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La "guerra degli specchi" tra la Francia e Venezia

Nel 1665 il governo di Luigi XIV inviò delle spie a Venezia per reclutare specialisti di quest’arte vetraria, provocando una furiosa reazione delle autorità della Serenissima


Nel 1666 scoppiò in Francia una strana guerra: senza eserciti, ma con soldati; senza battaglie, ma con morti; senza generali, ma segnata dal contrapporsi di abili strategie. In realtà, non era neanche chiaro chi fossero i contendenti.

È certo, però, che vi erano forti interessi economici in gioco e l’episodio può essere considerato uno dei primi casi di spionaggio industriale in Europa. A scatenare il conflitto fu un articolo di lusso di gran moda nell’alta società europea dell’epoca: lo specchio. Durante il Rinascimento, vari miglioramenti tecnici avevano dato vita a specchi come quelli che conosciamo oggi, di superficie chiara (in precedenza avevano un colore verdognolo) e che riflettevano immagini non deformate. Aumentarono inoltre anche le loro dimensioni, che raggiunsero i 40 e perfino i 50 centimetri.

Il Consiglio dei Dieci, incaricato della sicurezza della Repubblica di Venezia, fece fronte alla crisi con la Francia nel 1665. Dipinto di B. Celentano

Il Consiglio dei Dieci, incaricato della sicurezza della Repubblica di Venezia, fece fronte alla crisi con la Francia nel 1665. Dipinto di B. Celentano

Foto: Bridgeman / Index

Nel XVII secolo gli specchi iniziarono a essere utilizzati anche come elementi decorativi, per coprire le pareti e creare effetti riflettenti; diventarono così un’attrazione di per sé, uno status symbol per le famiglie più potenti. Infatti quelli di grandi dimensioni erano molto cari e potevano valere più delle tele di un grande pittore: questo era il motivo per cui venivano incorniciati.

Ma, nonostante il prezzo, nessuna corte poteva resistere a tale moda e perciò si spendevano ingenti somme per acquistare gli specchi. Tutte queste spese andavano a beneficio di una città che aveva praticamente ottenuto il monopolio europeo della fabbricazione di questi oggetti: Venezia. Infatti, dal XII secolo la Serenissima aveva sviluppato una potente manifattura del vetro, concentrata sull’isola di Murano; lì sorse, nel XV secolo, la bottega in cui si fabbricava il famoso cristallo ideato da Angelo Barovier.

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Agli inizi del XVI secolo, le autorità veneziane diedero impulso alla produzione di specchi «di vero cristallo, cosa preziosa e singolare», ed entrarono nel mercato europeo azzerando la concorrenza dei vetrai tedeschi e olandesi.

Specchio veneziano riccamente decorato. XVII secolo

Specchio veneziano riccamente decorato. XVII secolo

Foto: White Images / Scala, Firenze

Il primato dei veneziani portò a celare le modalità di fabbricazione degli specchi: il Consiglio dei Dieci – organo politico che sorvegliava la sicurezza dello Stato – si assicurò che il segreto dei mastri vetrai fosse protetto e stabilì il controllo totale sulla tecnica di produzione per evitare che qualche concorrente straniero la sottraesse alla Serenissima.

La strategia di Colbert

In Francia, naturalmente, la prospettiva era diversa. Luigi XIV, grande amante del lusso, spendeva a piene mani nell’acquisto di specchi veneziani. Allarmato per queste spese, il suo onnipotente Ministro dell’economia, Jean-Baptiste Colbert, decise di creare una propria industria per soddisfare una tale richiesta. E dato che solo Venezia aveva gli artigiani capaci di produrre specchi della qualità e della misura richiesti, lanciò un’operazione di spionaggio industriale per impossessarsi della preziosa tecnica.

In primo luogo, nel 1664, Colbert incaricò il prelato e ambasciatore francese a Venezia, Piero Bonsi, di convincere alcuni dei maestri vetrai specializzati nella realizzazione degli specchi ad abbandonare la loro bottega di Murano per stabilirsi in Francia. Bonsi fece il suo lavoro egregiamente e in pochi mesi riuscì a portare diversi artigiani in Francia. Per agevolare il trasferimento dei maestri vetrai, Colbert inviò a Venezia anche un agente segreto, un tale Monsieur Jouan, il cui intervento, tuttavia, fu poco proficuo. Per questo motivo il compito venne affidato a due maestri vetrai italiani, Giovanni Castellano e Giovanni Bormioli. Tutti loro erano consapevoli dei rischi che correvano. A detta di uno degli agenti, conscio che i Veneziani avevano sospetti sull’attività delle “spie francesi”, egli raccolse «più morti che vivi» gli operai che si erano persuasi a seguirlo e fuggì «a mezzanotte, su una nave controllata da 24 uomini armati fino ai denti». Giunti a Ferrara, da lì i fuggiaschi si diressero in carrozza a Parigi. Appena arrivarono, gli artigiani furono assunti nella manifattura avviata da Colbert nel sobborgo parigino di Saint-Antoine, sotto la guida di Nicolas du Noyer.

