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Nei suoi popolarissimi romanzi di avventure, Jules Verne raccontò i due grandi sogni del XIX secolo: l’esplorazione del mondo e il progresso tecnologico


Le biografie di Jules Verne raccontano un aneddoto, probabilmente apocrifo, sul fatto che sin da piccolo fosse attratto dall’avventura. Dicono, infatti, che a undici anni scappò di casa per arruolarsi come mozzo sulla nave mercantile Coralie e che il padre lo fece scendere poco prima che questa salpasse per l’India. A destare, però, la sua passione letteraria furono le storie che gli raccontava la maestra di scuola, moglie di un marinaio, così come la vista del molo dalla sua finestra. Quella selva di alberi maestri, di bandiere colorate e il viavai degli uomini sui pontili gli fecero sognare di avventurarsi per mari inesplorati.

Jules Verne era nato in una famiglia borghese di Nantes, sulla Loira, l’8 febbraio del 1828. Suo padre, Pierre Verne, era notaio, erede di una stirpe di avvocati. La madre, Sophie Allotte, apparteneva a una casta di militari. La casa di famiglia si trovava in un quartiere esclusivo della città nella quale la maggior parte dei lussuosi palazzi apparteneva ad armatori di navi. Per quegli uomini, arricchitisi grazie all’“oro nero” della tratta degli schiavi, il XVIII secolo fu un periodo di particolare splendore: il vicino porto era infatti lo scalo dei vascelli negrieri diretti verso gli Stati Uniti. Ancora oggi, sulle facciate degli edifici si possono osservare le decorazioni predilette di questi commercianti: bassorilievi di esseri mitologici, di indiani, di africani e perfino di membri della famiglia del mercante. In Un capitano di quindici anni (1878) lo scrittore condannò «l’abominevole traffico dei carichi di ebano» della sua città. Negli anni del liceo, durante i quali vinse un premio di geografia, prese a collezionare riviste scientifiche. Divorò libri di avventure, come Robinson Crusoe e Ivanhoe, e dedicò poesie al suo primo amore, mademoiselle Caroline. Il rifiuto della giovane, promessa sposa a un visconte, frenò la vena artistica di Verne che, deluso, accettò il consiglio paterno di studiare legge a Parigi. Per recarvisi viaggiò su due mezzi di trasporto che lo affascinarono particolarmente: il piroscafo, o nave a vapore, e il treno.

Jules Verne, qui in una foto colorizzata del 1880, sosteneva che ogni dato geografico e scientifico contenuto nelle sue opere «è stato esaminato nel dettaglio ed è sicuramente esatto»

Jules Verne, qui in una foto colorizzata del 1880, sosteneva che ogni dato geografico e scientifico contenuto nelle sue opere «è stato esaminato nel dettaglio ed è sicuramente esatto»

Foto: Akg / Album

La vita parigina

Lo scrittore arrivò così a Parigi nel 1847, alla vigilia della rivoluzione liberale che avrebbe rovesciato il re Luigi Filippo I e proclamato la repubblica democratica. Malgrado il fermento politico, Verne si limitò a frequentare la bohème del Quartiere latino che, al tramonto del Romanticismo, ammirava Balzac, Hugo e Musset; si introdusse nel salotto letterario di madame de Barrère ed entrò in contatto con Alexandre Dumas figlio, che gli diede qualche suggerimento. Grazie al suo appoggio, infatti, scrisse opere teatrali, racconti brevi e libretti d’opera e, contro la volontà paterna, rinunciò a lavorare come avvocato. Al Cercle de la presse scientifique strinse amicizia anche con il famoso Nadar. Il fotografo aereo, che nel 1862 avrebbe immortalato la Ville Lumière da una mongolfiera, contagiò Verne con la sua passione per il volo aerostatico. Furono quelli anni di fame, destinati a causargli dei problemi digestivi cronici, ma anche di frenetiche letture. Lo scrittore alternava libri di matematica e di astronomia ad altri come L’incomparabile avventura di un certo Hans Pfall, di Poe, che racconta un viaggio in pallone aerostatico sulla luna. Dopo un impiego come segretario nel Théâtre Lyrique, lavorò come agente di borsa finché, a 24 anni, entrò nella redazione della rivista letteraria Musée des familles per occuparsi della sezione scientifica.

