevano solo da testi celebrativi dell’azione di governo del sovrano?

Dal III millennio a.C. in Mesopotamia furono varati diversi codici che testimoniano i valori alla base del potere regale e della società

I primi legislatori della storia

«Urukagina ha stretto un patto con Ningirsu perché l’orfano e la vedova non siano consegnati al potente». Questa frase si trova in una iscrizione reale che rende conto degli atti legislativi disposti da Urukagina, sovrano della città-stato di Lagash intorno al 2380 a.C. Di fronte al progressivo indebitamento della popolazione, Urukagina (Uruinimagina secondo altre trascrizioni dal sumero) promosse una serie di riforme volte a risolvere questa situazione, prima fra tutte il condono dei debiti.

Cono con le riforme di Urukagina. XXV secolo a.C.

Cono con le riforme di Urukagina. XXV secolo a.C.

Foto: Album

Tali provvedimenti costituiscono il primo esempio dell’importanza che l’emanazione e l’applicazione delle leggi ebbero sempre per i sovrani mesopotamici. Urukagina fu infatti il primo monarca ad aggiungere la giustizia agli altri valori propri della regalità nel Vicino Oriente: forza, virtù e valore guerriero. Ciò accadeva in un’epoca convulsa sul piano politico e sociale, durante la quale le città-stato stavano lasciando il posto a una struttura politica nuova: il vasto impero territoriale, che ebbe la sua prima manifestazione storica negli enormi domini riuniti da Sargon, il potente signore di Akkad.



La prima guerra della storia

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LA PRIMA GUERRA DELLA STORIA



Dopo il crollo dell’impero accadico (2150 a.C. circa), l’egemonia nell’area passò a Ur-Nammu, il fondatore della terza dinastia di Ur. Questi riunì in un nuovo potente stato centralizzato il nord accadico e il sud sumerico. Nel prologo della raccolta di leggi a lui attribuita, egli appare come il garante della giustizia in tutto il regno: «Ur-Nammu il potente guerriero, re di Ur, re di Sumer e di Akkad, per il potere di Nanna, signore della città, e secondo la vera parola di Utu, stabilì equità nel Paese». Quindi, quasi quattro secoli prima di Hammurabi, Ur-Nammu già si vantava di incarnare uno degli aspetti che lo legittimavano come sovrano: la salvaguardia della giustizia sociale. Le trentadue leggi del suo codice furono raccolte per iscritto forse anche per agevolare il processo di uniformazione delle norme che regolavano la vita dei due popoli, accadi e sumeri.

Le pene previste erano molto severe. Al punto che esse appaiono forse fin crudeli e disumane, come nel caso dell’adulterio, da Ur-Nammu punito con la morte. Nelle sue leggi era già applicata la massima biblica dell’occhio per occhio, conosciuta come legge del taglione: «Se un uomo commetteva un omicidio, quest’uomo veniva ucciso».

Chiodo in bronzo con il re Ur-Nammu. 2100 a.C.

Chiodo in bronzo con il re Ur-Nammu. 2100 a.C.

Foto: British Museum / Scala

Il codice di Lipit-Ishtar

Dopo il crollo della terza dinastia di Ur, intorno al 2004 a.C., il sud della Mesopotamia attraversò un periodo di instabilità politica che ebbe fine solo con il regno di Hammurabi. In quest’epoca turbolenta Lipit-Ishtar, sovrano della città di Isin, diede vita al primo codice legale che prevedesse un ampio ventaglio di casi e categorie. Secondo la tradizione mesopotamica, il monarca di Isin – come già aveva fatto Ur-Nammu e come poi avrebbe fatto Hammurabi – ritenne che il compito di legiferare e stabilire l’ordine sulla Terra fosse una prerogativa esclusiva del re, a lui riservata dagli dei. Così è scritto nel prologo del Codice di Lipit-Ishtar: «Allora io, Lipit-Ishtar, pastore misericordioso della città di Nippur, re di Isin, re di Sumer e di Akkad, fui eletto dal cuore della dea Inanna. Per ordine del dio Enlil ho stabilito la giustizia a Sumer e Akkad».

Lipit-Ishtar, oltre a essere un re forte e vittorioso sul campo di battaglia, dichiara di essere un re di giustizia; uno shar misharim, in lingua accadica. In questo frammento troviamo anche un epiteto che in seguito connoterà costantemente la regalità mesopotamica, Hammurabi compreso: quello di “pastore”. Come quest’ultimo con il suo gregge, così il monarca guida e vigila sul comportamento del suo popolo anche attraverso la legge. Così afferma Lipit-Ishtar: «Ho fatto in modo che il padre assistesse i figli e i figli assistessero il padre».

