
Già magister cantorum e magister cappellae della Cappella Giulia in Vaticano, nel 1555 Giovanni Pierluigi da Palestrina fu ammesso da Giulio III tra i cantori della Cappella papale. Il successivo pontefice, Marcello II, regnò solo tre settimane in quello stesso ‘55. Poco tempo, ma sufficiente per esprimere nuove direttive relative alla musica sacra: a favore della chiarezza e della comprensibilità. Solo più avanti negli anni, probabilmente nel 1562, Palestrina, al tempo attivo presso la Basilica di Santa Maria Maggiore, compose la Missa papae Marcelli: secondo le volontà del pontefice scomparso e le indicazioni controriformistiche elaborate dal Concilio tridentino (ormai al termine). In tal senso va inteso il titolo dell’opera: Messa “di” e non “per” papa Marcello. Concepita a sei voci, lavoro più conosciuto di Palestrina, in epoca preconciliare la Missa fu poi cantata durante il rito dell’incoronazione papale. Questa registrazione testimonia una sua esecuzione nella Cappella sistina in Vaticano. Un momento carico dello stesso fascino storico, dello stesso sapore di esclusività, della stessa sensazione d’armonia artistica paragonabile, per fare due esempi, a ciò che viene espresso da un’interpretazione del Vespro della Beata Vergine di Claudio Monteverdi nella Basilica palatina di Santa Barbara a Mantova, o della Terza Sinfonia di Beethoven nel palazzo viennese del principe di Lobkowitz. Con la plusvalenza che la Cappella Sistina è una delle più stupefacenti meraviglie artistiche di tutti i tempi (una specie di manifesto e assieme crestomazia della pittura italiana, dal ‘400 di Botticelli e Perugino al ‘500 di Michelangelo). Il risultato è ancor più speciale – con alcuni momenti indiscutibilmente toccanti – in quanto qui realizzato proprio dal Coro polifonico della Cappella Sistina diretto da Massimo Palombella, utilizzando, per la prima volta in un disco, una nuova edizione critica della Missa basata sull’”editio princeps” del 1567.
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