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« Affinché si potesse facilmente e più rapidamente annunciargli e portare a sua conoscenza ciò che succedeva in ciascuna provincia, fece piazzare, di distanza in distanza, sulle strade strategiche, dapprima dei giovani a piccoli intervalli, poi delle vetture. Il secondo procedimento gli parve più pratico, perché lo stesso portatore del dispaccio faceva tutto il tragitto e si poteva, inoltre, interrogarlo in caso di bisogno. ».

Così scrive Svetonio nella sua “Vita dei Cesari” riguardo al servizio postale, organizzato per la prima volta dal primo Imperatore di Roma, Ottaviano Augusto. La corrispondenza romana funzionava quindi  grazie a una serie di alloggi di tappa chiamati “mansiones”. Queste “mansiones” erano stazioni di posta situate lungo il percorso, gestite dal governo centrale e venivano messe a disposizione per qualunque persona viaggiasse per conto di esso.  L’ospitalità offerta dalle “mansiones” era dunque limitata ad usi ufficiali; lo scopo di queste strutture era infatti di garantire, al viaggiatore un’adeguata ospitalità in una villa interamente dedicata al suo riposo. Non in rari casi nelle vicinanze di essa iniziarono a nascere altre strutture per soddisfare le esigenze del viaggiatore, come taverne o “mutatio”, e più avanti ancora, in alcuni casi, campi militari permanenti. Nei secoli successivi la costruzione degli acquedotti favorì anche il sorgere di insediamenti veri e propri. La “mutatio”, in particolare,  rappresentava un vero e proprio servizio aggiuntivo ed era esclusivo per veicoli ed animali, esse erano situate a circa 15 miglia l’una dall’altra e al loro interno era possibile usufruire di maniscalchi, servizi di carrettieri, e di veterinari specializzati nella cura dei cavalli. Si racconta che grazie a questo sistema di “cambi” l’Imperatore Tiberio abbia coperto in un solo giorno le circa 500 miglia che separavano l’Illirico, dove si trovava, dalla citta di Mogontiacum (odierna Magonza, in Germania), dove si trovava il fratello morente, Druso.

La corrispondenza romanahttps://romaeredidiunimpero.altervista.org/wp-content/uploads/2016/12/basolato-romani-320x131.jpg 320w, https://romaeredidiunimpero.altervista.org/wp-content/uploads/2016/... 768w, https://romaeredidiunimpero.altervista.org/wp-content/uploads/2016/... 720w" sizes="(max-width: 800px) 100vw, 800px" />La corrispondenza romana

La corrispondenza romana divenne quindi ben presto un servizio strategico che permetteva un grosso miglioramento nei collegamenti di un già vasto impero.  Il servizio crebbe a tal punto che assicurò la circolazione della corrispondenza di stato, delle personalità ufficiali e delle imposte esatte. I privati non potevano usufruirne, se non dietro autorizzazione scritta.

Il viaggiatore per poter godere dei vantaggi che i vari percorsi offrivano necessitava di un attestato, o di un “ordine di missione”, rilasciato dall’Imperatore in persona.

Ma esisteva la corrispondenza romana in età Repubblicana? La risposta è si! Ne sono prova i veloci corrieri a cavallo che Giulio Cesare stabilì in Gallia e la descrizione del servizio postale che Tito Livio ci ha tramandato , come per esempio quando il pretore della Sicilia, Otacilio, invia lettere al Senato per metterlo in guardia dalla flotta cartaginese.  La corrispondenza romana  prese il nome di “cursus publicus”, la cui sorveglianza era affidata al Prefetto del Pretorio, il quale aveva anche la responsabilità della manutenzione delle strade, dei depositi di grano e della monetazione.
Il Prefetto poteva contare sull’aiuto degli ispettori dei trasporti chiamati “praefecti vehiculorum”, di speciali funzionari itineranti chiamati “agentes in rebus” e dei maestri di posta detti “mancipes”. Vi era poi un corpo particolare incaricato di sorvegliare il funzionamento delle stazioni di posta, composto dai cosiddetti “curiosi”. Il cursus si divideva in celere e tardo; il primo serviva per trasportare persone e corrispondenza ed utilizzava delle speciali carrozze veloci tirate da cavalli, mentre il secondo si usava per l’invio di oggetti voluminosi e utilizzava carri più robusti, tirati da buoi.

La corrispondenza romana, resti di una "mansio"https://romaeredidiunimpero.altervista.org/wp-content/uploads/2016/12/remains-of-a-roman-mansio-in-staffordshire-england-320x214.jpg 320w" sizes="(max-width: 500px) 100vw, 500px" />La corrispondenza romana, resti di una “mansio”

All’inizio del II sec. d.C., l’Imperatore Settimio Severo ampliò la portata del servizio, allargandola anche al convogliamento dell’annona militare, ovvero l’approvvigionamento degli eserciti. Più avanti, ai tempi di Diocleziano prima e Costantino poi, seguì una riorganizzazione dell’intero servizio postale, ricollegandone la gestione ad un alto funzionario della burocrazia del tardo impero: il “Magister officiorum”. Le fonti di quel periodo ci raccontano di innumerevoli frodi e della grande disorganizzazione che questo nuovo sistema generava. I successori di Costantino tentarono con vari accorgimenti, come la limitazione del numero degli ordini di missione accordati, o la soppressione delle requisizioni arbitrarie, di arginare il problema.

Malgrado le vicissitudini, il cursus publicus assicurò i suoi servizi fino al sesto secolo. Nel 414 d.C., l’ottimo funzionamento dell’annona militare permise così all’Imperatore Costanzo III di fermare i Visigoti nella regione francese dell’Aquitania, in cambio della consegna di approvvigionamenti. La corrispondenza romana scomparsa in Occidente, sopravvisse fino alla prima metà del sesto secolo all’interno dell’Impero Bizantino quando poi  fu smantellato per iniziativa di Giustiniano, ad esclusione dei percorsi che andavano nella direzione della frontiera Sassanide.

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