Il codice di Lipit-Ishtar comprende trentotto leggi, che spaziano dall’omicidio al noleggio delle barche, alla gestione delle terre, al monitoraggio della situazione di schiavi e di servitori, all’evasione del pagamento delle imposte, all’eredità e al matrimonio, insieme ad altre attività più quotidiane come per esempio l’affitto dei buoi. Quest’ampia casistica è il riflesso di una società sempre più complessa, in cui non è ormai possibile la convivenza senza la definizione di un sistema di leggi e di pene per chi non le rispetta. Il codice di Lipit-Ishtar si conclude con un epilogo che mette in guardia sui pericoli e le maledizioni che ricadranno su chi danneggi, trasgredisca o alteri il contenuto della stele che lo riporta.

Prologo al codice di Lipit-Ishtar. 1934- 1924 a.C. circa

Prologo al codice di Lipit-Ishtar. 1934- 1924 a.C. circa

Foto: Album

Gli articoli della legge

Nel codice di Lipit-Ishtar la presentazione di ogni caso legale o “articolo” è formata da due parti. La prima, che i giuristi definiscono protasi, espone un fatto utilizzando una frase condizionale; la seconda, detta apodosi, contiene la sentenza o punizione. Per esempio: «Se un uomo accusava un altro uomo senza alcuna ragione o per qualcosa di cui l’accusato non sapeva nulla, e se quest’uomo non poteva dimostrare la sua accusa» (protasi), «all’accusatore veniva inflitta una sanzione equivalente alla questione per cui aveva rivolto la sua accusa» (apodosi). Questa conformazione degli articoli di legge si può riscontrare anche nel codice di Ur-Nammu e nel codice di Hammurabi.

Nei codici mesopotamici non si ripete solo la forma con cui vengono esposti gli articoli, ma anche la struttura tripartita secondo cui essi stessi sono impostati. Insieme al corpo vero e proprio delle leggi (che cambia da codice a codice a seconda del numero delle leggi, dei temi affrontati e della lingua usata), sono immancabilmente presenti il prologo e l’epilogo, per noi particolarmente interessanti perché riflettono l’ideologia che legittima la regalità. Il protagonismo degli dei del pantheon sumero-accadico nel prologo è evidente, poiché sono loro (Enlil, Shamash, Marduk) a concedere al re la prerogativa di legiferare. L’epilogo mostra la sacralità dell’atto di dettare leggi perché maledice chi osi trasgredire la legge promulgata. In questo modo, i codici rafforzano un programma politico che necessita di aggiungere l’immagine del re equo a quella del re guerriero. Più che codici da applicare alla lettera, essi dunque riflettono i valori ideali della regalità mesopotamica.

Trasgredire, sovvertire, alterare le leggi o danneggiare la stele che recava inciso il codice equivaleva a un gravissimo atto contro gli dei

Il codice di Eshnunna

Le tre raccolte di leggi precedenti quella di Hammurabi furono redatte in sumero. Il primo scritto in accadico (l’altra principale lingua della Mesopotamia) fu il codice emanato nella città di Eshnunna, capitale del regno di Warum e importante centro politico ed economico. È il suo re Dadusha, intorno al 1800 a.C., a proclamare di svolgere grazie alla sua compilazione il ruolo di sovrano di giustizia, garante per volontà divina della stabilità sociale e dell’ordine pubblico.

Ricostruzione storica, opera dell’illustratore americano Robert Thom (1915-1979), che raffigura Hammurabi nella sala del trono, mentre tratta un caso giudiziario davanti alla corte di Babilonia

Ricostruzione storica, opera dell’illustratore americano Robert Thom (1915-1979), che raffigura Hammurabi nella sala del trono, mentre tratta un caso giudiziario davanti alla corte di Babilonia

Foto: Album

L’aspetto formale di queste leggi è simile a quello presente nei codici antecedenti. Il codice tratta, tra le altre, questioni relative a imbarcazioni, contratti di mietitura, furti, matrimoni, prestiti e interessi, rapporti familiari, lesioni e schiavi; tutte questioni che, come nei codici precedenti, sono raggruppate per temi. Il codice di Eshnunna, formato da sessantadue articoli, contiene anche alcuni elementi di novità. Per esempio una lista dei prezzi e delle tariffe previste dall’autorità regia, o la definizione dei risarcimenti per alcuni reati, come nel caso riportato di seguito: «Se un uomo morde il naso di un altro uomo e lo amputa, pagherà una mina d’argento».

In questo modo di giudicare il danno arrecato a un proprio simile non si riscontra più un’applicazione della legge così severa come nel codice di Ur-Nammu: ora il danno fisico causato non si risarcisce subendo un danno equivalente, ma con il denaro. Questo induce a pensare che la legge, come altri aspetti della civiltà, si fosse evoluta con il trascorrere del tempo. Pochi decenni dopo la proclamazione delle leggi di Eshnunna, tuttavia, Hammurabi incluse alcune sentenze molto severe all’interno del suo codice.

