cultură şi spiritualitate
Redazione
29 maggio 2020, 07:00
La Bibbia racconta che Giuditta era una ricca e bella vedova di Betulia, una città ebrea preda d'assalto dagli assiri da 34 giorni. Ozia, il capo della città, stava pensando di arrendersi, e Giuditta, sicura che il Signore l'avrebbe protetta ed aiutata, decise di intervenire per salvare il suo popolo.
Indossò quindi suoi abiti migliori e, accompagnata dalla fedele ancella, si recò nell'accampamento nemico, dove venne catturata e condotta al cospetto del generale Oloferne. Giuditta gli raccontò di aver avuto una visione in cui Dio, offeso dal comportamento degli abitanti di Betulia, le chiedeva di aiutare il generale a conquistare la città.
Oloferne cadde nel tranello e fece organizzare un grande banchetto durante il quale volle che Giuditta sedesse al suo fianco. Dal canto suo la donna finse di essersi invaghita del generale, che mangiò e bevve fino ad ubriacarsi. Quando i festeggiamenti si conclusero, i due rimasero soli e Giuditta si rivolse a Dio perché guidasse la sua mano. Afferrò quindi la spada di Oloferne e gli tagliò la testa, che nascose in una bisaccia con l'aiuto dell'ancella. Poi, insieme, fecero ritorno a Betulia.
Il giorno dopo, mentre Giuditta veniva celebrata come un'eroina, la testa del generale assiro fu esposta sulle mura della città e l'esercito nemico si diede alla fuga.
Nel corso della storia le vicende di Giuditta e Oloferne sono state ampiamente rappresentate: dalle miniature medievali, passando per il Rinascimento fino a giungere all'età moderna. Ma è nell'età contemporanea che le opere pittoriche che ritraggono Giuditta – e in alcuni casi Oloferne – si moltiplicano in un trionfo di stili, tecniche e rappresentazioni diversissime.
Secondo alcune interpretazioni Giuditta ebbe così tanto successo nella storia dell'arte perché rappresenterebbe la difesa della patria: il suo coraggio e la sua fede la portarono a giocarsi il tutto per tutto pur di salvare il suo popolo. Altri propendono per il ritratto di una donna che finalmente reagisce ai continui attacchi e soprusi del genere maschile.
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Questa tempera su tavola di Sandro Botticelli, datata intorno al 1492, è lo scomparto destro di un dittico intitolato Scoperta del cadavere di Oloferne. È attualmente conservato presso la Galleria degli Uffizi, a Firenze.
Le due donne di questa composizione procedono con passo leggero, soprattutto l'ancella che porta la testa del defunto Oloferne. Giuditta sembra rivolgere lo sguardo alle sue spalle come per assicurarsi di non essere seguita dal nemico. Tiene in mano la sciabola, con cui ha appena decapitato Oloferne, e un rametto d'ulivo, simbolo della pace guadagnata con la sua impresa.
Foto: Pubblico dominio
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Questa tempera su tavola è attribuita a Andrea Mantegna e conservata nella National Gallery of Art di Washington. L'attribuzione è controversa, ma non toglie valore all'opera dai colori brillanti e variegati.
Giuditta, in piedi con l'arma ancora in mano, si trova in compagnia della sua ancella sotto la tenda di Oloferne, la cui testa sta per essere celata in un sacco.
Foto: Pubblico dominio
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Andrea Mantegna firma anche questa tempera a colla su tela di lino conservata nella National Gallery of Ireland di Dublino. L'opera si colloca negli ultimi anni di vita del maestro mantovano, che in quel periodo produsse diverse grisailles – pitture monocrome con vari toni di grigio.
Le analogie tecniche con la tela di Sansone e Dalila, firmata dallo stesso autore, hanno portato alcuni studiosi a credere che entrambe le opere decorassero gli appartamenti privati di Isabella d'Este nel Palazzo Ducale di Mantova. Anche in questo caso vediamo Giuditta e l'ancella sotto la tenda di Oloferne, intente a nascondere la testa del defunto in un sacco.
