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L’Accademia platonica: la prima scuola di filosofia

Accademia platonica Platone nella sua Accademia, disegno di Carl Johan Wahlbom

Quando nasce l’Accademia platonica? Come si svolgevano le lezioni? Da chi era frequentata? Qual è stato lo scopo della sua esistenza? Il filosofo Enrico Berti, anche presidente onorario dell’Istituto internazionale di Filosofia, raccoglie a tal proposito frammenti, testimonianze e informazioni. Nello scritto “Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone” egli ricostruisce la vita e la storia del polo culturale e filosofico più importante dell’Occidente nel IV secolo a.C.

La nascita dell’Accademia Platonica

Dopo la morte di Socrate, avvenuta nel 399 a.C., Platone intraprese una serie di viaggi che lo portarono ad essere prigioniero del tiranno Dionisio il Vecchio. Da Diogene Laerzio, autore della biografia dei filosofi antichi, apprendiamo che in seguito Anniceride, filosofo socratico, riuscì a liberarlo e gli regalò un giardino.

Quest’ultimo divenne, forse nel 387 a.C., sede dell’Accademia platonica. L’edificio si trovava all’interno di un ginnasio, ma nell’area antistante sorgevano: un tempio, una statua dedicata ad Atena e una ad Apollo e, infine, quella per l’eroe Academo da cui la struttura prende il nome. Oggi potremmo dire che l’Accademia era un luogo ideale per rinvigorire il corpo (nel ginnasio) e arricchire la mente (mediante la pratica filosofica).

A frequentare le lezioni dello scolarca, cioè del capo della scuola, vi erano circa venti discepoli, perlopiù stranieri, tra cui due donne. Sicuramente tra i più illustri va menzionato Aristotele, che da allievo divenne maestro di retorica dell’Accademia. Egli vi rimase fino all’età di 37 anni, quando cioè morì Platone (348-347 a.C).

Questo dato ci dà già una prima idea della peculiarità della scuola di Platone rispetto alle altre. Qui, infatti, per molti anni convissero filosofi le cui teorie erano spesso in contrapposizione tra loro. L’Accademia platonica, infatti, non si rifaceva a regole ben precise. Potremmo dire, anzi, che il vero principio di fondo era improntato sulla libertà di pensiero. Ciò le consentì di diventare ben presto il più grande centro culturale dell’antichità.

Le lezioni all’Accademia Platonica

Accademia platonicahttps://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2019/11/Platon_Academia-Mosaico-292x300.jpg 292w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2019/11/Platon_Academ... 409w" sizes="(max-width: 253px) 100vw, 253px" /> La vita nell’Accademia di Platone – Mosaico del I sec a.C.

Dal mosaico che ritrae la vita nell’Accademia di Platone, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, si evince la modalità con la quale si svolgevano le lezioni. Platone è presentato al centro della scena e si trova seduto sotto un albero. Intorno a lui ci sono i discepoli intenti ad ascoltarlo con in mano dei rotoli da leggere. Deduciamo, dunque, che le lezioni si svolgevano all’aria aperta.

Sappiamo per certo che nell’Accademia si studiava geometria, ottica, meccanica, astronomia e matematica. Quest’ultima era considerata propedeutica alla filosofia, perché avvalendosi del ragionamento preparava il terreno per lo studio della pura filosofia. Ricordiamo, tra l’altro, che per Platone la matematica si occupava di cose incorporee ed intelligibili, quindi era paradossalmente molto più vicina alla filosofia di altre discipline. La filosofia vera e propria era invece improntata sull’utilizzo del metodo dialettico. Enrico Berti scrive a tal proposito:

IL DIALETTICO È COLUI CHE “PASSA ATTRAVERSO TUTTE LE CONFUTAZIONI”, CIOÈ CHE SOTTOPONE LE SUE IPOTESI ALL’ESAME DEGLI ALTRI, I QUALI CERCANO IN TUTTI I MODI DI CONFUTARLO. SOLO LA TESI CHE RIESCE A SUPERARE “TUTTE” LE CONFUTAZIONI PUÒ CONSIDERARSI FONDATA SU UN “RAGIONAMENTO ADEGUATO”.

Veniva, dunque, posto un quesito e tutti erano chiamati ad argomentare secondo il proprio punto di vista. Dalle diverse testimonianze emerge che i problemi più rilevanti posti nell’Accademia platonica furono quattro.