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Il codice di Hammurabi

Hammurabi era il sesto re della dinastia stabilita dagli amorrei a Babilonia. Questi nomadi, che avevano contribuito alla caduta della terza dinastia di Ur, s'impadronirono del potere in varie città mesopotamiche. Tra queste Babilonia era la più importante e da essa Hammurabi riuscì a dominare l’instabile sud della Mesopotamia.

Al tempo di Hammurabi Babilonia era già la città più grande della Mesopotamia. Nel VI secolo a.C. raggiunse il suo massimo splendore: così la vediamo nell'immagine

Al tempo di Hammurabi Babilonia era già la città più grande della Mesopotamia. Nel VI secolo a.C. raggiunse il suo massimo splendore: così la vediamo nell'immagine

Foto: BPK / Scala

Come Lipit-Ishtar e Dadusha, fece erigere, per esporla pubblicamente, una stele con iscritto il codice delle sue leggi. Lo scopo dell’immagine e del testo del monumento era ancora una volta legittimare il monarca come re di giustizia, pastore della sua gente e governante preoccupato per l’avvenire del suo popolo. Dunque tali elementi, alla base dei codici precedenti, sono caratteristici anche del concetto di regalità della dinastia amorrea di Babilonia. Tanto che così Hammurabi conclude il prologo: «Quando Marduk mi comandò di dare giustizia al popolo del Paese, e di fargli avere un giusto governo, io posi diritto e giustizia sulla bocca del Paese e feci prosperare il suo popolo».

Il codice di Hammurabi costituisce il culmine dei primi corpi di leggi mesopotamici ed è il riferimento legislativo antico oggi più citato e meglio conosciuto. Si tratta del codice più completo del suo tempo, poiché è formato da 282 articoli riferiti ai temi più disparati: reati legati all’applicazione della giustizia, interessi del palazzo e del tempio, ordine pubblico, processi, pena capitale, regime fiscale, interessi privati, beni patrimoniali, diritto di famiglia e di successione, lesioni e danni, lavoro e, infine, trattamento da riservare agli schiavi.

Alcuni articoli mostrano una particolare durezza delle pene riscontrabile già nel codice di Ur-Nammu: qualora qualcuno «apra un buco in una casa per rubare, sia messo a morte davanti a quel buco e sepolto». È questa mancanza di flessibilità della legge il motivo per cui si è associato tradizionalmente il codice di Hammurabi alla legge del taglione, la cui pratica è prevista dalla legge mosaica contenuta nella Bibbia. Certamente le pene erano crudeli, come in questo caso: «Qualora qualcuno sia colpevole d’incesto con sua madre dopo suo padre, entrambi siano bruciati».

Le sette prime leggi del codice promulgato da Hammurabi

Le sette prime leggi del codice promulgato da Hammurabi

Foto: E. Lessing / Album

La pena di morte è frequente, ma lo sono anche mutilazioni, impalamenti e il ricorso all’ordalia. Tale ultima pratica, poi diffusa nel Medioevo, e che sopravvive in alcune comunità in Africa occidentale, India e Borneo, consisteva nel sottoporre l’accusato a una prova che in condizioni normali gli sarebbe stata fatale. La più comune era l’“ordalia fluviale”, cioè il lancio dell’imputato in un fiume: se si salvava, gli dei lo avevano dichiarato innocente; se affogava, era perché le divinità lo ritenevano colpevole. Nel codice di Hammurabi, questo tipo di ordalia è previsto per la donna accusata di adulterio.

Il prologo e l’epilogo del codice ci aiutano a comprenderne la natura. In un periodo di crisi e instabilità, il re amorreo si eresse come garante inflessibile della stabilità politica e sociale, legittimata con una legge sancita dagli dei e applicata sulla terra dal re. Ecco alcune parole dell’epilogo che chiude il codice: «A Babilonia, nell’Esagil (il tempio del dio Marduk), per promulgare la legge del Paese, io ho scritto le mie preziose parole sulla mia stele e l’ho eretta davanti all’immagine di me stesso, il re di giustizia». Il resto dell’epilogo è, come al solito, un elenco di maledizioni contro chi non obbedisca alla legge, non la rispetti o danneggi la stele. L’applicazione sistematica delle leggi raccolte nel codice è molto improbabile, essendo un testo più che altro celebrativo.

Che sia intimidatorio, applicabile alla lettera o meno, certamente il codice di Hammurabi costituisce la più antica e completa codificazione del diritto della storia. E fa riflettere sulla natura umana il fatto che un documento iscritto su una stele di diorite quattromila anni fa raccolga casi legali ancora molto attuali nella nostra società, come la pena capitale, il divorzio e la prevaricazione.

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