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cultură şi spiritualitate



IMG_9573sLa Fontana Maggiore di Perugia testo di Furio Cappelli; immagini di Mauro Piergigli
«Guarda tu che passi la gioconda vita di questa Fontana. Se osservi bene puoi vedere cose mirabili. Sant’Ercolano, san Lorenzo, continuate a implorare. Che conservi le acque Colui che siede sopra gli astri».
Inizia così la lunga iscrizione in esametri latini che si legge sulla Fontana Maggiore di Perugia, lungo la cornice che cinge la vasca superiore, in basso.
I santi patroni della città, il martire locale Ercolano e san Lorenzo, cui è dedicata la cattedraleprospiciente, rappresentano i Perugini al cospetto dell’Eterno, e si assicurano la sua benevolenza con le loro suppliche. È bene infatti che l’acqua continui a sgorgare senza sosta.
Vengono poi menzionati gli artefici dell’opera. Perugia, innanzitutto, deve al sovrintendente fra’Bevignate gli stessi onori che si devono a un padre. Egli infatti, su incarico del comune, «ha diretto ogni cosa». Perugino di nascita oppure oriundo di Cingoli (Macerata), era un monaco benedettino,appartenente alla congregazione rigorista dei Silvestrini. Vantava molteplici competenze che oggidefiniremmo ingegneristiche, e fu assai coinvolto nel grande fervore edilizio che caratterizzò ilcapoluogo umbro alla fine del Duecento.
L’epigrafe, poi, si concentra sugli autori principali del vasto apparato scultoreo, Nicola Pisano e suofiglio Giovanni, e ricorda infine Boninsegna da Venezia, un esperto di idraulica. Già impegnato aOrvieto, fu convocato dal comune perugino per concludere la difficile impresa dell’acquedotto chedoveva rifornire la fontana.
Questa dovette essere realizzata in tempi assai brevi, nell’arco di un anno, visto che l’epigrafe è datata 1278, mentre il progetto era ancora in discussione nell’autunno 1277. Come attesta un’altra iscrizione, d’altronde, nel 1277 era già pronto il catino bronzeo sommitale, opera del fonditore Rubeus (Rosso), un maestro non meglio definito, attestato anche nel cantiere del duomo di Orvieto, per l’architrave bronzeo istoriato della Porta della Postierla (o del Vescovado).
Ma se per realizzare la fontana bastarono dodici mesi, l’acquedotto che giungeva fin lì richiese unagestazione di ventitré anni. La sorgente si trovava ben lontana, sul Monte Paciano, a quasi 4 km didistanza dalle mura urbiche, a nord di Porta Sant’Angelo. La condotta, tutta realizzata in fistule dipiombo, necessitava di un’ampia serie di accorgimenti per vincere le differenze di quota, sino ascavalcare le mura etrusche e a tagliare nel vivo l’incasato della città nella zona della Conca, dove tuttora emerge l’antico acquedotto, «alleggerito» alla base da una serie di arcate.
L’impresa fu avviata dal comune nel 1254 ma, dopo una lunga e difficoltosa lavorazione, già nel 1260 l’opera risulta abbandonata. Il progetto fu ripreso con particolare impegno nel gennaio 1277, e una ferrea volontà, condivisa in modo unanime da tutta la cittadinanza a costo di cospicui sacrifici, fece in modo che un lavoro tanto impegnativo da sembrare irrealizzabile venisse finalmente condotto in porto nel giro di pochi mesi. Già nell’estate dello stesso anno la condotta era giunta al traguardo, in quella piazza del comune (oggi Piazza IV Novembre) dove di lì a poco sorgerà la Fontana Maggiore, il fulcro e il baricentro della «nuova» città, a onore e gloria di un agguerrito governo di segno popolare che basa il suo prestigio sulla difesa del diritto, sull’ordine e sull’abbondanza delle risorse di vita.