Foto: Pubblico dominio
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Giorgione firma quest'olio su tavola trasportata su tela conservato nell'Ermitage a San Pietroburgo. La critica si divide sull'attribuzione, ma tutto sembra indicare che appartenga alla fase giovanile di Giorgione. Il volto perfetto di Giuditta contrasta con quello tumefatto di Oloferne, la cui testa giace sotto i piedi della donna.
La composizione verticale, i colori e le vesti, rimandano a una bellezza nordica, ma la sua posizione richiama piuttosto una statua classica, l'Afrodite Urania di Fidia.
Foto: Pubblico dominio
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L'affresco Giuditta e Oloferne, di Michelangelo Buonarroti, fa parte della decorazione della volta della Cappella Sistina. Si tratta del pennacchio immediatamente a sinistra della porta d'ingresso, uno dei primi ad essere realizzati.
Nel dettaglio che esaminiamo si vedono Giuditta e l'ancella: quest'ultima porta sul capo un vassoio di metallo che contiene la testa di Oloferne mentre Giuditta si muove per coprirla con un panno. L'eroina biblica sembra rivolgere lo sguardo sulla destra, dove giace il corpo di Oloferne (non visibile nell'immagine).
Foto: Pubblico dominio
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Opera di Antonio Allegri, più conosciuto come Correggio, quest'olio su tavola è conservato al Musée des Beaux-Arts di Strasburgo. Sembra che sia un'esercizio privato di un giovane Correggio, che sceglie di rappresentare Giuditta in primo piano mentre nasconde senza troppe remore la testa del tiranno assiro mentre l'ancella lo mantiene aperto e allo stesso tempo regge la fiaccola che illumina la scena notturna.
Quest'ambientazione oscura è forse il tratto più particolare dell'opera, forse ispirata alle opere di Leonardo da Vinci e al suo sfumato. Giuditta è rappresentata come una dama bella ed elegante, tutto l'opposto della sua ancella, il cui volto espressivo è ritratto ai limiti della caricatura.
Foto: pubblico dominio
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Olio su tela dipinto intorno al 1597 da Caravaggio e attualmente conservato nella Galleria nazionale di arte antica di Roma. Giuditta, impegnata a decapitare Oloferne, è accompagnata da un'anziana ancella che sorregge il cesto in cui verrà posta la testa dell'assiro.
Si è ipotizzato che la Giuditta di Caravaggio fosse Fillide Melandroni, amica dell'autore, e il suo abbigliamento è tipico delle donne del suo tempo. Alla sua bellezza fa da contraltare la serva, anziana e poco aggraziata. Quest'opera è stata sottoposta ad analisi radiografica ed è emersa una prima raffigurazione dell'eroina con il seno scoperto, che nell'opera definitiva viene celato con una tela sottile.
Sembra che Caravaggio abbia dipinto una seconda versione di Giuditta e Oloferne, ma l'opera andò perduta nel corso del XVII secolo.
Foto: Pubblico dominio
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Si tratta di un olio su tela realizzato da Artemisia Gentileschi e conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze. Una versione precedente di quest'opera, dipinta nel 1612 circa, è invece al museo nazionale di Capodimonte a Napoli.
Questa seconda versione fu realizzata per Cosimo II de' Medici ma venne giudicata troppo realistica. Alcuni critici hanno visto in quest'opera una rivalsa dell'autrice rispetto alla violenza sessuale subita per mano dell'amico di famiglia Agostino Tassi. Questo dettaglio sarebbe ben rappresentato dalla forza fisica che le due donne – Giuditta e la sua ancella – esercitano su un sottomesso Oloferne, il cui sangue sprizza vivido in tutte le direzioni.
Foto: Pubblico dominio
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Anche quest'olio su tela conservato al Detroit Institute of Arts è opera di Artemisia Gentileschi ed è considerato uno dei più grandi dipinti della pittrice romana.
Le due donne ritratte si muovono all'unisono: Giuditta, bellissima nel suo abito di seta, nasconde la spada e protegge il suo volto dalla luce della candela mentre l'ancella avvolge rapidamente in un telo la testa di Oloferne.
Foto: Dominio pubblico
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