Più avanti conobbe Honorine Deviane, una vedova di Amiens che aveva due figlie, e la sposò nel 1857. Il matrimonio non gli apportò la stabilità che avrebbe voluto. Sentì piuttosto che lo soffocava e quindi, per sfuggire alla monotonia del focolare, viaggiò in Scozia, Norvegia e Danimarca. La coppia ebbe un figlio, Michel, che gli diede non pochi grattacapi perché, pur divenendo in seguito uno scrittore accettabile, non cessò di deludere i genitori e scandalizzarli per le sue storielle con attrici, da una delle quali ebbe un figlio illegittimo.

Lo scrittore incontra l’editore

Nel 1862 avvenne un incontro decisivo. Jules Verne consegnò all’editore Pierre-Jules Heztel un manoscritto che univa letteratura e divulgazione scientifica. Si trattava di Cinque settimane in pallone, descrizione dei voli dell’amico Nadar. Il libro si rivelò un successo senza precedenti. Lo stesso Verne lo avrebbe riferito con queste parole: «Ho appena scritto un romanzo in una forma nuova, un’idea tutta mia. Se avrà successo, aprirà un nuovo filone, ne sono sicuro». Hetzel la vide allo stesso modo. Quando però lo scrittore gli portò un manoscritto futuristico intitolato Parigi nel XX secolo, l’editore lo rifiutò perché gli sembrava pessimista e molto tecnico. «Darebbe l’impressione che quello del pallone sia stato solo un caso felice», gli disse, e consigliò a Verne di tornare al suo stile originale.

Verne fu testimone degli eventi che portarono all’abdicazione di Luigi Filippo I nel 1848. Quest’olio di Eugène Hagnauer evoca la confusione seguita all’attacco del palazzo delle Tuileries

Verne fu testimone degli eventi che portarono all’abdicazione di Luigi Filippo I nel 1848. Quest’olio di Eugène Hagnauer evoca la confusione seguita all’attacco del palazzo delle Tuileries

Foto: Bridgeman / Aci

   

L’astuto Hetzel gli propose un contratto sostanzioso che, però, scritte in piccolo imponeva clausole infami. Verne si impegnava a scrivere due romanzi all’anno per la casa editrice in cambio di 20.000 franchi annuali per i diritti d’autore. Una somma senz’altro elevata, che però condannò l’autore a una produzione letteraria a cottimo per il resto della sua vita. Alla ricerca di tranquillità per poter scrivere al ritmo frenetico imposto dal contratto con Hetzel, l’autore si stabilì ad Amiens, lontano dal «rumore insopportabile» e dall’«agitazione sterile» di Parigi. Nella calma del suo studio lavorava dalle cinque alle undici. La casa si trovava vicino alla stazione, e quindi di tanto in tanto si recava nella capitale o al porto di Le Crotoy, dove scioglieva gli ormeggi alla sua barca – ne ebbe tre, tutte con il nome di Saint Michel – per dedicarsi alla navigazione, il suo grande amore. Verne si integrò appieno nella vita sociale della città e divenne consigliere per l’educazione, i musei e le feste. Tra i suoi apporti, si può contare la costruzione di un circo, commissionato all’architetto Émile Ricquier, discepolo di Eiffel. La passione circense si rifletté nel romanzo César Cascabel (1890), che racconta le peripezie in carretta di una famiglia di saltimbanchi, i quali cercano di tornare nella natia Francia passando attraverso i luoghi vergini e i deserti di ghiaccio nella parte occidentale degli Stati Uniti e in Siberia.

Verne concepì la maggior parte delle sue opere di avventura, poi raccolte nella collana Viaggi straordinari, nella calma di Amiens. E scrisse fino all’anno della sua morte, nel 1905. Nel prologo alle Avventure del capitano Hatteras (1864-1865), Hetzel affermò che l’obiettivo della collana consisteva nel «riassumere tutte le conoscenze geografiche, geologiche, fisiche e astronomiche accumulate dalla scienza moderna e riscrivere, con la forma che le è propria, la storia dell’universo».