Anche ammettendo problemi strutturali o di approvvigionamento dell’acquedotto, sicuramente l’acqua affluiva regolarmente in piazza nel 1280. Il getto della fontana che fuoriusciva in alto da una coppa di bronzo, sorretta da tre giovani donne abbigliate all’antica, per poi zampillare nel catino di Rubeus e nelle due vasche marmoree sottostanti, era già uno spettacolo che animava costantemente lo scenario della città, e di cui tutti i Perugini, allora come oggi, andavano fieri.
Mancava un ultimo tassello. Proseguendo la condotta verso sud, sull’asse dell’attuale Corso Vannucci, si realizza un’ulteriore fontana monumentale, di minore impatto, che viene situata dai documenti dell’epoca «a piè della piazza», nell’area deputata al mercato che si trovava al margine del polo monumentale e urbanistico della città (la «piazza grande», che comprendeva l’invaso del corso).
Per questa nuova impresa venne chiamato il senese Arnolfo di Cambio, che la ultimò nel gennaio 1281. Per renderla ancor più memorabile, il comune la impreziosì con due considerevoli sculture bronzee che dovettero esserle poste ai fianchi, sulla fascia sommitale. Rappresentavano un leone e un grifo, ossia gli animali-simbolo della città. Furono rivestiti di una lamina d’oro in vista della nuova collocazione, ma già nel 1301 furono dislocati sul Palazzo dei Priori, di fianco all’ingresso della Sala dei Notari (ossia di fronte alla Fontana Maggiore), laddove sono oggi sostituiti da copie. La fontana di Arnolfo, nel contempo, fu progressivamente smembrata.
Pare che il suo destino fosse segnato dal malfunzionamento dell’acquedotto, che nel 1308 risulta del tutto fuori uso. Venne intrapreso un vasto programma di interventi di modifica e di riattamento della condotta, coinvolgendo nomi di spicco come Lorenzo Maitani, il capomastro del duomo di Orvieto impegnato a Perugia per la realizzazione di un’ala del Palazzo dei Priori, e solo nel 1322, come attesta un’epigrafe che si legge sulla Fontana Maggiore, i lavori giunsero felicemente a termine.
«In quiete si stendano nella sua vista colli e vallate, verzieri quali nessuna terra nutre, colture di messi e bei vigneti e fonti quali nessuna città costruì: di là [nella fonte di Arnolfo, n.d.A.l’immagine aurea di un grifo e di un leone, forme diverse e varie figure, di qua [nella Fontana Maggiore, n.d.A.volti ed aspetti d’uomini, in alta mole. Tutto ciò che è placido e dilettevole a vedersi in te si contempla, o migliore fra le dimore, dolce di prosperità, amenissima, tranquilla di quiete sicura».
Le due fontane pubbliche si trovano qui in seno a una lode alla città di Perugia, incastonata in unpaesaggio all’insegna della quiete, della prosperità e dell’armonia. Con alcuni decenni di anticipo, cisembra di «vedere» gli Effetti del Buon Governo che Ambrogio Lorenzetti dipingerà nel Palazzo pubblico di Siena (1338-40 circa). I versi appartengono alla Eulistea, un poema in latino commissionato dai reggitori della città umbra al retore Bonifacio da Verona nel 1299.
Protagonista dell’opera è Euliste, il re etrusco che avrebbe dato luogo a Perugia. Stando a un ulteriore poema, il trecentesco Conto di Corciano, egli fondò la città proprio nel luogo identificato dalla Fontana Maggiore, di fronte all’antica residenza comunale (oggi inglobata nel Palazzo Arcivescovile) e alla cattedrale di S. Lorenzo (la cui facciata era in precedenza rivolta alla piazza).
