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Di Laura Corchia

Fiero e monumentale, questo “ragazzone” alto più di quattro metri, si erge sul suo piedistallo sotto una cupola di vetro che fa penetrare la luce dall’alto. Lo si scorge imboccando un lungo corridoio della galleria dell’Accademia, lungo il quale sono disposti i quattro Prigioni e il San Matteo.

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Come è noto, il David fu commissionato a Michelangelo nel 1501, per ornare uno dei contrafforti presenti nella zona absidale della cattedrale fiorentina di Santa Maria del Fiore. Michelangelo si mise a lavoro lontano dagli occhi di tutti, in un recinto che lui stesso si era costruito nel cortile dell’Opera del Duomo. Prima di essere consegnato allo scultore, il marmo era già stato parzialmente lavorato da Agostino di Duccio nel 1464 e da Antonio Rossellino nel 1476. Entrambi avevano poi rinunciato alla commissione, giudicando il blocco di cattiva qualità e troppo fragile in relazione alle sue dimensioni. Dal momento che la statua doveva rappresentare un corpo maschile nudo e pertanto doveva essere più stretta alla base che all’apice, poggiando su due gambe e non su una zona larga e compatta (ad esempio il panneggio di una veste), il pezzo presentò dei problemi proprio dopo che fu eseguita l’apertura degli arti inferiori. Inoltre, il marmo presentava una notevolissima quantità di venature e di piccole cavità, dette taròli, riempite poi con malta di calce.

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Il problema della collocazione scatenò un vero e proprio conflitto cittadino e il 5 gennaio 1503 la decisione fu finalmente presa da una commissione appositamente eletta e composta da diversi artisti. Durante il dibattito, erano emerse le conflittualità esistenti tra i vari artefici, che inevitabilmente assumevano anche una valenza politica.

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Tra il 14 e il 18 maggio 1504, il David fu portato in piazza della Signoria e durante il percorso fu preso a sassate: «14 Maggio MDIV, così gli Spogli dello Strozzi d’un libro di Memorie e Ricordi, si trasse dall’Opera il Gigante di marmo, uscì fuori alle 24 hore, e ruppono il muro sopra la porta tanto che ne potesse uscire, e in questa notte fu gittato di certi sassi al Gigante per far male; bisognò fare la guardia la notte, e andava molto adagio e così ritto legato, che ispenzolava che non toccava co’ piedi, con fortissimi legni e con grande ingegno, e penò quattro dì a giungere in piazza: giunse a dì 18 in su la Piazza a hore 12, haveva più di 40 uomini a farlo andare, aveva sotto quattro legni unti, e quali si mutavano di mano in mano, e penossi sino a dì 8 Giugno 1504 a posarlo in su la ringhiera, dov’era la Giudit, la quale s’hebbe a levare ».

Dopo la sua collocazione sull’arringario, il David fu completato da Michelangelo sul posto. Per proteggere la superficie, lo scultore passò una mano di protettivo e applicò una parziale doratura che lumeggiava «la cigna e ‘l broncone e la ghirlanda», quest’ultima consistente in un « filo d’ottone con ventotto foglie di rame».

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Durante i secoli, il monumentale David fu oggetto di incidenti e di atti vandalici, primo fra tutti un fulmine che colpì il basamento all’indomani della restaurazione del governo dei Medici dopo la cacciata nel 1512. I fiorentini interpretarono questo evento come una sorta di vendetta divina. Il secondo danneggiamento fu invece causato qualche anno più tardi da mano umana, durante la seconda cacciata della famiglia: i popolani asserragliati nel palazzo della Signoria tentavano di respingere i sostenitori dei Medici che stavano sfondando il portone della piazza «e non avendo altra copia di pietre, attendevano a gettare vanamente minuti pezzi di tegole per le finestre. I quali così gittati, per la grande altezza cadevano in piazza molto discosto dal palagio», finché non furono trovate pietre più grosse con cui « si sfondarono e’ coperchi de’ piombatoi e cadendo sopra la porta con tanta rovina, fecero discostare i nemici da quella». Secondo il Vasari, a colpire il povero David, fu una panca gettata da una finestra del Palazzo. Il braccio sinistro dell’opera si ruppe in tre pezzi, che furono poi recuperati dal Vasari stesso e da Salviati, allora giovinetti. Il padre di Salviati portò i pezzi del braccio al duca Cosimo che lo fece riconnettere con perni di rame. In realtà la frammentazione del braccio comprende più di tre pezzi e numerosissimi perni.

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Nel 1813 fu compiuto il primo restauro moderno sull’opera da Stefano Ricci, che fu «incaricato di rifare […] il dito medio della mano destra rotto per ignoto incidente; egli estimò pur necessario di dare a tutta la statua l’encausto, ma poiché da lui praticato venne poscia proscritto». Qualche decennio più tardi, il David fu sottoposto a una pulitura a base di acido cloridrico. Con l’ausilio di ferri taglianti furono rimosse le croste più dure. Si trattò di una pulitura drastica, aggravata da successive operazioni, come l’esecuzione di un calco in cera nel 1846. Da allora, le preoccupazioni per lo stato di conservazione della scultura, esposta peraltro alle intemperie, si fecero più pressanti e si tradussero in una serie di atti ufficiali e nel 1873 venne finalmente deciso il suo trasferimento nei locali dell’Accademia. Lo spostamento avvenne su rotaie, sistema giudicato il più sicuro per evitare il rischio di un ribaltamento sulle strade sconnesse del centro cittadino. Durante il periodo bellico (1916-1919), il David fu protetto contro le eventuali incursioni aeree e altrettanto fu fatto durante la seconda guerra mondiale. Ma il nostro sfortunato eroe era destinato ancora a soffrire quando, il 14 settembre 1991, lo scellerato gesto di un folle gli mandò in frantumi l’indice del piede sinistro.

Nel video che segue, vi presentiamo un video dell’ultimo restauro.

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