Viaggi straordinari e progresso

I primi libri, di piccolo formato, uscirono a puntate sul Magasin d’Education et de Récréation. Tuttavia, ben presto Hetzel si rese conto che avrebbero avuto successo pure in un formato più grande e con una copertina illustrata. Nacque così l’idea delle celebri copertine dei Viaggi straordinari, concepite grazie alla tecnica del cartonaggio, che consisteva nel rilegare i libri con una copertina di cartone, poi foderata da una tela riccamente decorata. La popolarità dei romanzi di Verne spinse l’editore a imitare l’estetica dei libri e a rinnovarla secondo i gusti del pubblico. Le prime opere dei Viaggi straordinari sono un inno alla felicità che il progresso avrebbe comportato per gli uomini, e a raggiungere tale conquista sociale avrebbero contribuito la scienza e la sua divulgazione tramite i romanzi. Lo scrittore, infatti, univa nelle sue opere le letture romantiche della gioventù, le idee del Socialismo utopico e del Positivismo basato sulla ragione.

Anche se si servì della mongolfiera per fotografare Parigi, Nadar credeva, al pari di Verne, che il futuro dell’aviazione risiedesse in oggetti più pesanti dell’aria, spinti da eliche o potenti motori

Anche se si servì della mongolfiera per fotografare Parigi, Nadar credeva, al pari di Verne, che il futuro dell’aviazione risiedesse in oggetti più pesanti dell’aria, spinti da eliche o potenti motori

Foto: Atelier de Nadar / RMN-Grand Palais

Le storie di Verne comparvero in un momento di ottimismo collettivo, favorito dalla Rivoluzione industriale in Francia e dalla stabilità politica del governo di Napoleone III. Per questo i protagonisti dei viaggi sono sempre esploratori che hanno un atteggiamento positivo, e ai quali le macchine migliorano la vita.

In Cinque settimane in pallone, il saggio inglese Samuel Fergusson percorre in compagnia di un servitore e di un amico il continente africano a bordo di una mongolfiera gonfiata a idrogeno. In Ventimila leghe sotto i mari (1869), il biologo francese Pierre Aronnax, a bordo della fregata Abraham Lincoln, cade in mare e finisce nel sottomarino Nautilus del leggendario capitano Nemo. Dal canto suo Viaggio al centro della terra (1864) racconta la spedizione di un professore di mineralogia, il dottore tedesco Otto Lidenbrock, da un vulcano dell’Islanda fino al nucleo del pianeta. E nell’Isola misteriosa (1874), l’equipaggio di un pallone a gas naufraga in un’isola sotto la quale si nasconde il regno acquatico del capitano Nemo.

Con il passare del tempo, tuttavia, i suoi libri diventarono sempre più pessimisti. Alla fine del secolo le potenze europee si contendevano gli imperi coloniali, e la scienza e la tecnologia si misero al servizio dell’industria e del capitale. Verne cominciò a nutrire dei dubbi nei confronti del progresso e spostò i suoi personaggi da luoghi ancora vergini a mondi più riconoscibili. È il caso, per esempio, del romanzo Il raggio verde (1882), in cui una spinta romantica conduce i protagonisti verso le coste della Scozia per osservare tale fenomeno atmosferico. O del Castello dei Carpazi (1892), romanzo dalle suggestioni gotiche e vampiresche ambientato in Transilvania. Nel prologo a quest’ultimo, Jules Verne si lamenta che alla fine del «pragmatico XIX secolo» non ci sia più nessuno a inventare leggende, nemmeno nei paesi più magici.