Il nome di Euliste si ricollega all’Auleste dell’Eneide, il re etrusco che si allea con l’eroe del poema diVirgilio, e la memoria di questo fondatore poteva essere ben antica e radicata nel territorio. Ècomunque interessante rilevare come il recupero di una memoria storica cittadina sia strettamentelegato all’affermazione del libero comune. Padova si riteneva fondata dal troiano Antenore, in onore del quale eresse una tomba monumentale (1283), mentre Genova, per facile etimologia, aveva eletto a proprio eroe Giano, trasformato da dio pagano bifronte a re italico, come evidenzia l’effigie a lui dedicata all’interno della cattedrale ligure (1307).
Dal canto suo, Euliste campeggia in forma di statua quasi a tutto tondo proprio sulla FontanaMaggiore, su uno degli angoli della vasca superiore. È una delle quattro figure poste sugli assi principali, e occupa per la precisione il vertice nord. Gli corrisponde a sud la personificazione della città, che assume la veste classica di Augusta Perusia, riportando in auge un titolo onorifico che risale all’età romana, e che si riscontra nell’epigrafe incisa all’epoca dello stesso Augusto sui conci radiali del celebre  Arco Etrusco (III sec. a.C.).
Nicola Pisano, ormai alla fine della sua carriera, aveva legato il proprio nome a complessi scultorei di notevole impegno, sfoggiando una maestria che traeva linfa dallo studio dell’arte antica. Elaborando la «macchina» della Fontana Maggiore, mise a frutto anni di esperienza, dall’apprendistato svolto in Puglia, nei cantieri promossi da Federico II, sino alla realizzazione del pulpito del duomo di Siena (1265-68). Nello stesso Castel del Monte, che ben conosceva, avendo lavorato alle sue decorazioni scultoree, la cristallina mole geometrica dell’edificio si articolava intorno a una grande vasca centrale, e si compiva così una celebrazione monumentale dell’acqua in una cornice priva di significati e di funzioni religiose. D’altra parte la Fontana Maggiore può richiamare concettualmente l’idea del battistero o del fonte battesimale, trovandosi peraltro nei pressi di una cattedrale. I parapetti marmorei rigorosamente modellati, l’uno istoriato, l’altro scandito da statue, oltreché sostenuto da una schiera di colonne, richiamano le celebri impaginazioni dei pulpiti che lo stesso Nicola aveva realizzato. Ma la nuova impresa compie uno stacco clamoroso nei confronti di ogni esperienza pregressa, ed esclude così ogni interferenza con i modelli e con le tipologie di ambito religioso, proprio grazie alla geniale e originalissima concezione dell’insieme.
La fontana ha infatti un’assai elaborata articolazione geometrica e strutturale. La vasca inferiore, che si staglia dall’alto di un podio gradinato, si compone di un poliedro di 25 lati. Ogni lato, scandito da colonnine che si alternano in singole e a gruppi di tre, presenta due formelle istoriate, in modo da formare, nel complesso, un lunghissimo fregio costituito da 50 bassorilievi. La vasca superiore poggia su una selva di colonne, in larga parte nascoste nella penombra. Si evidenzia solo la cerchia delle 24 colonne perimetrali, ma i fusti sono occultati dal parapetto della vasca sottostante, cosicché la vasca stessa sembra fluttuare nel vuoto.
Il parapetto disegna una figura mistilinea ancor più complessa del poligono di base. L’insieme appare infatti costituito da 12 lati di forma convessa che presentano due specchiature ciascuno, lisce, realizzate in marmo rosso di Assisi. Tra una specchiatura e l’altra, in un gioco ritmico di sporgenze e rientranze, si para una ghirlanda di 24 statue classicheggianti, a formare una sorta di moderno Eretteo. Laddove si presenta la statua in posizione sporgente, spicca alla base un delizioso doccione di bronzo a forma di testa d’animale, che scarica l’acqua nella vasca sottostante.
