cultură şi spiritualitate
Non conosco parente che, più di Angela Zanotti, vedova di Carlo Gajani, sia rimasto maggiormente legato e devoto alla memoria del proprio congiunto, fino a uscir fuori da un agiato appartamento nel centro di Bologna per farne la sede di una Fondazione dedicata al sacro nome del marito. Altre vedove, e anche figli, si sono affrettati a sbarazzarsi delle opere del loro artista, o hanno tentato di ricavarne qualche frutto, anche pecuniario. Tanta devozione induce la nostra Angela a non mancare di ricordare il decennale della morte di Carlo con una rassegna riassuntiva della sua opera, ospitata nella bella sede del Liceo Arcangeli, già Istituto d’arte, da cui sono usciti tanti validi talenti bolognesi. Anch’io per mia parte non ho mai mancato di fornire attestati della profonda stima e amicizia che mi legava a Carlo, quindi in quest’occasione mi riesce agevole stendere una sintesi dei molti interventi precedenti. Ricordando, in partenza, quella professione medica che sul Nostro non ha mancato di stampare qualche traccia, avvolta in un processo che potremmo dire di amore-odio, tanto da indurlo a gettarla alle ortiche, salvo poi ad approfittarne per ottenere, alla Accademia di Belle Arti di Bologna, un insegnamento di anatomia.
Ma in partenza Carlo aveva nutrito qualche fiducia negli strumenti della sua attività, tanto da spingerli a immersioni nel nostro più segreto apparato fisico, glandolare, intestinale. Ciò avveniva in una belle serie di incisioni in cui il nostro artista, come salito su un sommergibile miniaturizzato, conduceva delle indagini sui nostri segreti corporali, ma ben presto si era riportato a galla, e aveva abbracciato il mito del Narciso che si specchia alla fonte, data, questa, ai nostri tempi, dalla fotografia, uno strumento che permetteva all’artista di coltivare alcuni aspetti contrastanti, senza dubbio il narcisismo, indagando a fondo sulle proprie sembianze, ma subito congiunto al richiamo di eros. Infatti il nudo femminile si affacciava, premeva, si dilatava in quello specchio fedele.
Carlo Gajani, Autoritratto (1965-1966; acrilico e tempera su tela, 80 x 80 cm) |
Carlo Gajani, Senza titolo (1969; acrilico su tela, 280 x 180 cm) |
Carlo Gajani, Are you looking at us |
Carlo Gajani, I coniugi Smit (1965; acrilico e tempera su tela, 150 x 140 cm) |
Magari si può parlare anche della fatale coppia eros-thanatos, in quanto le immagini femminili, o gli stessi volti dell’artefice, erano pesantemente orlati da fondi scuri, contro cui però contrastavano squarci di cromatismo acceso, improntati ai colori delle spettro cromolitografico. Naturalmente urge ricordare, per simili procedimenti, l’influenza poderosa di un idolo lontano e presente nello stesso tempo, Andy Warhol, il che anche ci porta a parlare di Pop Art, un fenomeno che non ha avuto molta ospitalità, qui a Bologna, se si eccettuano i casi di Concetto Pozzati, intento, nel ricordo di un talento ereditato dal padre e dallo zio, a compilare aggressive sigle pubblicitarie; o di Piero Manai, che ai suoi inizi ci offriva un panorama di utensili precisi, appuntiti, quasi laceranti.
Carlo associava brillantemente l’uso dello strumento fotografico a un agile, acuto, ingegnoso intervento di forbici. Dal riporto fotografico ritagliava lembi, aree, tratti di superficie, come fossero ingegnose ed enigmatiche ombre cinesi. Queste larghe falde sottratte ai corpi viventi, e accumulate quasi sul tavolo di un industre sarto, venivano poi ricomposte, incastrate le une nelle altre, e affidate a un gioco alterno tra zone d’ombra, neri corvini, e invece improvvisi fiotti luminosi. Una tecnica del genere ha permesso a Gajani di darci una straordinaria galleria di personaggi famosi da cui la vita culturale bolognese è stata dominata a partire dagli anni Settanta, venissero essi da fuori, come Arbasino, Moravia, Pasolini, o fossero ben inseriti nel nostro panorama domestico, come nel caso di Zangheri, o di Bartoli, o di Bonfiglioli.
