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La Cappella di San Severo a Perugia: un luogo dove vedere Raffaello e Perugino a confronto diretto

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 Vi portiamo oggi in viaggio a Perugia, nella Cappella di San Severo, dove si cela uno splendido affresco, iniziato da Raffaello e terminato dal Perugino: allievo e maestro a confronto diretto.

Nascosto tra i vicoli medievali di Perugia, dopo una ripida salita, c’è un luogo meraviglioso, sconosciuto ai più, e soprattutto al turismo di massa, dove è possibile vedere due grandi maestri della storia dell’arte a confronto: è la cappella di San Severo. Da non confondersi con quella, quasi omonima, che si trova a Napoli, e che si chiama cappella Sansevero: là, prende il nome dalla famiglia che la fece realizzare. Qui, a Perugia, si chiama così perché si trova vicina alla chiesa dedicata a san Severo. Dall’esterno può apparire pressoché anonima: un edificio in laterizio, dalla facciata sobria, come ce ne sono tanti a Perugia. Edificio che è il risultato dei rimaneggiamenti di secoli di storia, perché la cappella esiste fin dal Duecento, ma l’edificio che la ingloba è da datarsi al diciottesimo secolo. Il complesso di San Severo si trova in una piccola piazzetta, che si apre proprio sul punto più alto della città: ma vi assicuriamo che arrivare fin qui, davanti alla cappella, ripaga la fatica!

E il perché è presto spiegato: la cappella custodisce un affresco in cui possiamo vedere, a diretto confronto, due delle maggiori personalità del Rinascimento: Raffaello Sanzio e Pietro Vannucci, meglio noto come il Perugino. L’allievo e il suo maestro. E del maestro, l’affresco della cappella di San Severo rappresenta, peraltro, l’ultima opera realizzata a Perugia. E per quanto riguarda l’allievo, l’affresco è invece l’unica opera, delle tante che Raffaello realizzò a Perugia, che possiamo ammirare nel capoluogo umbro: le altre, oggi, sono tutte altrove.

Bisogna tornare indietro fino al 1505: all’epoca, Raffaello era un giovane che si era già fatto notare per le sue eccezionali capacità, e dalla città natale, Urbino, si era da un anno spostato a Firenze, una città che offriva maggiori opportunità di lavoro. Lavoro che non mancava neppure a Perugia, città all’epoca governata dai Baglioni, una famiglia tanto autoritaria ed esageratamente pragmatica in politica, quanto raffinata nei gusti artistici e nella promozione dei talenti dell’arte. Raffaello otteneva commissioni sia a Firenze, che a Perugia, ed era costantemente in viaggio tra le due città. E proprio nel 1505, ottenne un incarico grazie a uno degli esponenti della famiglia che reggeva le sorti di Perugia. Si trattava del vescovo Troilo Baglioni: non lo sappiamo con sicurezza, ma fu probabilmente il vescovo in persona colui che suggerì, ai monaci della chiesa di San Severo, il nome dell’allora ventiduenne pittore per la decorazione ad affresco della piccola cappella.

L'affresco di Raffaello e Perugino nella Cappella di San Severo
L’affresco di Raffaello e Perugino nella Cappella di San Severo: la Trinità con santi
Raffaello ricevette quindi l’incarico e si recò a Perugia dove iniziò a dipingere la sua opera: una Trinità con santi. Tuttavia, a quel tempo Raffaello era pieno di impegni, sia a Perugia che a Firenze. E quando, nel 1508, gli si presentò l’occasione di trasferirsi a Roma, dove avrebbe lavorato per il papa Giulio II, il giovane artista non si fece attendere, e lasciò la Toscana (e l’Umbria) per trasferirsi nello Stato Pontificio. Lasciando però incompiuto il suo affresco nella cappella di San Severo: fece in tempo a realizzare le figure della Trinità e quelle dei santi Mauro, Placido, Benedetto abate, Romualdo, Benedetto martire e Giovanni monaco. Santi che hanno a che fare con l’ordine dei camaldolesi, quello dei monaci della chiesa di San Severo.