L’evidenza plastica delle forme e la ricercatezza nel segno dell’antico culmina nel gruppo bronzeo finale con le tre fanciulle che sorreggono la coppa da cui fuoriesce l’acqua. Nulla sappiamo sul fonditore che realizzò questo pezzo di grande maestria (oggi sostituito in situ da una copia), ma l’idea delle tre cariatidi strette l’una all’altra, spalla a spalla, in una composizione «a colonna», rientra bene nel linguaggio di Nicola e dei suoi allievi. Simili gruppi di figure erano ad esempio i Chierici-telamoni che adornavano in origine l’arca di San Domenico a Bologna (1265-1267 circa). Ed è interessante notare che alla base di queste invenzioni c’è un preciso riferimento all’arte classica, vale a dire ai gruppi scultorei dedicati alla dea Ecate, anche sotto forma di semplici bronzetti votivi, laddove la figura era proposta in una triplice versione, a sottolineare le diverse nature della divinità (terrestre, lunare, ctonia, ossia sotterranea).
Nella vasca superiore, attorno al «vertice» nord segnato dalla statua di Euliste, spiccano le figure del podestà Ermanno da Sassoferrato e del capitano del popolo Matteo da Correggio. Sul lato opposto, Augusta Perusia, con la sua cornucopia che è antico simbolo di abbondanza, è affiancata da due personificazioni del territorio, la domina del Chiugino, che reca il grano, e la domina del Lago Trasimeno, che reca il pesce. Ai lati, accompagnati dai rispettivi chierici, si evidenziano poi i patroni della città, san Lorenzo e sant’Ercolano.
Sull’asse ovest-est le figure riallacciano la città a una più ampia dimensione storica e religiosa. Salomonea est, rappresenta Gerusalemme, l’antica capitale e la fonte della sapienza cristiana. Sul lato opposto si impone Roma, la nuova capitale della cristianità. Ai suoi fianchi spiccano san Pietro, con la personificazione della Chiesa romana, e san Paolo, con la personificazione della Teologia.L’Urbe ritorna nelle formelle della vasca inferiore, laddove le origini della città rientrano nel più vastoquadro della storia universale. Nell’arco di tre sequenze, si parte dalle vicende di Adamo ed Eva(Trasgressione e Cacciata dal Paradiso terrestre) e si giunge infine ai quattro pannelli dedicati a Romolo e Remo. La fondazione di Roma chiude così i primordi dell’umanità, in un’evidente ottica moralistica. Si parte infatti dal peccato originale e si giunge alla nascita dell’Urbe, in cui si allude al fratricidio che segna appunto il sorgere di Roma: la coppia Romolo-Remo fa da pendant ai progenitori. Nel mezzo, Sansone e Dalila alludono al tradimento, Davide e Golia al coraggio.
Si interpone nella narrazione un sintetico bestiario, che impartisce lezioni di vita allo spettatore. Unleone si ritrae impaurito non appena si avvede che l’uomo che ha davanti colpisce a suon di verga un semplice cagnolino (catulus), secondo uno stratagemma diffuso dalla letteratura didattica dell’epoca: l’astuzia vale più della forza. Ritroviamo poi due celebri favole di Fedro (Il lupo e la gru, Il lupo e l’agnello), riproposte anche negli affreschi della prospiciente Sala dei Notari (1298-1300), visto che le loro morali erano di grande attualità per i reggitori del comune: non aiutate gli indegni; guardatevi dai manipolatori che ricorrono alle falsità per ottenere i propri scopi. Proseguendo in senso antiorario, si sviluppa il celebre Calendario. Secondo una tradizione iconografica già consolidata, ogni mese è evocato dalle occupazioni che lo distinguono nella vita dei campi. Ognimese impegna lo spazio di un dittico, cosicché la scena è suddivisa tra due personaggi che si aiutano vicendevolmente, svolgendo ciascuno la propria mansione. La figura del pannello di sinistra è associata al corrispondente segno zodiacale. La figura che la affianca è un