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Da Vigata ad Acquamara, per Ferragosto quattro indagini in Sicilia

http://www.lastampa.it/2018/08/15/cultura/da-vigata-ad-acquamara-qu...

Macchine incolonnate sull’asfalto bollente, prati invasi da sedie e tavoli, puzzo di diavolina. A Palermo va in scena il «sacrificio pagano» del Ferragosto. I quartieri ricchi si sono svuotati, sono rimasti i poveri nei bassi polverosi, l’immondizia accumulata vicino ai cassonetti, pescivendoli e vecchie puttane. E Giulia, figlia della famiglia più importante della città, che viene ritrovata cadavere, il suo sangue mischiato con la granita di gelsi neri sciolta sul pavimento della camera da letto. Sul davanzale le sue piante, Il basilico di Palazzo Galletti(Mondadori): nel nuovo romanzo di Giuseppina Torregrossa le indagini sono affidate alla commissaria Maria Teresa Pajno , «Marò», protagonista del precedente Panza e prisenza. Intorno a lei si muovono un capo che vuole fare carriera, cui importa più salvare le apparenze che la verità; un medico legale «femminnaro» che corteggiando le donne crede di poter dimenticare l’orrore della morte; la vecchia prostituta Maria, saggezza popolare e generosità, capace di slanci e intuizioni; l’immigrato polacco che vive sul marciapiedi di fronte a casa sua, solo il primo di una teoria di disperati di questa storia. La Torregrossa regala scorci e odori di Palermo, capace di farne respirare l’anima insieme con l’aria infuocata di metà estate. La sua Marò è una donna che pare avere consumato «impegno civile e compassione», ritratta nel passaggio cruciale fra la giovinezza e la maturità, quando sul corpo «nuove magagne si sommano vecchie imperfezioni». La strada per incastrare l’assassino è anche quella per ritrovare se stessa.  

 

 

E c’è il profumo di basilico, portato dal vento caldo di scirocco, nel romanzo d’esordio di Pietro Esposto (Prova d’autore) Acquamara, un paese immaginario della provincia di Palermo fatto di «pietre, case e casuzze». Un microcosmo siciliano intriso, negli anni ’60 della storia, di un pensiero mafioso che l’autore rivela nei suoi meccanismi diffusi e quotidiani, che non fanno notizia e non sono eclatanti, ma muovono favori, raccomandazioni, lavoro, relazioni. Alla fine, tutto. «Che minchia c’era in quella cava» dove un picciotto ha avuto un incidente? «Denaro, tufo e malaffare». Ne è convinto il magistrato Titta Mezzasalma, «sessantino ancora piacente» che indaga fra lettere anonime e pettegolezzi, auto bruciate e messaggi in codice, su un infortunio che tutti, dal sindaco di lungo corso al procuratore, minimizzano: nasconderà un orrore che lo riguarda molto più da vicino di quanto lui stesso immagini. Una storia affollata di personaggi caratterizzati, anche quando minori, con ironia ed efficacia; intrisa del sapore di «milenzana-abbottunata» avanzata dal giorno prima e di «sasizza calata nella sarsa di pomodoro», ma soprattutto una vicenda mossa da passioni: quella di Titta per le donne e la giustizia e quella di uno sparuto gruppetto di giovani idealisti, militanti del Pci, per la politica. E quella di Esposto per la sua terra, fra dialetto e tradizioni, relazioni famigliari e abitudini di provincia. In cui non compare giudizio, ma solo l’urgenza di raccontare.  

 

 

Dalla Sicilia arriva anche il vicequestore “Vanina” Guarrasi , testarda, scontrosa, tormentata dalla morte del padre e dalla fine di una relazione difficile; appassionata di vecchi film e amante della buona tavola. In Sabbia nera di Cristina Cassar Scalia (Einaudi), mentre Catania è avvolta da una pioggia di ceneri dell’Etna, nell’ala abbandonata di una villa signorile, alle pendici del vulcano viene ritrovato un corpo di donna ormai mummificato dal tempo. Del caso è incaricato il vicequestore Giovanna Guarrasi, detta Vanina, trentanovenne palermitana trasferita alla Mobile di Catania. La casa è abbandonata dal 1959, solo Alfio Burrano, nipote del vecchio proprietario, ne occupa saltuariamente qualche stanza. Risalire all’identità del cadavere è complicato, e per riuscirci a Vanina servirà l’aiuto del commissario in pensione Biagio Patanè. I ricordi del vecchio poliziotto la costringeranno a indagare nel passato, conducendola al luogo dove l’intera vicenda ha avuto inizio: un rinomato bordello degli anni Cinquanta conosciuto come «il Valentino». Districandosi tra le ragnatele del tempo, il vicequestore svelerà una storia di avidità e risentimento che tutti credevano ormai sepolta per sempre, e che invece trascinerà con sé una striscia di sangue fino ai giorni nostri. 

 

 

E poi naturalmente c’è Andrea Camilleri, con Il metodo Catalanotti (Sellerio). Tra il commissario Montalbano e l’eterna fidanzata Livia non è più questione delle consuete «sciarriatine» telefoniche, questa volta ci sono piuttosto silenzi, stanchezza, indifferenza, e quando lei estenuata prende atto che la loro storia è alla fine, e di fronte al suo mutismo gli domanda se non ha niente da dire, la risposta è solo «no» e il ricevitore che fa clic. Perché questa volta per il commissario non è una delle solite avventure con la solita «biunna, capilli longhi», questa volta ha sbarellato di brutto, come un adolescente, per una «picciotta» dai capelli corti e neri, ma dagli occhi verdi, bella e (sulle prime) impossibile, che è capo ad interim della Scientifica di Montelusa e ha una valanga di anni meno di lui. Per seguire l’ amata destinata ad altra sede addirittura progetta di lasciare Vigata, la Sicilia, di chiedere il trasferimento, al limite la pensione. Il Carmelo Catalanotti del titolo è un usuraio, ma un usuraio in fonda onesto, che quando compare nelle prime pagine è già un cadavere con un pugnale conficcato nel cuore. Ma è anche un appassionato di teatro, capocomico regista e autore, demiurgo di una compagnia amatoriale, che ha messo a punto una personale tecnica di insegnamento della recitazione. Camilleri torna così al teatro, devoto omaggio al mestiere della sua vita precedente, prima di inventarsi, sull’orlo dei settant’anni, scrittore di bestseller. E sarà dalle pieghe di una piece mai andata in scena che scaturirà la soluzione dell’indagine. Ma non quella della crisi che dilania Montalbano.  

 

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