Il padre della fantascienza

L’Europa di Jules Verne visse un profondo cambiamento. Le fabbriche, le tecnologie, la macchina a vapore, il telegrafo e le comunicazioni trasformarono il mondo e lo rimpicciolirono: l’apertura del canale di Suez, la prima ferrovia transcontinentale negli Stati Uniti o la Transiberiana in Asia accorciarono, infatti, le distanze. I nuovi mezzi di comunicazione di massa fornirono notizie precise di tali conquiste. Era il terreno ideale perché lo scrittore francese vaticinasse il progresso tecnologico del XX secolo. E così, assieme a H.G. Wells, Verne si eresse a uno dei padri della fantascienza. Ma quest’adorazione per la scienza del futuro non fu premeditata ed era dovuta soltanto al suo zelo da divulgatore: «Io mi sono limitato a rendere finzione ciò che in futuro sarebbe diventato una certezza, e il mio scopo non era profetizzare, bensì diffondere la conoscenza della geografia tra i giovani», affermò in un’intervista del 1902.

Nel 'Padrone del mondo' Verne immaginò un veicolo che viaggiava via terra, mare e aria: lo Spavento. Nell’immagine, in una ricostruzione, ad ali spiegate

Nel 'Padrone del mondo' Verne immaginò un veicolo che viaggiava via terra, mare e aria: lo Spavento. Nell’immagine, in una ricostruzione, ad ali spiegate

Foto: Leemage / Prisma Archivo

Le invenzioni o le realtà che immaginò Verne anticiparono i tempi. Alcune si avverarono: il sottomarino, le navicelle sulla luna, le capitali sovrappopolate, il telefono, le guerre batteriologiche e le videoconferenze. Altre no, come i giornali parlanti e i trasformatori solari che uniformano le stagioni. Tutte, però, nacquero grazie a un’immaginazione prodigiosa e a una fede cieca nel progresso: «Il mio lemma è sempre stato l’amore per il bene e per la scienza», affermava.

La sua opera contribuì anche a guardare in modo nuovo il paesaggio, la cui percezione subì cambiamenti rivoluzionari nel XIX secolo. Sin dall’antichità la visione tradizionale dello spazio era stata frontale, e da questa prospettiva Michele Strogoff, il corriere dello zar, osservava l’orizzonte durante la sua missione per i vasti spazi che separano Mosca da Irkutsk. Tuttavia, il treno portò con sé una percezione laterale dello spazio, perché i viaggiatori guardavano il paesaggio da un finestrino, il che anticipava due nuovi linguaggi: il cinema e i fumetti. Grazie alla velocità del nuovo mezzo di trasporto, Phileas Fogg e il suo inseparabile maggiordomo Passepartout coprono in treno la maggior parte di Il giro del mondo in ottanta giorni (1872). Non solo: lo sguardo degli uomini nella Belle Époque si alzò anche verso il cielo. In Cinque settimane in pallone gli esploratori osservano la terra dall’alto. In Dalla Terra alla Luna (1865), e nell’adattamento cinematografico di Méliès, gli astronauti contemplano panorami simili a quelli poi scrutati dall’equipaggio dell’Apollo 8. Quello stesso sguardo si dirige anche verso il mondo sotterraneo in Viaggio al centro della Terra, e verso le profondità insondabili dell’oceano in Ventimila leghe sotto i mari, dove il capitano Nemo ne percorre i fondali a bordo del Nautilus. I lettori avevano assunto una visione verticale del paesaggio, e i romanzi di Verne riflettono questa rivoluzione visiva dei tempi moderni.

Per amore delle mappe

La vita sedentaria non impedì allo scrittore di viaggiare con la mente, e così fece in Dalla Terra alla Luna e in altre opere. Nel 1894 andò a intervistarlo Mary A. Belloc, una redattrice della rivista The Strand Magazine. Quando gli chiese qual era la base delle sue idee scientifiche, Verne rispose: «Il segreto risiede nel fatto che mi sono sempre appassionato alla geografia. Credo che sia stato il mio interesse per le mappe e per i grandi esploratori del mondo a spingermi a scrivere i romanzi». Forse per questo, nella sua casa di Amiens, richiama l’attenzione un mappamondo adagiato sulla scrivania dello studio, la cui superficie è segnata dalle incisioni del compasso con cui lo scrittore misurava le distanze.




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