di Alessio Screm
Un lunghissimo applauso, più volte richiamati gli artisti sul palco e ancora applausi, “bravo”, ovazioni. Dopo un’ora e mezza di pura spiritualità, in un ambiente evocativo e onirico come la trecentesca ex chiesa di S. Francesco a Udine, colma di un pubblico attento ed entusiasta. Qui si è tenuto il concerto conclusivo di una brillantissima stagione della Fondazione Luigi Bon di Colugna, per un evento nato in collaborazione con il festival Vicino Lontano – Premio Terzani che quest’anno ha individuato come tema conduttore l’utopia. E la musica, come scrive Ernst Bloch, «aiuta a far risuonare l’umano utopico nel mondo», facendo diventare i non-luoghi, delle idealità concrete, fattibili, realizzabili.
Il programma musicale era pertanto imperniato su grandi temi legati all’utopia, come la patria e l’amor di patria, la libertà, l’amore, la vita, la morte, la rinascita, attraverso due autori contemporanei - John Tavener e Sofia Gubajdulina – avvicinati nel nome di Johann Sebastian Bach. Protagonista il violoncellista tra i più conclamati della scena internazionale: Mario Brunello, il quale ha dato prova ancora una volta della sua straordinarietà interpretativa, pura, assoluta. Con lui il soprano Karina Oganjan nella prima parte di concerto con il ciclo Akhmatova Songs di Tavener. Sei poesie della scrittrice dissidente russa Anna Akhmatova, in cui ricorda Dante, Pushkin, Lermontov – accomunati dallo stesso destino, l’esilio politico – evocando poi la Poesia, la Musa e la Morte. Pagine pregne di lirismo spirituale nella scrittura modernista di Tavener che rimodula il nuovo e l’antico, attraverso un dialogo tra violoncello e soprano ora salmodiante, antifonale, ora declamato, stridente, a dare forma ai significati plurimi contenuti nei versi della “Regina della Neva”.
Con Bach è stata la volta della versatilità e della continua ricerca che Mario Brunello da tempo conduce sul genio di Eisenach, proponendo la Partita n. 2 in re minore BWV 1004, non per violino ma per violoncello piccolo, la cui tessitura nulla ha tolto al fascino insito nei capolavori di questa raccolta. Sostituendo il violoncello Maggini con il violoncello piccolo - copia di un Amati - ,Brunello ha eseguito le cinque danze della Partita con finezza e perfezione inaudite, caratterizzando la trama sonora di sublimi polifonie latenti, con la precisione certosina che lo distingue e la verve interpretativa che lo fa unico. Straordinaria la Ciaccona finale con la presenza del Coro del Friuli Venezia Giulia preparato da Cristiano dell’Oste e diretto da Paolo Paroni, in un’esecuzione di rarissimo ascolto, frutto delle ricerche della musicologa tedesca Helga Thoene, la quale ha individuato un’aderenza misterica tra questo capolavoro – il non plus ultra della didattica per strumento ad arco – ed alcuni corali, come Christ lag in Todesbanden, eseguito in ideale armonia durante la Ciaccona, per un effetto di grande resa che non ha per nulla profanato, piuttosto il contrario, la scrittura originale.
Il terzo capitolo del concerto, altissimo nella forma e nei contenuti, è stato Sonnengesang, ovvero il “Cantico dei cantici” di Sofia Gubajdulina, compositrice vivente che per lungo tempo ha dovuto subire la censura dell’Urss. Opera complessa nella forma e nella resa, composta da un organico altrettanto infrequente: violoncello, coro da camera, un’ampia gamma di percussioni, strumenti idiofoni e celesta, suonati nell’ordine da: Mario Brunello, il Coro del Friuli Venezia Giulia, Pietro Pompei e Flavio Tanzi, Ferdinando Mussutto e la direzione affidata alla compiuta bacchetta di Paolo Paroni.
Non c’era luogo migliore che una chiesa dedicata a S. Francesco, per l’esecuzione di un lavoro che prende a soggetto il primo componimento poetico della letteratura italiana, scritto appunto dal poverello di Assisi. L’intesa tra le parti, che spesso devono combattere in articolate poliritmie e arditi andamenti melodico-armonici, è riuscita a rendere nella sua interezza il senso profondo, straniante e conciliante al contempo, della lode che Gubajdulina esalta, rendendo l’utopia del Cantico, una realtà concreta e tangibile. Come dalle premesse, il lunghissimo applauso conclusivo del grande concerto, è stato la prova, la materializzazione corale, di quell’umano utopico che rende le aspirazioni delle realtà.
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