cultură şi spiritualitate
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Autore: Giuseppe Nifosì Pubblicato in L’età rinascimentale: il Quattrocento – Data: Dicembre 23, 2022
A Venezia la tradizione del Gotico internazionale sopravvisse a lungo: la cultura artistica del Rinascimento iniziò a radicarsi solo intorno alla metà del Quattrocento, quando a Firenze una gran parte delle principali esperienze era già matura. In pochi anni, tuttavia, i pittori veneti riuscirono ad assorbire rapidamente dall’entroterra padovano gli stilemi e le aspirazioni della nuova arte, giungendo a sviluppare una cultura figurativa assolutamente originale e caratteristica, tale da contrapporsi a quella toscana. L’Annunciazione del Crivelli.
Gli artisti veneti, per indole e tradizione, non apprezzarono mai fino in fondo la prospettiva fiorentina che reputarono troppo teorica e astratta, dunque troppo slegata dall’esperienza visiva. Pur accettandone i princìpi generali, mantennero infatti una coscienza dello spazio inteso come qualcosa che si vede e si sente con immediatezza, senza troppi filtri razionali. Questo percorso di maturazione artistica partì dalle esperienze di Carlo Crivelli, una delle più interessanti figure d’artista della pittura italiana.
Carlo Crivelli fu originario di Venezia. Di lui sappiamo pochissimo, per l’esiguità delle fonti documentarie. Anche la data di nascita ci è ignota. Si suppone sia nato attorno agli anni 1430-1435 perché doveva essere già adulto quando, nel 1457, fu condannato a sei mesi di carcere per una torbida vicenda sentimentale. Scappò infatti con la moglie di un marinaio e, leggiamo dagli atti del processo, «la tenne nascosta per molti mesi, avendo con lei rapporti carnali con disprezzo di Dio e dei sacri vincoli del matrimonio». A seguito di questo scandalo, Crivelli abbandonò Venezia. A Padova, dove trascorse alcuni anni, subì l’influenza di Donatello.
Dal grande maestro toscano, acquisì il culto per la prospettiva e il disegno incisivo, mitigandoli con un gusto squisito per la decorazione elegante, la resa dei dettagli, la libera espressione della fantasia. Le sue scene sono infatti arricchite da particolari minuti che invitano al godimento del fasto, del lusso, della preziosità: arabeschi dorati, tessuti preziosi, marmi screziati, frutti, animali riempiono gli ambienti in cui si muovono i protagonisti della sua pittura, spazi peraltro resi con effetti prospettici efficaci e credibili.
Esemplificativa del suo stile è l’Annunciazione, una delle opere più celebri dell’artista, firmata e datata 1486. Si tratta di una pala d’altare dipinta ad Ascoli, nelle Marche, per la Chiesa della Santissima Annunziata. La scena è ambientata in una via cittadina, mostrata attraverso un vertiginoso scorcio prospettico. A sinistra, l’arcangelo Gabriele, appena planato dal cielo, si inchina alla Vergine con il giglio in mano, sorprendendola in casa mentre, inginocchiata davanti al leggio, è raccolta nella lettura delle Sacre Scritture.
Con la mano destra, Gabriele indica il cielo, alludendo a Dio che lo ha mandato. Dio Padre è raffigurato come un alone di luce circondato da angeli, da cui parte un raggio divino che, attraverso un buco nella parete, guida il volo dello Spirito Santo, in forma di colomba.
Accanto a lui riconosciamo sant’Emidio, patrono di Ascoli, che porta in mano un modellino della città. La sua presenza è davvero insolita nel contesto di un’Annunciazione e la si spiega ricordando che il dipinto fu commissionato per celebrare l’autonomia comunale, concessa dal papa alla città di Ascoli.
La strada è affollata dai cittadini della Ascoli rinascimentale: magistrati, frati, comuni passanti. Un bambino sbircia, a sinistra, da un parapetto, dove si affacciano anche due frati e un magistrato.
L’occhio dell’osservatore, catturato da questo scorcio di vita quotidiana, non può fare a meno di inseguire i tappeti stesi al sole, gli alberi, le gabbiette con gli uccellini, le colombe sui pali, il cetriolo, che sporge in primo piano verso lo spettatore, e la mela perfettamente ombreggiata.
Anche la stanza di Maria è meravigliosamente descritta in ogni dettaglio: gli oggetti sopra la mensola, la bottiglia di vetro, la candela accesa, il letto accuratamente rifatto, la finestra con la grata, l’alberello nel vaso, il tappeto sul bordo della loggia. Ogni materiale (i legni, le stoffe) è reso con eccezionale padronanza.
La prospettiva è accuratissima, ed è perfettamente resa dagli edifici che creano uno sfondato prospettico a imbuto verso sinistra, e soprattutto dalla grata che chiude la finestra di Maria.
Gli oggetti e gli animali compaiono nella scena con significato simbolico. Il letto rifatto indica la vita casta e virginale di Maria; la bottiglia di vetro è simbolo di purezza, la candela accesa di fede; l’alberello in vaso posto sulla finestra, accanto alla grata, allude all’hortus conclusus, ossia al Paradiso Terrestre, che venne chiuso agli uomini a seguito del peccato originale. Il pavone, qui presente come esotico animale domestico, è simbolo cristologico di immortalità.
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