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Fece di Sparta una grande potenza, ma le sue ambizioni politiche e la disonestà mostrata corrompendo gli oracoli spinsero i concittadini ad allontanarlo dal potere e a incatenarlo a un ceppo, fino alla fine dei suoi giorni


A Sparta i re avevano un ruolo più simbolico che politico. Nel sistema amministrativo della città, infatti, i compiti del sovrano si limitavano soprattutto al comando dell’esercito. Tuttavia, grazie alla sua grande personalità e al suo valore, Cleomene riuscì a lasciare una forte impronta nella storia di Sparta.

Durante il suo lungo regno, durato più di trent’anni, dal 520 al 488 a.C., la città divenne la prima potenza della Grecia. Eppure, le fonti antiche gli sono avverse e lo presentano come un uomo collerico, crudele e mentalmente instabile, che disprezzava non solo le norme umane, ma anche quelle divine. A quanto scrisse Plutarco, Cleomene aveva una sola regola: «Il danno che puoi infliggere ai nemici è più importante della giustizia».

Erede per errore

Perfino le circostanze della sua nascita furono insolite. Suo padre, il re Anassandrida, era sposato con una nipote e non riusciva ad avere figli. Questo fatto generava somma preoccupazione negli efori, i cinque uomini (eletti annualmente) che a Sparta avevano il potere supremo e svolgevano varie funzioni, tra cui il controllo del sovrano. Gli efori vegliavano sulla continuità dinastica e perciò proposero ad Anassandrida di ripudiare la moglie in favore di una donna che potesse dargli un erede.

Nel XIX secolo il pittore e architetto inglese Joseph Michael Gandy ricreò in quest’acquerello il centro monumentale di Sparta, che però non rispecchia l’aspetto reale della città nel VI secolo a.C.

Nel XIX secolo il pittore e architetto inglese Joseph Michael Gandy ricreò in quest’acquerello il centro monumentale di Sparta, che però non rispecchia l’aspetto reale della città nel VI secolo a.C.

Foto: Bridgeman / Aci

   

Tuttavia il re amava profondamente la consorte e si rifiutò. Secondo Erodoto, gli efori gli fecero una nuova e singolare proposta: «Poiché ti sappiamo legato a tua moglie, non ti chiediamo di ripudiarla, ma di prenderne pure un’altra che ti dia dei figli». Anassandrida acconsentì e così si ritrovò con due famiglie.

Ben presto la nuova moglie diede alla luce un figlio, Cleomene, ma poco dopo la prima moglie ne ebbe altri tre. Stando alle leggi di Sparta, la successione ricadeva sul primo maschio nato dopo l’ascesa al trono del padre, e quindi Cleomene fu considerato il legittimo erede. Sebbene il giovane avesse mostrato sin da giovane i sintomi di un malessere mentale, alla morte di Anassandrida gli spartani ne accettarono la guida e lo proclamarono re.

Il suo primo intervento fuori dalla patria ebbe luogo nel 510 a.C., quando guidò l’esercito spartano contro Atene per destituire il tiranno Ippia. Gli spartani volevano interrompere le buone relazioni di Atene con Argo, la loro grande nemica. Tali rapporti risalivano al padre di Ippia, Pisistrato, che aveva come concubina una donna argiva. Inoltre Ippia stava dando prova di benevolenza verso i persiani, e ciò impensieriva gli spartani, che ne temevano l’espansione in Occidente. Cleomene invase la regione di Atene, l’Attica, e vinse Ippia. Entrò in città e assediò il tiranno, che aveva cercato riparo nell’Acropoli, protetta da mura difensive. Gli spartani evitavano sempre di combattere sulle mura, perché in tal modo sarebbero potuti morire senza gloria. Questa volta, però, la fortuna fu dalla loro parte: riuscirono a fermare i figli del tiranno mentre questi ultimi fuggivano dall’Acropoli in gran segreto. Ippia trattò la ritirata assieme alla famiglia e lasciò così Atene.