Il moto degli astri

Il primo problema posto è attinente all’astronomia e riguarda la ricerca di una spiegazione in grado di ricondurre i moti irregolari dei fenomeni celesti a quelli regolari della Terra. A tal proposito il matematico e astronomo Eudosso di Cnido elabora una delle teorie più accreditate: quella delle sfere omocentriche. Stando alla sua argomentazione, il sole e la luna si muoverebbero nell’ambito di tre sfere. Queste, pur avendo lo stesso centro, presenterebbero dimensioni diverse. La tesi viene poi revisionata e corretta da Callippo.

Per un altro allievo, Eraclite Pontico, se si considera che al centro c’è la Terra che si muove su se stessa mentre intorno c’è il cielo immobile, allora è possibile salvare i fenomeni celesti. A lui vengono attribuite anche tesi fantasiose, ma in linea di massima molte saranno fondamentali per i futuri sviluppi scientifici. Durante la vecchiaia lo stesso Platone avrebbe modificato i termini del quesito richiamandosi alla tesi di Filolao. Quest’ultimo sosteneva che al centro dell’universo non vi fosse la Terra, ma un fuoco intorno al quale quella ruotava.

La dottrina delle idee

Il secondo problema è quello che concerne la dottrina platonica delle Idee. Infatti, nel dialogo intitolato “Parmenide“, è lo stesso Platone che proprio nel ruolo di Parmenide inizia a dubitare della sua teoria, non priva di ambiguità. Problematico è il rapporto di partecipazione che intercorre tra Idee e cose sensibili, così come è difficile immaginare che vi siano Idee senza un oggetto e cioè pensieri esterni alla nostra mente. Se poi le Idee sono l’unica cosa vera, che ne è della scienza e della matematica? A fine dialogo emerge la concezione che solo pochi soggetti siano in grado di filosofare e comprendere la necessità delle Idee.

Anche stavolta tra i protagonisti del dibattito c’è Eudosso, che sostiene la possibilità di una mescolanza tra Idee e cose sensibili. La tesi però genera molte obiezioni all’interno dell’Accademia platonica. Per mescolarsi, infatti, l’idea dovrebbe essere materiale e non imperitura. Da Aristotele apprendiamo che ad intervenire è anche Speusippo, nipote di Platone, e suo successore come scolarca dopo la sua dipartita. Egli sostituisce le idee con i numeri, che rimangono quindi separati dagli oggetti sensibili. Anche Senocrate, scolarca successore di Speusippo, avrebbe identificato i numeri ideali con quelli matematici.

Aristotele, invece, è sostenitore dell’argomento del terzo uomo (di cui non è artefice). Berti lo riassume così:

SE INFATTI, ARGOMENTA ARISTOTELE, PER IL FATTO CHE UNO STESSO PREDICATO SI PREDICA CON VERITÀ DI MOLTI UOMINI PARTICOLARI, SI DEVE AMMETTERE L’ESISTENZA DI UN’IDEA DI UOMO, CIOÈ DELL’“UOMO STESSO”, ALLORA, POICHÉ LO STESSO PREDICATO “UOMO” SI PREDICA CON VERITÀ ANCHE DELL’“UOMO STESSO”, CIOÈ DELL’IDEA DI UOMO […] SI DOVRÀ AMMETTERE UNA NUOVA IDEA, CIOÈ UN “TERZO UOMO”.

In tal modo invece di portare la molteplicità all’unità si finisce per fare il contrario.

Principi e piaceri

Il terzo problema che anima l’Accademia platonica riguarda i principi, cioè la causa alla quale le Idee devono essere ricondotte. Nel caso di Platone ci sarebbero due principi: l’Uno cioè il Bene/l’Essere e la Diade cioè il grande-piccolo. Il primo darebbe la forma e il secondo la materia. Speusippo avrebbe poi parlato di principi come l’Uno (che però non coincide con il Bene), i Molti e diversi altri sempre attinenti ai numeri.

Con Senocrate vi è, invece, una divinizzazione dell’Uno e della Diade, identificate rispettivamente in Zeus e la madre delle divinità. Per Aristotele forma e materia permangono, anche se sono legati alle cose sensibili. Egli introduce, però, anche la causa finale e quella efficiente. Il bene supremo va rintracciato in ciò che racchiude tutte le cause, cioè il primo motore immobile.

