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Grattacieli: la nascita della metropoli moderna

All’inizio del XX secolo New York fu teatro di una vertiginosa corsa per erigere l’edificio più alto del mondo. Da allora i grattacieli hanno forgiato il mito della grande metropoli del nostro tempo


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Panoramica dei grattacieli del Financial District di Manhattan sulla sponda dell’East River a metà del XX secolo scattata dal quartiere di Brooklyn

Panoramica dei grattacieli del Financial District di Manhattan sulla sponda dell’East River a metà del XX secolo scattata dal quartiere di Brooklyn

Foto: H. Armstrong Roberts / Classicstock / Getty Images

Tra il 1892 e il 1954 circa dodici milioni di immigrati arrivarono negli Stati Uniti transitando per Ellis Island, sotto la lunga ombra della statua della Libertà. «A me sol date / Le masse antiche e povere e assetate / Di libertà! A me l’umil rifiuto / D’ogni lido, i reietti, i vinti! A loro / La luce accendo su la porta d’oro», dice il famoso sonetto di Emma Lazarus che compare in un’iscrizione sulla base della statua.

Attraverso quella porta d’oro entravano a New York i reduci della dura traversata atlantica, viaggiatori stremati come dei naufraghi scampati a una tempesta. Alcune di quelle migliaia di voci sono state conservate per i posteri negli archivi sonori del museo dell’immigrazione di Ellis Island. Tra queste c’è la lirica voce di un allegro irlandese che, ormai vecchio, ricordava la prima volta che aveva visto Manhattan nel 1913, a soli 18 anni. Qualcuno aveva gridato “Terra in vista!” e ciò che effettivamente aveva visto il giovane quando si era precipitato sul ponte di quella nave sovraffollata non era la statua della Libertà con la sua torcia, ma il pinnacolo gotico del Woolworth Building.

Da poco completato su progetto dell’architetto Cass Gilbert, con i suoi 241 metri di altezza era l’edificio più alto del mondo e apriva la strada che avrebbero seguito i futuri grattacieli di Manhattan. Il cliente di Gilbert, Frank W. Woolworth, fondatore di una catena di grandi magazzini che dal 1909 si era espansa su entrambe le sponde dell’Atlantico, pagò di tasca sua i 13,5 milioni di dollari che costò allora quella “cattedrale del commercio”. Dal giorno della sua inaugurazione questa pietra miliare dell’architettura, visibile in lontananza dai transatlantici, divenne il simbolo di New York non meno della statua della Libertà. D’altronde, anche il Woolworth Building prometteva la libertà e la realizzazione di grandi sogni. Di certo New York era una città piena di opportunità in cui un giovane irlandese avrebbe potuto camminare a testa alta.

La conquista dell’altezza

La corsa architettonica verso il cielo che ha plasmato i paesaggi urbani di tutto il mondo era cominciata nel 1854, quando Elisha Graves Otis, figlio di un agricoltore del Vermont e infaticabile inventore, aveva presentato il freno di sicurezza per ascensori sotto la cupola di vetro del Crystal Palace, che era stato costruito l’anno prima per ospitare l’Esposizione universale di New York. Anche se, sotto lo sguardo di un pubblico attonito, si tranciavano con un’ascia i cavi che reggevano la cabina dell’ascensore di Otis, questo cadeva solo di qualche centimetro prima di arrestarsi. Quel momento storico segnò la nascita dell’ascensore di sicurezza, che gettava le basi intellettuali, artistiche e pratiche per la costruzione del Woolworth Building.

Tuttavia, nel 1854 mancava ancora qualcosa perché architetti, ingegneri, costruttori e clienti potessero dedicarsi alla creazione di quelle futuristiche cattedrali del commercio. Era necessaria, per esempio, una fornitura cospicua e costante di acciaio resistente, privo di impurità chimiche e a prezzi convenienti. Nel 1855 l’inventore e industriale inglese Henry Bessemer brevettò il suo processo per trasformare la ghisa nel tipo di acciaio che, insieme all’ascensore di Otis, avrebbe rivoluzionato l’ingegneria strutturale e l’architettura di tutto il mondo. Il vetro in lastre, prodotto su larga scala a partire dagli anni ’50 dell’ottocento, e l’illuminazione elettrica (disponibile a partire dagli anni ’80), furono gli altri ingredienti essenziali per la costruzione di quei grattacieli che avrebbero definito il profilo della New York del XX secolo.