Una dama davanti allo specchio. Incisione di Henri Bonnard, 1687. Museo della Contea di Los Angeles​

Una dama davanti allo specchio. Incisione di Henri Bonnard, 1687. Museo della Contea di Los Angeles​

Foto: Lacma / Scala, Firenze

Venezia contrattacca

La reazione dei Veneziani non si fece attendere. L’ambasciatore della Repubblica della Serenissima alla corte francese, Giovanni Sagredo, avvisò immediatamente il Consiglio dei Dieci della nuova fabbrica francese, anche se garantì loro che i primi risultati erano stati deludenti, poiché gli operai erano riusciti a fabbricare solo miseri specchi di 25 centimetri di altezza.

Ciononostante gli Inquisitori di Stato, l’organo esecutivo del Consiglio dei Dieci, ricevettero l’incarico di far rientrare i maestri e gli operai a Venezia a qualsiasi costo. Tale fu la missione del nuovo ambasciatore veneziano a Parigi, Marc’Antonio Giustinian.

Alternando gentilezza e durezza, quest’ultimo da un lato allettava gli artigiani con la prospettiva di un ritorno con salvacondotto in patria, ma dall’altro minacciava loro, le famiglie rimaste a Venezia o gli interessi personali dei Muranesi. Tuttavia, la controffensiva di Colbert fu rapida: l’accorto ministro inviò segretamente a Venezia una nave che riuscì a portare a Parigi le mogli e i figli degli operai e dei maestri fuggiti, liberandoli così dalla coazione del Consiglio dei Dieci e degli Inquisitori di Stato.



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A questo punto, la Repubblica Veneziana decise di non permettere più nessuna fuga. Quando Colbert mandò tre spie a Venezia con l’incarico di scovare alcuni esperti nell’alluminatura degli specchi, gli agenti veneziani inseguirono i traditori fino a Basilea.

Nell’agosto del 1666 il Consiglio dei Dieci giunse a una risoluzione estrema: l’uso del veleno. Il loro obiettivo sarebbe stato il più abile tra i maestri vetrai fuggiti in Francia, Antonio della Rivetta, nella convinzione che «caduto lui, tutto precipita». Agli inizi del 1667, l’ambasciatore Giustinian informava: «L’operaio si trova ora all’altro mondo, non so se morì per cause naturali o artificiali». Alcuni giorni dopo, un altro maestro vetraio spirava dopo diversi giorni di agonia. Per timore di venire assassinati, la maggior parte dei vetrai veneziani presentarono scuse formali agli Inquisitori di Stato e tornarono in patria.

Jean-Baptiste Colbert. Opera di Marc Nattier. 1676, Versailles

Jean-Baptiste Colbert. Opera di Marc Nattier. 1676, Versailles

Foto: Bridgeman / Index

La rivincita francese

La guerra era finita, apparentemente con la vittoria dei Veneziani. Lo stesso Colbert sembrò riconoscerlo attraverso un accordo con la Repubblica per importare gli specchi di Murano. Tuttavia, cinque anni dopo, il ministro proibì tale importazione, confidando nella qualità di quelli francesi. Così, nel 1678, quando Luigi XIV decise di costruire la Galleria degli Specchi nel palazzo di Versailles, la fornitura rimase in mani nazionali. Le pareti della sala, lunga 73 metri e larga 10,5 metri, sono illuminate da 17 finestre e altrettante finte porte decorate con 357 specchi a riquadri smussati ai lati e incorniciati d’ottone cesellato e dorato. Una poesia recitava: “Per il riflesso di tanti specchi / il fuoco di tutti i diamanti che adornano la corte / rende la notte oscura luminosa come il giorno”.

Gli specchi, però, continuavano a essere piccoli: ognuno dei 17 pannelli si compone in realtà di 21 specchi, nessuno dei quali supera i 90 centimetri di altezza, il limite tecnico dell’epoca. Questo sarebbe cambiato pochi anni dopo, grazie a un italiano naturalizzato francese, Bernardo Perotto, il quale inventò un nuovo sistema di colaggio che avrebbe permesso di fabbricare specchi alti più di due metri.

Galleria degli specchi nel palazzo di Versailles. Oggi si conservano solo 10 specchi originali dei 357 che decoravano la galleria nel XVII secolo

Galleria degli specchi nel palazzo di Versailles. Oggi si conservano solo 10 specchi originali dei 357 che decoravano la galleria nel XVII secolo

Foto: Bertrand Rieger / Gtres

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