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Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età rinascimentale: il Quattrocento – Data: Settembre 8, 2022
Durante il Rinascimento venne affrontata una questione artistica molto delicata: quella relativa alle corrette proporzioni di una figura umana. Già durante l’età greca classica, gli scultori, a partire da Policleto, avevano elaborato immagini di uomini e donne che implicavano precisi rapporti matematici tra le diverse parti del corpo. Di questi loro studi, tuttavia, rimasero poche tracce. Quasi tutte le proporzioni adottate dagli antichi furono così dimenticate. Gli artisti rinascimentali si ripromisero di riscoprirle e non si trattò di un’operazione semplice. L’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci.
L’architetto e trattatista Leon Battista Alberti (1404-1472), nel suo trattato De Statua del 1436, propose la suddivisione del corpo umano in sei piedi o in 60 unceolae o ancora in 600 minuta (dove un “piede albertiano” equivale a 10 unceolae e a 100 minuta). Con questo sistema così differenziato, Alberti mirò a stabilire uno standard valido universalmente ma tale da poter consentire, almeno in teoria, anche la registrazione di minime varianti personali.
Il pittore e trattatista tedesco Albrecht Dürer (1471-1528) adottò, invece, il canone della testa come 1/8 dell’altezza e si avvalse di figure geometriche per schematizzare le parti del corpo e renderle simmetriche. Più tardi, Dürer rinunciò al mito della bellezza unica e ideale, concludendo che «non esiste persona sulla terra che possa dare un giudizio assoluto su quella che dovrebbe essere la forma più bella di un uomo».
Un importante modello di riferimento per i teorici rinascimentali fu il cosiddetto Uomo vitruviano. Vitruvio (80 a.C. ca – 20 a.C. ca), antico architetto romano, nel suo trattato De Architectura aveva affermato, genericamente, che l’uomo perfetto si può inscrivere, in piedi e con le braccia aperte, entro un cerchio ed entro un quadrato. Secondo Vitruvio, l’ombelico è il naturale centro del corpo umano, mentre è uguale la distanza tra piedi e sommità della testa e quella tra le punte delle dita delle due braccia. Sempre secondo Vitruvio, la testa misura un ottavo del corpo umano, il piede un sesto, l’avambraccio un quarto e così anche il petto.
Alle stesse conclusioni giunse Plinio il Vecchio (23-79 d.C.), che nella sua Naturalis historia scrive che «la distanza che in un uomo va dai piedi fino alla testa è la stessa che c’è tra le dita delle mani a braccia distese». Purtroppo, questi trattati antichi sono giunti a noi privi di illustrazioni, sicché gli autori rinascimentali furono obbligati a trovarsi da soli, sulla scorta di quelle poche informazioni, le soluzioni grafiche corrette.
La prima rappresentazione di un uomo inscritto in un cerchio è di un ingegnere senese vissuto fra il XIV e il XV secolo, Mariano di Jacopo detto il Taccola (1381-1453/58), che in un suo trattato di ingegneria, il De ingeneis, disegnò un uomo in posizione eretta, con le braccia stese lungo i fianchi, che tocca con il capo e le punte dei piedi le estremità di un cerchio, all’interno del quale è inscritto un quadrato.
Questa particolare formula dell’Uomo vitruviano sarebbe stata proposta anche da altri trattatisti. Il milanese Cesare Cesariano (1475-1543), curatore, nel 1521, della prima edizione a stampa del De architectura tradotto in italiano, inscrive il quadrato nel cerchio e vi disegna l’uomo con braccia e gambe distese sulle diagonali in modo che mani e piedi tocchino gli angoli del quadrato (e quattro punti diversi della circonferenza).
L’ombelico risulta al centro sia del quadrato sia del cerchio. Paradossalmente, per adattare il corpo alle figure geometriche, Cesariano si vide costretto a deformare l’anatomia del suo Uomo vitruviano, rendendolo sproporzionato e quindi contravvenendo al canone di Vitruvio.
