Philip Gossett (New York, 27 settembre 1941 – Chicago, 13 giugno 2017) è scomparso dopo cinque anni di malattia invalidante che gli ha progressivamente impedito di lavorare pur lasciandolo nel completo possesso delle sue facoltà mentali. Chi lo ha conosciuto sa quale fosse la sua dedizione totale alla ricerca e l’energia sterminata che vi profondeva, e infatti fino all’ultimo ha seguito, per quanto poteva, il progresso dei propri lavori e di quelli di allievi e amici.
Allievo a Princeton di Oliver Strunk e Arthur Mendel, addottoratosi nel 1970 con una tesi sulle fonti delle opere di Rossini, Gossett è universalmente noto per i suoi studi filologici sul melodramma italiano dell’Ottocento, che lo hanno portato a dirigere due edizioni critiche di opere di Rossini (una per la Fondazione Rossini di Pesaro, un’altra presso Bärenreiter) e quella delle opere di Verdi (University of Chicago Press e Ricordi). Personalmente, da solo o in collaborazione, ha curato le edizioni di Tancredi, Ermione, Semiramide, Petite Messe solennelle, e stava lavorando a quella della Forza del destino, ma la sua impronta si avverte in tutti i più che cinquanta volumi pubblicati sotto la sua supervisione, nonché nella concezione di analoghe imprese editoriali avviate successivamente. Meno noti ma importanti sono anche i suoi contributi su Rameau (con la traduzione inglese del Trattato sull’armonia) e Beethoven (sulla genesi della Pastorale e del Fidelio).
Si suol accreditare Gossett di aver imposto l’esigenza di tornare ai testi “autentici” del melodramma, di eseguire le opere di Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi così come le avevano concepite i loro autori. Questo è però solo l’esito finale di un’operazione culturale più complessa. Non era mancato chi, prima di lui, aveva osservato che quanto si trovava nelle partiture correnti non corrispondeva a ciò che si poteva vedere nei pochi autografi conosciuti, ma nessuno si era posto in maniera sistematica il problema di capire come vadano lette, interpretate, confrontate tra loro tutte le fonti, manoscritte e a stampa, tra le quali gli autografi sono sì importantissimi ma non depositari di una verità definitiva: un metodo di analisi complicato, lungo, costoso, molto lontano da una certa idea popolare della filologia musicale che non si è ancora del tutto dissolta presso appassionati volenterosi e purtroppo anche presso musicisti e giornalisti. Inoltre il lavoro di Gossett ha contribuito a ridimensionare l’idea stessa di un testo “definitivo”, documentando in maniera inoppugnabile il carattere di work in progress del teatro musicale, genere in cui ogni opera si rinnova ad ogni nuovo allestimento. Di qui l’importanza attribuita al contributo creativo di registi, direttori e cantanti, in un rapporto di mutuo insegnamento inveratosi in decenni di collaborazioni coi nomi maggiori dello star system internazionale (basti ricordare i nomi di Abbado e Muti, Horne e Ramey, Ronconi e Fo); da queste esperienze è nato il suo libro più noto, e di appassionante lettura: Divas and Scholars, tradotto in italiano come Dive e maestri dal Saggiator
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