Il Chrysler Building negli anni trenta, su East 42nd Street, a New York

Il Chrysler Building negli anni trenta, su East 42nd Street, a New York

Foto: Rue des archives / Album

Ma non fu la tecnologia da sola a creare i grattacieli di Manhattan. Vi contribuirono altre forze importanti, come la rapida crescita demografica della città, l’aumento dei prezzi del suolo e l’incremento della massa di colletti bianchi, con la conseguente necessità di nuovi edifici per gli uffici. Queste esigenze a New York erano particolarmente forti.

Ciononostante, i grattacieli non furono inventati a Manhattan: i primi, infatti, vennero costruiti a Chicago dopo il grande incendio del 1871, quando si adottò anche il termine skyscraper (“grattacielo”, appunto) che fino ad allora era usato solo per determinate bandiere delle navi, alcuni colpi del tennis e un certo tipo di cappello a cilindro.

Gli imprenditori newyorchesi seguirono a ruota, ma su scala molto più grande, grazie a una situazione particolarmente favorevole dal punto di vista geologico. Mentre Chicago sorgeva su terreni argillosi, non molto adatti alla tecnologia disponibile all’epoca per costruire edifici alti, Manhattan poggiava su un robusto strato di granito. Grazie a quella base rocciosa, i primi grattacieli di New York poterono sorgere su appoggi solidi. Ma c’era dell’altro: buona parte della città, da Houston Street, nella parte meridionale, alla 155th Street, a nord, era stata pianificata nel 1811 secondo una griglia stretta e rigida che lasciava poco spazio a costruzioni più ambiziose, a meno che non si sviluppassero verso il cielo.

Moderne ziqqurat

A mano a mano che certe zone di New York, come Midtown o il Financial District, cominciavano ad assomigliare a montagne create dall’uomo, crescevano le preoccupazioni in merito all’impatto dei grattacieli. Questi edifici altissimi proiettavano delle ombre lunghe e scure. Dai marciapiedi, le strade cominciavano a sembrare sempre più delle gole strette e profonde, un effetto accentuato dalla neve, dalla nebbia o dalle piogge intense. Per contrastare questo fenomeno inquietante, a partire dal 1916 la legislazione urbanistica municipale stabilì che la struttura di questi enormi palazzi doveva restringersi a mano a mano che questi crescevano in altezza. È per questo che i profili dei grattacieli assomigliavano alle ziqqurat o a delle torte matrimoniali allungate, come nel caso dell’Empire State Building, che per alcune decine d’anni fu l’edificio più alto non solo di New York, ma del mondo intero.

Vista aerea di New York illuminata da una delle terrazze dell’Empire State Building, prima del 1950. Per il poeta della Generazione perduta Ezra Pound «nessuna notte urbana è come la notte di New York»

Vista aerea di New York illuminata da una delle terrazze dell’Empire State Building, prima del 1950. Per il poeta della Generazione perduta Ezra Pound «nessuna notte urbana è come la notte di New York»

Foto: Bettmann / Getty Images

Si potrebbe dire che gli anni venti e trenta del XX secolo furono l’età dell’oro dei grattacieli newyorchesi. Grazie ai loro atri aperti al piano terra, al suggestivo stile art déco e all’elegante distribuzione, Chrysler, Empire State e RCA Building divennero icone ammirate in tutto il mondo. Erano edifici leggendari persino prima della loro apertura a un pubblico che restava solitamente attonito.