L’espulsione di Ippia, avvenuta grazie a Cleomene, consolidò la fama di Sparta come nemica della tirannia. Due anni più tardi, Cleomene tornò in un’Atene dilaniata dalla lotta politica tra Clistene e Isagora. Il primo proponeva riforme politiche che concedessero maggiore partecipazione al popolo, al contrario di Isagora, che invece aspirava a mantenere il potere nelle mani dell’aristocrazia. Durante il precedente soggiorno ad Atene, Cleomene si era legato a Isagora (le malelingue dicevano che era stato amante della moglie). Quindi, quando Clistene affidò il potere al popolo, Isagora chiamò il potente amico. Cleomene si presentò con pochi soldati, a indicare che si trattava di una questione privata, ed entrò ad Atene.

Umiliato due volte

Il re di Sparta consegnò a Isagora il comando della città ed espulse i sostenitori di Clistene, all’incirca 700 famiglie. Il popolo, però, si rifiutò di obbedire, e nella rivolta che ne seguì Cleomene, Isagora e i loro fedeli dovettero rifugiarsi sull’Acropoli. Dopo due giorni di assedio, pattuirono una tregua per uscirne indenni ma comunque, narra Erodoto, gli ateniesi favorevoli a Isagora vennero giustiziati. Clistene e le 700 famiglie furono richiamate in patria. Cleomene si sentì umiliato e volle vendicarsi degli ateniesi. Reclutò quindi un esercito tra gli alleati del Peloponneso e invase l’Attica. Stavolta la spedizione era autorizzata ufficialmente da Sparta, e al suo comando vi erano entrambi i re della città: Cleomene e Demarato, membro di un’altra casa reale. Gli alleati degli spartani ignoravano che lo scopo ultimo dell’impresa fosse imporre Isagora come tiranno. Quando, ormai ad Atene, vennero a conoscenza del piano, alcuni di loro (come i corinzi) si ritirarono. Se ne andò anche Demarato, contrario all’audace politica estera del collega Cleomene. Alla ritirata del re, pure gli altri alleati partirono.

Su quest'anfora sono raffigurati fanti o opliti con indosso armature simili a quelle indossate nella battaglia da spartani e argivi. VI secolo. Musée du Louvre, Parigi

Su quest'anfora sono raffigurati fanti o opliti con indosso armature simili a quelle indossate nella battaglia da spartani e argivi. VI secolo. Musée du Louvre, Parigi

Foto: Scala, Firenze

Cleomene pensò allora di reintegrare Ippia in qualità di tiranno ateniese. Nel 504 a.C. convocò gli alleati a Sparta per una riunione cui anch’egli era presente. Cleomene usò la scusa di aver saputo dagli oracoli che gli spartani avrebbero patito molto per colpa di Atene (quando era stato lì, aveva portato con sé gli oracoli dell’Acropoli). Ciononostante gli alleati, e in particolare Corinto, che veniva da una lunga tirannide, si rifiutarono di appoggiare i piani del re. Ippia non venne quindi rimesso sul trono e tornò al suo esilio.

Il massacro degli argivi

Poiché non era riuscito a piegare Atene, Cleomene concentrò la sua politica estera sull’egemonia spartana nella penisola del Peloponneso. Per questo nel 494 a.C. attaccò Argo, l’acerrima nemica. I due eserciti si accamparono molto vicini, in attesa della battaglia decisiva. Secondo Erodoto, gli argivi si limitavano a copiare ogni ordine dato dall’araldo spartano al suo esercito. Quando se ne accorse, Cleomene comandò all’araldo di dare il segnale del pasto. Gli argivi si apprestarono a fare lo stesso e Cleomene li colse alla sprovvista, massacrandoli. I sopravvissuti si rifugiarono in un bosco sacro all’eroe Argo, ma Cleomene li sterminò lo stesso: atto empio che avrebbe comportato una maledizione.