Fra’ Giocondo da Verona (1434 ca – 1515), curatore della prima edizione a stampa illustrata del De architectura di Vitruvio, pubblicata nel 1513, scelse di disegnare, in due tavole distinte, l’uomo prima all’interno di un cerchio inscritto in un quadrato (e non circoscritto), con braccia e gambe divaricate, poi l’uomo in piedi, in un quadrato, con le braccia distese che toccano i lati della figura. È chiaro che, così facendo, Fra’ Giocondo cercò di eludere il problema della relazione tra cerchio e quadrato fra di loro.
Fu l’architetto e trattatista Francesco di Giorgio Martini (1439-1501), studioso di Vitruvio, in un disegno utilizzato nel suo Trattato d’architettura, a cercare, sia pure con qualche incertezza, di inscrivere una figura umana contemporaneamente nel cerchio e nel quadrato, senza deformarla. Si doveva, secondo l’architetto, evitare di inscrivere le due figure geometriche una nell’altra e di limitarsi a sovrapporle, pur facendone coincidere i centri geometrici, facendo sì che l’altezza dell’uomo corrispondesse sia al lato del quadrato sia al diametro del cerchio.
In questo modo, tuttavia, l’ombelico non coincide più con il centro del cerchio, così come voleva Vitruvio. Inoltre, l’uomo di Francesco non riesce a toccare un lato del quadrato con la mano sinistra. Insomma, la soluzione del problema sembrava avvicinarsi ma non era stata ancora trovata. Tale compito, sarebbe spettato a Leonardo da Vinci.
Leonardo (1452-1519), pittore, studioso e inventore, uno dei geni indiscussi del Rinascimento italiano, conobbe e frequentò Francesco di Giorgio Martini, che certamente lo mise al corrente delle sue idee sull’Uomo vitruviano: un tema, questo, che senza dubbio costituì l’ennesima sfida per il grande artista, deciso a trovare una soluzione definitiva. È con tali premesse che, intorno al 1490, produsse il celeberrimo disegno con cui tutti, ancora oggi, identifichiamo l’Uomo vitruviano, e lo integrò con alcune annotazioni esplicative, ispirate dalla lettura di Vitruvio.
Discostandosi dalla proposta dell’amico Francesco di Giorgio, che sicuramente in parte lo ispirò, Leonardo fece nuovamente coincidere il centro del cerchio con l’ombelico dell’uomo, così come suggeriva Vitruvio, rappresentandolo con braccia aperte e gambe divaricate. Ma decise di non far coincidere più il centro del cerchio con quello del quadrato, all’interno del quale l’uomo è stavolta raffigurato in piedi e con le braccia distese, in modo che l’altezza e la larghezza delle braccia possano corrispondere alle misure della figura geometrica. «Tanto apre l’omo nele braccia, quanto ella sua altezza», scrive Leonardo. Insomma, l’uomo ideale può essere inscritto in un cerchio e in un quadrato ma solo assumendo due posizioni diverse. In fondo, Vitruvio non lo aveva specificato e quindi Leonardo non lo stava contraddicendo.
Le proporzioni della figura, invece, non sono esattamente quelle riportate da Vitruvio. Leonardo preferì introdurre alcune aggiunte e modifiche, necessarie per conciliare la rigida e talvolta astratta teoria classica con la verifica sperimentale. Insomma, Leonardo cercò di ottenere un risultato estetico ideale attraverso lo studio delle vere proporzioni umane, partendo da individui reali.
Si noti che nella figura stante, racchiusa nel quadrato (homo ad quadratum), il centro del corpo coincide con la prominenza del pube e non con l’ombelico, come invece accade con l’homo ad circulum racchiuso dal cerchio. In questo caso, la distanza dai piedi al pube è infatti identica a quella che intercorre fra la sommità del capo e il pube medesimo. Lo scrive, Leonardo: «il membro virile nasscie nel mez(z)o dell’omo».
Una curiosità: nel 2002, l’immagine dell’Uomo vitruviano di Leonardo venne scelta da Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca Ministro dell’Economia, per comparire sul dritto della moneta italiana da 1 euro (il design della moneta si deve invece a Laura Cretara). Questo ha certamente contribuito a far sì che questo mirabile studio di Leonardo sia diventato uno dei disegni rinascimentali più popolari in Italia e in Europa.
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