aiutante (socius) o la moglie stessa del contadino (uxor). Le fatiche dei campi vengono rese con candida e immediata semplicità, senza che le figure manifestino un senso di oppressione. Come sottolinea Chiara Frugoni, siamo ben lontani dall’ottica biblica per cui il lavoro rappresenta un castigo individuale. Viene bensì celebrato lungo una schiera di 24 pannelli (quasi una metà del giro della vasca) come un’attività fondamentale, che richiede sì impegno e sacrificio, ma che è anche condivisa coralmente. I personaggi non si riducono a semplici tipi, essendo bensì figure vive, colte in diverse situazioni concrete, in uno scenario reso in modo coinvolgente dal penetrante realismo dei dettagli. C’è anche spazio per un semplice aneddoto o per un’annotazione briosa, come si vede nel mese di Marzo, quando un contadino se ne sta seduto a togliersi una spina dal piede, mentre il solenne e barbuto aiutante di Dicembre, intento a camminare con il pesante fardello di una carcassad’animale caricata sulle spalle, riceve le accoglienze festose di un cane. E, mentre Aprile è reso da due personificazioni anticheggianti, il mese di Maggio tralascia il mondo dei laboratores dedicando spazio ai riti cavallereschi della caccia e del corteggiamento: da un lato il signore nell’atto di offrire un fiore, dall’altro la dama nell’inconsueto ruolo della cacciatrice, con il falcone posato sul braccio.
A completare il giro, le otto personificazioni delle Arti liberali compongono una pagina davveroeloquente di tecnica e di ricerca espressiva. Tutte realizzate con un rilievo poco pronunciato, con lesagome ben rifinite che sembrano modellate nell’avorio, queste formelle non hanno nulla di statico o di ripetitivo. Anche in questo caso l’azione ha il sopravvento. Solo la Filosofia è raffigurata in una tipica posa frontale, ma in una postura che suggerisce comunque un senso di movimento, grazie alle ginocchia sfalsate e al volto proteso di lato. Spesse volte si inserisce in scena un allievo, e l’Arte, raffigurata di profilo, è in tal caso impersonata da una domina intenta ad ammaestrare. La Grammatica è rivolta al suo giovanissimo allievo con il volto dolcemente reclino, in una posa che esprime al tempo stesso tenerezza e premura. La Geometria e la Musica, dal canto loro, sono letteralmente avvinte dal proprio lavoro, l’una piegata sul tavolo da disegno, l’altra avvolta in un attimo di sospensione o di ispirazione, con uno strumento a corda sulle ginocchia e con un martelletto sollevato a mezz’aria, vicino a una serie di piccole campane.
Nello snodo cruciale tra le Arti liberali e la Cacciata di Adamo ed Eva si evidenzia infine la dupliceraffigurazione di un’Aquila dalle ali spiegate, saldamente artigliata a una roccia, con la testa giratanell’atto di emettere il suo strido. La forza espressiva della figura e lo studio meticoloso dei dettagligiustificano ampiamente l’orgoglio con cui Giovanni Pisano vi appose la sua firma, affermando lapropria individualità nei riguardi della celeberrima figura paterna. Non a caso, poi, l’aquila è l’animale-simbolo dell’evangelista Giovanni, suo omonimo. Si tratterebbe, quindi, di un vero e proprio spazio di autocelebrazione. Per il resto, in un’opera tanto vasta e complessa come la Fontana Maggiore, eseguita per di più in breve tempo, è difficile riconoscere distintamente la mano dei due scultori principali, sicuramente coadiuvati da una squadra di aiuti. Ma il genio di Giovanni si avverte nelle statue più vigorose della vasca superiore, quelle che si evidenziano per gli effetti della lavorazione al trapano, per l’espressività dei volti e per il dinamismo della figura: ad esempio, i monumentali San Pietro e San Paolo, e le virtuosistiche personificazioni della Chiesa romana e della Teologia.