Questi ultimi, probabilmente, covavano la speranza che l’artista tornasse a Perugia per finire il suo lavoro, perché fino a che Raffaello fu in vita, nessun altro pittore ci mise mano. Ma l’affresco rimase per molti anni compiuto a metà. Fino al 1520, anno della scomparsa di Raffaello: diventate vane le aspettative dei monaci, si pensò di far terminare l’opera al Perugino, che dopo una vita ricca di soddisfazioni e di gratificazioni, era tornato a vivere nella sua Umbria. Il vecchio pittore, che aveva superato la soglia dei settant’anni, non si tirò indietro, e portò a compimento il dipinto realizzando le figure dei santi Scolastica, Girolamo, Giovanni evangelista, Gregorio Magno, Bonifacio e Marta. Con, al centro, una nicchia, che ospita una Madonna col Bambino in terracotta.

Cappella di San Severo: la parte dell'affresco realizzata da Raffaello
Cappella di San Severo: la parte dell’affresco realizzata da Raffaello

Della parte realizzata da Raffaello, alcune figure non sono più leggibili: colpa dell’umidità, e di alcuni restauri condotti in modo scriteriato durante l’Ottocento, contro i quali si scagliò anche uno storico dell’arte come Giovan Battista Cavalcaselle: siamo negli anni Settanta dello stesso secolo. Quindi, oggi non vediamo più la figura del Padreterno (rimane solo il suo enorme libro con l’alfa e l’omega, simboli del principio e della fine), l’angelo alla sua sinistra, e il Giovanni monaco, di cui vediamo soltanto le gambe. L’azione del tempo e degli agenti non è stata però sufficiente per offuscare la bellezza delle figure raffaellesche e per consentirci di fare un confronto, agevole, chiaro e diretto, tra il giovane Raffaello e il suo vecchio e stanco maestro.

Cappella di San Severo: la parte dell'affresco realizzata dal Perugino
Cappella di San Severo: la parte dell’affresco realizzata dal Perugino

Le figure di Raffaello ci appaiono quindi mosse da una vitalità maggiore: le espressioni sono più profonde, gli atteggiamenti più studiati. Al contrario di quelle del Perugino, che pur nella loro grande eleganza formale, segno distintivo della poetica peruginesca, appaiono invece come ripetizioni di moduli ormai in uso da tempo. E si veda poi la differenza nel rappresentare la tridimensionalità: i più forti passaggi chiaroscurali delle figure di Raffaello ce le fanno apparire più naturali di quelle, più piatte, del Perugino. Non che l’arte del Perugino non fosse un’arte di alto livello, un’arte delicata e raffinata come lo era sempre stata: è solo che all’epoca, nel 1521, non era più attuale. Il suo genio apparteneva già a un’altra epoca: la scena, in quegli anni, era monopolizzata dai Michelangelo, dagli Andrea del Sarto, dai Tiziano, dai Sebastiano del Piombo. Da poco se n’erano andati Leonardo e Raffaello, che avevano rivoluzionato l’arte, e i primi pittori manieristi si stavano affacciando sulle scene. Il Perugino appare quindi, in questo affresco della cappella di San Severo, come una artista nostalgico, espressione di un tempo andato. O semplicemente non più al passo con i tempi. E il nuovo è rappresentato proprio da Raffaello, e da quel Cristo così apollineo e maestoso allo stesso tempo che, malgrado fosse stato dipinto ben sedici anni prima rispetto alle figure del Perugino, appare terribilmente più attuale.

Due epoche in un solo affresco, e due grandi dell’arte, per di più allievo e maestro, a paragone diretto, in uno degli angoli più suggestivi di Perugia, nel cuore del centro antico, nel rione Porta Sole. Vale davvero la pena visitare la cappella, per vedere una magnifica opera d’arte rimasta in questo luogo per cinquecento anni. In tutta tranquillità e nel silenzio.

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