Il quarto problema è quello del piacere, che chiama in causa proprio il rapporto tra quest’ultimo e il bene. Per Eudosso il piacere coincide col bene, giacché tutti tendono al piacere. Al contrario Speusippo ritiene che nessun piacere possa essere considerato come un bene. Inoltre a ricercare il piacere sarebbero solo animali e bambini.

Nel Filebo, invece, Platone sostiene che il piacere è un bene se viene associato alla saggezza. Non va inteso come tale in senso assoluto. Aristotele, diversamente, nell’Etica Nicomachea sostiene che il piacere non è un bene supremo, cioè non è il bene in sé e per sé, ma resta comunque un bene. La riflessione dello stagirita può essere sintetizzata nelle parole del britannico Gwilym Ellis Lane Owen, che scrive:

L’ATTIVITÀ DEL PENSIERO È QUELLA IN CUI CONSISTE IL SOMMO BENE, CIOÈ LA FELICITÀ, E AD ESSA SI ACCOMPAGNA IL PIÙ GRANDE PIACERE. PERCIÒ IL PIACERE NON È IL SOMMO BENE, CIOÈ LA FELICITÀ, MA È IL COMPLEMENTO INDISPENSABILE DI ESSA.

Lo scopo dell’Accademia platonica

accademia platonicahttps://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2019/11/laccademia-di-platone-berti-202x300.jpg 202w, https://www.lacooltura.com/wp-content/uploads/2019/11/laccademia-di... 283w" sizes="(max-width: 212px) 100vw, 212px" /> La copertina del libro di Enrico Berti

Tutto il lavoro portato avanti nell’Accademia platonica ha uno scopo ben preciso: l’impegno politico. L’esercizio della dialettica, l’intento di perseguire la verità filosofica avevano una finalità tutt’altro che astratta. Lo stesso Platone è il primo a farsi portavoce di questo nobile fine. Nei viaggi che lo condussero in Sicilia, egli cercò di contrastare la tirannide di Dionisio I e successivamente di Dionisio II.

Lo stesso Isocrate, considerato nemico di Platone e dell’Accademia platonica, riconosce a quest’ultima una finalità politica, quando nel Panegirico invita i Greci a combattere contro i Persiani. In effetti molti membri dell’Accademia furono politicamente impegnati e lo stesso Aristotele istruì Alessandro il Grande.

Anche Enrico Berti, nello scritto esaminato, accentua il fatto che l’Accademia platonica, però, deve essere stata anche molto più di questo. Oltre allo studio condiviso della filosofia, vi era anche un’atmosfera conviviale, che rese possibile la nascita di numerose amicizie tra molti degli uomini più saggi di quel tempo. Questo spiega perché in memoria di quel periodo, Aristotele nell’Etica Nicomachea parla per la prima volta di sumphilosophein.

Lo stagirita scrive:

E QUELLO IN CUI PER CIASCUNO CONSISTE L’ESSERCI, CIÒ PER CUI [GLI UOMINI] DESIDERANO VIVERE, È PROPRIO CIÒ IN CUI VOGLIONO PASSARE IL LORO TEMPO CON GLI AMICI; PER QUESTO VI È CHI BEVE INSIEME, ALTRI GIOCANO A DADI, ALTRI FANNO GINNASTICA IN COMUNE O VANNO A CACCIA, O FANNO INSIEME FILOSOFIA (SUMPHILOSOPHOUSIN). E TUTTI PASSANO LA LORO GIORNATA FACENDO QUELLA COSA CHE AMANO SOPRA OGNI ALTRA, TRA TUTTE QUELLE CHE COMPONGONO UNA VITA.

Giuseppina Di Luna

Bibliografia:
  • Enrico Berti, Sumphilosophein. La vita nell’Accademia di Platone, ed. Laterza, Roma-Bari 2011.
  • Aristotele, Etica Nicomachea, ed. Laterza, Roma-Bari 2005.
  • G.E.L. Owen, Aristotelians Pleasures, in J. Barnes, M. Schofield and R. Sorabji (eds.), Articles on Aristotle, Duckwort, London 1977, vol. II

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