Nel 1928 Walter P. Chrysler, il meccanico del Michigan che sarebbe diventato un magnate automobilistico, venne a sapere che H. Craig Severance aveva in programma la costruzione della Bank of Manhattan Tower, che sarebbe diventata l’edificio più alto del mondo. Il grattacielo di Severance puntava a raggiungere quasi i 283 metri, ovvero circa 60 centimetri in più del palazzo che Chrysler stava progettando con il suo architetto William van Allen, ex socio e rivale di Severance. Quest’ultimo disegnò allora in segreto una guglia in acciaio inossidabile, con un’altezza di sette piani e motivi solari, che avrebbe sormontato il Chrysler Building. Incredibilmente riuscirono a mantenere nascosta questa struttura all’interno dell’edificio, per svelarla solo all’ultimo momento. Impiegarono non più di novanta minuti per innalzarla sul tetto del palazzo. Così il Chrysler Building, con i suoi 77 piani e 318,82 metri di altezza, divenne l’edificio più alto del mondo, anche se questo primato non era destinato a durare a lungo.

L’Empire State Building

Nel maggio del 1930, 11 mesi dopo la conclusione del Chrysler, aprì l’Empire State Building. Era molto più alto, aveva 102 piani e un isolato intero della Fifth Avenue, tra West 33rd Street e 34th Street, a sua disposizione. Lo inaugurò il presidente Herbert Hoover tra grandi acclamazioni. Quella torre di 381 metri con una facciata in pietra calcarea dell’Indiana soddisfaceva le ambizioni di John J. Raskob, un prospero finanziere newyorchese, cavaliere di un ordine pontificio e padre di tre figli, che aveva commissionato il mitico grattacielo agli architetti Shreve, Lamb e Harmon. «Fino a che altezza potete arrivare senza rischi di crolli?», aveva chiesto Raskob a William Lamb.

Ma ciò che allora stava crollando era l’economia statunitense. La crisi di Wall Street, nell’ottobre del 1929, si verificò proprio mentre la costruzione dell’Empire State Building procedeva a tutta velocità.

La fotografa Margaret Bourke-White scatta una foto da una gargouille a forma di aquila dello stesso grattacielo, ispirata alle automobili della compagnia

La fotografa Margaret Bourke-White scatta una foto da una gargouille a forma di aquila dello stesso grattacielo, ispirata alle automobili della compagnia

Foto: Time Life / Getty Images

   

Poi il Paese entrò nella Grande depressione. Neppure la fama di King Kong – il gigantesco scimmione che nel fortunato film della RKO del 1933 si arrampicava in vetta al grattacielo portandosi dietro Fay Wray prima di essere abbattuto da una squadra di caccia e precipitare nel vuoto – valse a rilanciare le sorti di quella che sembrava una follia di John J. Raskob. Incapace di attrarre inquilini, il magnifico palazzo fu ribattezzato “Empty” State Building, ovvero l’edificio vuoto. Fu necessario lo scoppio della Seconda guerra mondiale per riempirlo di uffici governativi e solo nel 1950 l’Empire State Building iniziò finalmente a generare profitti.

Anche se la crisi del 1929 rallentò il processo, nei decenni precedenti New York si era resa protagonista di una trasformazione urbana senza precedenti. Il paesaggio di torri colossali dell’isola di Manhattan affascinò scrittori, artisti, cineasti e, ovviamente, architetti. Negli anni venti l’architetto franco-svizzero Le Corbusier pensò di replicare a Parigi il modello di New York, con proposte iconoclaste e molto pubblicizzate, come quella di demolire buona parte della capitale francese e sostituire strade ed edifici storici con grattacieli di cemento armato e autostrade soprelevate.

Tre operai inseriscono una trave in un grattacielo di Lower Manhattan attorno al 1920

Tre operai inseriscono una trave in un grattacielo di Lower Manhattan attorno al 1920

Foto: Age Fotostock

Ciononostante, quando nel 1935 Le Corbusier visitò New York e osservò per la prima volta con i suoi occhi l’impatto fisico dei grattacieli, apparentemente si ricredette. In una conferenza che tenne al museo d’arte moderna cittadino, il MoMA, l’architetto affermò: «I grattacieli di New York sono romantici, un gesto di orgoglio, e questo è importante. Ma hanno ucciso le strade e trasformato la città in un manicomio».

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