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La mostra al Louvre riaccende il dibattito sul disegno, che per Vasari era madre e padre di tutte le arti

Foglio attribuito a Leonardo raffigurante sette studi di teste e san Giovanni Battista bambino da «Il Libro dei Disegni» di Giorgio Vasari © Albertina Museum Vienna

Giorgio Vasari lo chiamò il Libro de’ disegni, probabilmente la prima collezione di disegni riunita secondo una logica storiografica, a cui il pittore e storico dell’arte (1511-74) si dedicò mentre compilava la colossale Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, opera fondante del Rinascimento italiano. Vasari citò per la prima volta l’esistenza del Libro, che riuniva i disegni dei più grandi artisti dell’epoca, nella seconda edizione delle Vite, pubblicata a Firenze nel 1568 da Giunti. Alla sua morte, gli eredi lo cedettero al granduca di Toscana, Francesco I de’ Medici, e il Libro scomparve. Da allora collezionisti e critici d’arte si sono interessati alla raccolta nel tentativo di ricomporla.

IlLouvrene ricostruisce l’intricata vicenda con la mostra «Giorgio Vasari. Il Libro de’ disegni» (dal 31 marzo fino al 18 luglio). Ne parla Louis Frank, conservatore al dipartimento di Arti grafiche del Louvre, cocuratore con Carina Fryklund del Nationalmuseum di Stoccolma, dove la mostra sarà in autunno.

All’origine del «Libro» è la convinzione di Vasari del primato del disegno.
Il paragone delle arti era al centro del dibattito artistico nel Rinascimento. Il poeta Benedetto Varchi sosteneva che la nobiltà di un’arte non si giudica in funzione del suo oggetto, come si fa per la scienza, ma della sua finalità. E poiché scultura e pittura hanno la stessa finalità, l’imitazione della natura, sono ugualmente nobili. Ma nel 1547, durante una conferenza all’Accademia di Firenze, disse anche che il disegno era il fondamento di tutte le arti, in una tradizione prettamente fiorentina. Varchi invitò a esprimersi sul tema degli artisti, tra cui Vasari, il quale in quella circostanza sostenne che il disegno era la «madre di tutte le arti». Nell’edizione delle Vite del 1568 parlò invece di «padre» delle arti, il disegno divenne centrale nel testo. Il progetto del Libro è intimamente legato alla scrittura delle Vite, ne è una sorta di «specchio», un libro autonomo in cui Vasari ha sviluppato lo stesso discorso filosofico, storico, critico attraverso il solo linguaggio grafico, una sorta di «museo» della storia del Rinascimento italiano.

A un certo punto il «Libro» scompare...
Vasari cominciò a collezionare molto presto, dal 1528, ma quella era la sua collezione personale. Il Libro era una un progetto a parte, era unico. Spesso nell’edizione Giunti, quando in chiusura delle biografie di artisti sostiene di possederne dei disegni, aggiunge: «Sono nel nostro libro». Questo ci fa ipotizzare che detenesse il volume in comune con Cosimo I de’ Medici. Si sa, per esempio, che quando il duca ricevette in dono un disegno di Sofonisba Anguissola, Vasari disse: «L’ho messo nel nostro libro». Non diceva «nel mio». Quando Vasari morì, i suoi nipoti consegnarono il volume a Francesco, successore di Cosimo, che inviò degli emissari a recuperarlo, come se fosse di proprietà dello Stato. Da allora se ne sono perse le tracce ed è diventato una sorta di mito.

Tutti i collezionisti del Sei e Settecento fecero a gara per possederne dei fogli.
Il più celebre fu Pierre-Jean Mariette che nel 1730, credette di aver individuato il criterio unico per riconoscere i disegni appartenuti al Libro: tutti i disegni che erano incollati su fogli dovevano presentare una cornice con motivi ornamentali e architettonici. Si parlò di «montaggio Vasari». In mostra ne presentiamo due conservati all’Albertina di Vienna. Per anni l’ipotesi di Mariette fu ritenuta corretta. Cominciò a vacillare nel 1950, quando Arthur Popham e Philip Pouncey realizzarono l’inventario dei disegni italiani del XIV e XV secolo del British Museum e fecero una scoperta: i fogli del «montaggio Vasari» presentavano uno stemma, una fenice con il motto in francese «Tant que je vivrai». Era l’emblema della famiglia fiorentina Gaddi. I due studiosi conclusero che il «montaggio Vasari» di fatto era stato realizzato non da o per Vasari ma da Niccolò Gaddi, grande collezionista a sua volta. Studi più recenti di Andrew Morrogh rafforzano questa ipotesi. Niente permette di stabilire che tutti i disegni di Gaddi appartenessero al Libro. Di uno soltanto abbiamo la certezza, perché Vasari lo descrisse a lungo nelle Vite: si tratta dello studio di Giulio Romano per la «Caduta di Icaro» del Palazzo Ducale di Mantova.

Che cosa si può dire oggi di certo riguardo al «Libro»?
Solo i disegni che rispondono a uno dei criteri seguenti provengono con certezza dal Libro. Primo: i disegni che corrispondono alle pitture di cui Vasari fa una descrizione precisa nelle Vite. Ne conosciamo 17. Tra questi c’è lo studio del «Tributo a Cesare» di Andrea del Sarto per la Villa di Poggio a Caiano, conservato al Louvre, e un’«Estasi di santa Caterina» del Sodoma per la Basilica di San Domenico a Siena del British Museum. Secondo: i disegni preparatori ai ritratti di artisti realizzati per le Vite. Ne conosciamo 5, tra cui quelli del Parmigianino e di Luca della Robbia. Terzo: i disegni che presentano un montaggio attribuito a Vasari o al suo stretto collaboratore, Jacopo Zucchi. Tra questi, uno studio di anziano con gli occhi chiusi conservato a Stoccolma. Non si sa con certezza da quanti fogli era costituito il libro, Vasari nelle Vite cita 125 disegni. Oggi ne conosciamo con relativa certezza una trentina. Al Louvre ne esponiamo una decina, sapendo che alcuni, troppo preziosi, come la «Giuditta» del Mantegna agli Uffizi, non possono essere prestati, e altri, come i drappeggi di Leonardo, alcuni al Louvre, sono già stati presentati di recente e non possono essere mostrati di nuovo per motivi di conservazione. Per noi è essenziale aver separato ormai il Libro dalla collezione Gaddi, liberandolo dalla questione del montaggio. Se si cercano solo disegni montati si rischia di non trovarne più. È un’ipotesi radicale, ma che permette di rilanciare la ricerca.

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