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La celebrazione delle sue gesta nell’Eneide fu voluta da Virgilio per legittimare la fondazione di Roma da parte dei suoi discendenti, ammantando di mito l’origine della gens Giulio-Claudia dell’imperatore Augusto


Nella storia della guerra di Troia narrata da Omero, Enea riveste un ruolo secondario, eclissato da eroi più luminosi quali il greco Achille o il troiano Ettore. A distanza di secoli dai poemi omerici, Publio Virgilio Marone avrebbe reso Enea protagonista di una drammatica epopea con la quale, per volere di Ottaviano Augusto, si unirono due momenti cruciali, la caduta di Troia e la fondazione di Roma, e si legittimò la gens Giulio-Claudia a cui il primo imperatore apparteneva.

Con l’aiuto di Afrodite, il medico Iapige cura Enea, ferito alla gamba nella lotta contro Turno, il re dei Rutuli. Affresco risalente al I secolo d.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Con l’aiuto di Afrodite, il medico Iapige cura Enea, ferito alla gamba nella lotta contro Turno, il re dei Rutuli. Affresco risalente al I secolo d.C. Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Foto: Scala, Firenze

   

Enea proveniva dalla città frigia di Dardania, in Asia Minore, fondata da Dardano, figlio di Zeus. Secondo il mito, Anchise, figlio di Capi, della stirpe di Dardano, stava pascolando il bestiame sul monte Ida quando Afrodite lo vide e si innamorò di lui: nacque Enea. Marito di Creusa, figlia del re Priamo, entrò in scena quando Agamennone e Achille assediarono Troia.

Omero descrive un Enea coraggioso in battaglia, nonostante il re Priamo avesse poca stima dell’eroe. Per difendere la città dal nemico, Enea si mise al comando dei dardani, popolazione illirica alleata di Troia. Loro capostipite e re eponimo fu Dardano, che giunse nella Troade da Samotracia o dall’Arcadia – le fonti non sono unanimi su questo punto – o addirittura da Creta o dall’Italia, e qui fu accolto dal re della popolazione dei teucri. Alla morte di Teucro, Dardano ne ereditò il regno, fondando alle pendici del monte Ida la città di Dardania. Dardano inoltre fu il progenitore di Ilo (il fondatore di Troia), tanto che nell’epica dardani e troiani sono spesso sinonimi.

Secondo il mito, la città di Butroto (l’odierna Butrinto, in Albania) fu fondata dall’indovino Eleno, figlio di Priamo. Il teatro venne realizzato nel IV secolo a.C.

Secondo il mito, la città di Butroto (l’odierna Butrinto, in Albania) fu fondata dall’indovino Eleno, figlio di Priamo. Il teatro venne realizzato nel IV secolo a.C.

Foto: Olimpio Fantuz / Fototeca 9x12

Eroici scontri davanti a Troia

La battaglia più importante di Enea a Troia fu contro Achille. Secondo Omero, quando l’eroe greco decise di ritornare a combattere per saziare la sua sete di vendetta contro il principe troiano Ettore, che aveva ucciso l’amico Patroclo, Apollo spinse Enea nell’agone contro di lui. Quando Achille lo vide, gli ricordò che lo aveva già messo in fuga una volta. Ma Enea non si fece intimorire e ricordò al suo antagonista che entrambi avevano origini in parte divine. Nel combattimento fu comunque Achille ad avere la meglio: Enea sarebbe morto sul suolo troiano per mano del Pelide se Poseidone non fosse intervenuto, avvolgendolo in una nube e portandolo in volo in un luogo più sicuro. Fu allora che il dio del mare profetizzò che i troiani sarebbero sopravvissuti attraverso la stirpe di Dardano; Troia sarebbe stata distrutta, ma Enea si sarebbe salvato per dare origine a una nuova civiltà, quella di Roma.

La connessione tra la leggenda di Enea e le origini della gente romana ha collegato anche la storia dei Penati (i numi tutelari del culto domestico di Roma) di queste città, che da Troia a Lavinio, ad Alba e infine a Roma rappresentano la continuità della stirpe di Enea. Infatti, quando i greci espugnarono Troia, Enea si ritirò sul monte Ida, caricando sulle spalle il padre Anchise e portando per mano il figlio Ascanio. Con sé, l’eroe avrebbe preso anche i Penati di Troia, che in seguito gli sarebbero apparsi in sogno suggerendogli la rotta da tenere per giungere in Italia. La moglie Creusa, invece, rimasta indietro mentre fuggiva dalla città in fiamme, morì. Enea si rifugiò insieme agli altri esuli ad Antandro, ai piedi del monte Ida, dove durante l’inverno costruì una flotta per salpare in primavera alla ricerca di una nuova patria. Enea intraprese il lungo viaggio attraverso il Mediterraneo che Virgilio raccontò nell’Eneide così come Omero aveva raccontato il viaggio di Ulisse nell’Odissea; nel caso di Enea, la traversata non fu tanto un viaggio di ritorno quanto un viaggio verso l’ignoto, fino alla realizzazione di una profezia che avrebbe cambiato il corso della sua leggenda.