Artisti, critici, scrittori, galleristi entravano in questo pantheon, redatto in grandi formati, quasi da potersi appendere come murali, come solenni epigrafi in cui il quotidiano si sposava benissimo col monumentale. Ma probabilmente il passo più ardito è stato compiuto poco dopo da Carlo, non senza provocare imbarazzo e sconcerti, anche nel gruppo ristretto dei suoi sostenitori, a cominciare da me stesso. Infatti, a un certo punto lo abbiamo visto rinunciare a quel suo impaginare ritratti e altre immagini a larghe falde, in una sicura occupazione della superficie, volgendosi invece a spezzettare gli interventi, quasi recuperando una tecnica che poteva sembrare ormai interamente affidata alla storia, quale il Divisionismo di Seurat e compagni. A posteriori, però, abbiamo inteso quanta intelligenza, quanta preveggenza era intrinseca a quella sua mossa. Egli aveva compreso che l’età della foto fatta con l’aiuto della chimica, “impressionando” vasti tratti di superficie, stava terminando, la parola passava proprio alle unità minimali partorite dagli impulsi elettronici, dai “pixel”, da quella trama rarefatta, discontinua, ma fitta, parossistica, cui ormai sono affidate quasi per intero le nostre immagini.
Carlo Gajani, Angela Gajani (1987; acrilico e tempera su tela, 100 x 80 cm) |
Carlo Gajani, Franco Bartoli (1966; acrilico e tempera su tela, 100 x 80 cm) |
Carlo Gajani, Giancarlo Cavalli (1967; acrilico e tempera su tela, 100 x 100 cm) |
Del resto, Carlo era ben consapevole che in quel rilancio di una tecnica ormai affidata alla storia fosse collegato un ricorso al passato, infatti quella nuova strategia fatta di tocchi rarefatti, quasi impalpabili, gli è servita per far discendere dalla soffitta della memoria tanti ricordi e segreti di famiglia, a cominciare dagli stessi balocchi della sua infanzia. Però non si è trattato di un divorzio definitivo dalla buona e normale tecnica fotografica, Carlo ha ripreso a imbracciare qualche valido apparecchio di quella famiglia, e anzi si è dato, negli ultimi tempi della sua carriera, a un esercizio quasi esclusivo di questo tipo. Abbiamo avuto la fase dedicata a New York, vista da lui come l’essere preso prigioniero in un ariostesco Castello di Armida, in un labirinto di specchi e riflessi, da non sapersi più orizzontare, da non sapere dove ritrovare l’uscita.
Ma infine l’ha pur ritrovata, ed ha avvertito un profondo bisogna di ritornare alla sua terra d’origine, in alcune serie che hanno caratterizzato i suoi ultimi anni di attività, Ed è stato anche un ritorno al primo tempo, dedicato all’incisione. L’approccio fotografico infatti, se rivolto a colline, casolari, pianure della nostra terra, tra la Bassa e l’Appennino, è stato condotto, per usare un termine incisorio, come applicando una profonda morsura, il che ha scavato, ridato slancio, originalità a un riflesso che altrimenti poteva sembrare troppo conforme e usuale. Invece nel suo caso voleva essere un nuovo affondo, a ricercare per un’ultima volta la propria immagine nelle screpolature dei casolari, o nel trascorrere delle acque, o in praterie sferzate dai venti.
Dall’8 ottobre al 6 novembre 2020, Carlo Gajani (Bazzano, 1929 - Zocca, 2009) è protagonista della mostra Carlo Gajani (1929 - 2009), a cura di Renato Barilli, in programma a Bologna presso il Centro Studi Didattica delle Arti in via Cartoleria 9. La mostra ripercorre l’intera carriera di Gajani attraverso una vasta selezione di opere che copre un arco temporale di oltre quarant’anni. Apertura dal giovedì alla domenica dalle 11 alle 19, ingresso gratuito. Per info, collegarsi al sito della Fondazione Carlo Gajani.
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Creat de altmariusclassic Dec 23, 2020 at 11:45am. Actualizat ultima dată de altmariusclassic Ian 24, 2021.
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