Da leggere
Chiara Frugoni, Una lontana città. Sentimenti e immagini del Medioevo, Einaudi, Torino 1983Francesco Cavallucci, La Fontana Maggiore di Perugia. Voci e suggestioni di una comunità medievaleQuattroemme, Ponte San Giovanni (Perugia) 1993
Carlo Santini (a cura di), Il linguaggio figurativo della Fontana Maggiore di Perugia, Calzetti Mariucci, Perugia 1996
Vittoria Garibaldi, Bruno Toscano (a cura di), Arnolfo di Cambio. Una rinascita nell’Umbria medievaleSilvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano) 2005
Cronologia
1234, aprile Dopo una significativa vittoria del popolo sull’aristocrazia cittadina, viene apposta sul campanile della cattedrale la Pietra della giustizia.
1254 Iniziano lavori di costruzione dell’acquedotto che dovrà collegare la piazza del Comune alle sorgenti del Monte Paciano, a nord della città. Già nel 1260 l’opera risulta interrotta.
1255 Prima attestazione del capitano del popolo.
1260 Vengono stabiliti gli Ordinamenta populi. Gli “ordinamenti” definiscono i criteri di organizzazione di tutti i gruppi di professionisti, artigiani e commercianti che compongono il “popolo” perugino.
1266 In un atto ufficiale, consoli dell’Arte della mercanzia figurano tra rappresentanti della cittadinanza, di fianco al podestà e al capitano del popolo.
1274, febbraio Per solennizzare la festa del patrono sant’Ercolanoil comune di Perugiacommissiona il leone e il grifo di bronzo attualmente conservati nel Palazzo dei Priori.
1277, gennaio Il Consiglio generale del comune delibera la ripresa dei lavori dell’acquedotto.Vengono coinvolti due consulenti, il veneziano Boninsegna e frate Alberico, francescano. In seguito Boninsegna risulta affiancato dal sovrintendente fra’ Bevignate.
1277, 10 settembre Convocazione degli abati dei priori dei monasteri perugini allo scopo direperire fondi per l’impresa. Nello stesso giorno re Carlo d’Angiò autorizza  Arnolfo di Cambio a recarsi a Perugia per la realizzazione della Fontana Maggiore.
1277-1278 Il fonditore Rubeus firma la coppa di bronzo della Fontana Maggiore (1277). Nicola e Giovanni Pisano, subentrati ad Arnolfo di Cambio, sono gli artefici principali dell’apparato scultoreo, completato nel 1278.
1281, gennaio Arnolfo di Cambio realizza la fontana pié della «piazza grande».
1292 Viene avviato il nuovo Palazzo del Popolo, oggi noto come Palazzo dei Priori.
1297 Si realizza la sala delle adunanze del Palazzo del Popolo, oggi nota come Sala dei Notari.
1299 Il comune di Perugia affida Bonifacio da Verona la composizione dellaEulistea, un poema in onore della città.
1300 Si delibera il rifacimento della cattedrale.
1303 Viene instaurato il governo dei Priori delle arti. La Fontana Maggiore viene chiusa da un’inferriata.
1322 Un’iscrizionosservabile sulla stessa Fontana Maggiore attesta cospicui lavori di ripristino dell’acquedotto.
1342 Lo Statuto comunale prevede un’ampia dettagliata serie di disposizioni volte al decoro della fontana e alla conservazione dell’acquedotto.
1349 Restauro della fontana seguito di un grande terremoto.
1508 In cima alla fontana viene apposto un gruppo scultoreo duecentesco in bronzo, con grifi e leoni alati, che verrà poi rimosso nel 1949.
1806 L’inferriata trecentesca viene sostituita da una nuova recinzione.
1948-49 Restauro ricomposizione filologicdella fontana. Viene realizzata l’attuale inferriata in sostituzione di quella ottocentesca.
1999 Dopo un elaborato restauro, la fontana è riaperta al pubblico.

Il presente articolo è stato pubblicato sul mensile “Medioevo” (n. 200 marzo 2015) ed è tratto da https://independent.academia.edu/FurioCappelli.

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