Caduta e distruzione di Ilio. In basso a destra si può notare Enea che fugge con il padre e il figlio. Dipinto del XVII secolo. Musée des Beaux-Arts, Blois

Caduta e distruzione di Ilio. In basso a destra si può notare Enea che fugge con il padre e il figlio. Dipinto del XVII secolo. Musée des Beaux-Arts, Blois

Foto: Bridgeman / Index

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Avventure nel Mediterraneo

Nell’Eneide si racconta che i sopravvissuti al viaggio si diressero nell’odierna Tracia, a nord dell’Egeo: qui Enea fondò la città di Eneade. Mentre l’eroe e i suoi tagliavano legna per compiere un sacrificio, Enea vide uscire sangue dai rami dell’albero e una voce gli narrò la terribile storia di Polidoro, giovane figlio di Priamo, inviato dal padre in Tracia all’inizio della guerra, con parte del tesoro della città, e assassinato e derubato dal suo ospite, Polimestore. Questa storia spinse Enea ad abbandonare quel luogo maledetto e a riprendere il cammino. Così i troiani approdarono sull’isola di Delo, dove un oracolo annunciò a Enea di dirigersi nella terra dei suoi antenati – l’“antica madre” –, senza però specificare quale fosse. Enea ricordò che Dardano, fondatore della sua città natale, proveniva da Creta, e decise di recarsi sull’isola. Una terribile epidemia di peste lo obbligò ancora una volta a partire e i Penati, le divinità della famiglia, gli apparvero in sogno, rivelandogli che la terra d’origine di Dardano era l’Italia. L’eroe, quindi, navigò verso Occidente.

Durante la traversata una tempesta sospinse le navi sulle coste delle Strofadi, le isole delle mostruose arpie, nello Ionio. I viaggiatori affrontarono questi esseri dall’aspetto di donne alate, e riuscirono a scappare dall’isola, ma l’arpia Celeno profetizzò loro che sarebbero stati vittime della fame prima di poter erigere le mura della loro nuova città. Gli esuli continuarono a navigare al largo della costa greca fino a raggiungere Butroto, nell’Epiro, oggi Butrinto (nell’attuale Albania), dove viveva l’indovino Eleno, un altro figlio di Priamo scampato alla distruzione di Troia. Eleno rivelò a Enea che avrebbe dovuto stabilirsi dove avesse trovato una scrofa bianca con trenta maialini; prima, però, avrebbe dovuto fare visita alla Sibilla Cumana, sacerdotessa di Apollo che formulava i suoi oracoli nascosta in una grotta nei pressi del lago Averno, vicino a Napoli. Tutti i segnali indicavano che l’Italia era la meta finale del viaggio.

Enea discende nell’Averno per incontrare suo padre. Dipinto di Niccolò dell’Abate. XVI secolo. Galleria Estense, Modena

Enea discende nell’Averno per incontrare suo padre. Dipinto di Niccolò dell’Abate. XVI secolo. Galleria Estense, Modena

Foto: Scala, Firenze

   

Verso un destino annunciato

Di nuovo per mare Enea evitò lo Stretto di Messina, tra le mostruose Scilla e Cariddi, costeggiando la Sicilia da sud verso ovest e sbarcando a Drepano, l’odierna Trapani, dove morì il padre Anchise. Quando ripresero il viaggio verso le coste della Penisola, una tempesta li fece deviare nel Nord Africa, sulle coste di Cartagine. Lì, Afrodite comunicò al figlio che i punici e la regina Didone li avrebbero ricevuti con ospitalità. Per intervento della dea, Didone si innamorò di Enea e sognò di unire i due popoli e il loro lignaggio. Ma Zeus si oppose e inviò Mercurio a intimare a Enea di continuare il suo viaggio e di compiere così il proprio destino. L’eroe si piegò ancora una volta al volere divino e, per la disperazione, descritta in uno dei passi più struggenti dell’Eneide nel IV canto, la regina punica Didone si suicidò mentre le navi del troiano erano già al largo.

Tornato in Sicilia, Enea organizzò i giochi funebri per l’anniversario della morte di Anchise. Le donne troiane, stanche di tanto peregrinare, appiccarono il fuoco alle navi dei loro uomini per mettere così fine al periplo. Enea, però, invocò l’aiuto di Zeus (che diventerà Giove per i Romani), che scatenò una tempesta per spegnere il fuoco. A quel punto l’ombra di Anchise apparve a Enea per ricordargli che doveva recarsi a Cuma e discendere negli inferi. Di nuovo, Enea compì il suo dovere e a Cuma riuscì a farsi aprire dalla Sibilla le porte dell’Ade. Lì incontrò l’ombra di Didone fra le anime dei suicidi per amore, e così apprese le conseguenze della sua partenza da Cartagine, ma vide anche il padre Anchise, che nei Campi Elisi gli rivelò il glorioso destino del popolo a cui avrebbe dato origine in Italia. Incoraggiato, Enea arrivò fino alla foce del Tevere e, dopo aver risalito il fiume, giunse in una città chiamata Pallanteo. Quella città segnava la fine del suo viaggio, poiché si ergeva in cima al colle Palatino, il luogo in cui un discendente di Enea, Romolo, avrebbe fondato Roma.

Enea si fermò due volte in Sicilia prima di arrivare alla sua destinazione finale. Tempio della Concordia, ad Agrigento. V secolo a.C.

Enea si fermò due volte in Sicilia prima di arrivare alla sua destinazione finale. Tempio della Concordia, ad Agrigento. V secolo a.C.

Foto: David Henderson / Age Fotostock

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