In seguito il re sciolse l’esercito e con mille uomini scelti si diresse all’Heraion, il santuario più importante degli argivi, dove offrì un sacrificio solenne alla dea Era. Fu però fermato da un sacerdote che lo accusò di empietà in quanto era proibito agli stranieri compiere sacrifici sull’altare, ma Cleomene lo fece frustare e compì il rito. Quindi, pur avendo Argo alla sua mercé, tornò a Sparta.

Sopra, il teatro di Argo, costruito verso il 300 a.C. La città era la grande nemica di Sparta nella penisola del Peloponneso

Sopra, il teatro di Argo, costruito verso il 300 a.C. La città era la grande nemica di Sparta nella penisola del Peloponneso

Foto: A. Garozzo / Getty Images

I detrattori, tra i quali molto probabilmente stava il collega Demarato, lo accusarono di aver accettato denaro pur di ritirarsi, ma Cleomene ribatté sostenendo che, mentre rendeva il sacrificio sull’Heraion, le fiamme risplendenti sul petto della statua l’avevano convinto a non espugnare la città. A quanto pare, i devoti spartani presero per valida quella spiegazione. In realtà è probabile che Cleomene ritenesse che a Sparta sarebbe convenuta una Argo decimata, ma non distrutta: altrimenti le altre città del Peloponneso, come Corinto, avrebbero accresciuto il proprio potere sulle spalle di Argo.

Quello che è certo è che Argo rimase senza uomini. Erodoto fissa a seimila il numero di argivi morti mentre un altro storico, Pausania, parla di cinquemila perdite. La città impiegò del tempo per riprendersi dal massacro e avrebbe giustificato con la mancanza di uomini la neutralità nella futura guerra contro i persiani.

Nel 491 a.C. il re persiano Dario I mandò messaggeri in tutta la Grecia per chiedere terra e acqua, un gesto di solito indice di sottomissione. Gli ateniesi gettarono i messi in una vecchia cava, e gli spartani li scagliarono in un pozzo consigliandogli con scherno di prendere da lì l’acqua e la terra. Tuttavia, l’isola di Egina, nemica di Atene, accettò di sottomettersi al re persiano. Gli ateniesi si rivolsero a Sparta e accusarono gli egineti di tradimento.

Cleomene si presentò a Egina per chiedere degli ostaggi, ma gli egineti glieli negarono con il pretesto che non erano venuti entrambi i re di Sparta, come stabiliva la legge. Gli egineti erano ammaestrati da Demarato che intanto, secondo Erodoto, diffamava Cleomene a Sparta. Di sicuro Demarato doveva essere il portavoce di molti spartani, ostili a Cleomene. Si erano opposti a Ippia, amico dei persiani, e non gradivano il comportamento sempre collerico e vendicativo del re, che creava tensione tra gli alleati di Sparta nel Peloponneso. La fazione avversa a Cleomene mandava sempre avanti Demarato, come a Egina. Cleomene se ne risentì e, prima di castigare gli egineti, volle liquidare Demarato.

Trionfo e caduta

Il sovrano approfittò di certi sospetti sulla legittimità del collega e suggerì di consultare l’oracolo di Delfi. Cleomene aveva corrotto i capi di Delfi e così, alla formulazione della domanda, la pizia dichiarò che i dubbi erano fondati. Demarato fu deposto e per un certo tempo rimase a Sparta, vittima delle beffe, finché scappò in Asia e si rifugiò alla corte di Dario. Al suo posto Cleomene insediò Leotichida. Entrambi si recarono a Egina e presero degli ostaggi. Come speciale vendetta nei confronti degli egineti, Cleomene li lasciò nelle mani degli ateniesi, i loro peggiori nemici.

Santuario di Apollo a Delfi. La pizia, o profeta, dava i suoi responsi nel grande tempio di Apollo. Acquerello di A. Tournaire

Santuario di Apollo a Delfi. La pizia, o profeta, dava i suoi responsi nel grande tempio di Apollo. Acquerello di A. Tournaire

Foto: Beaux-Arts de Paris / RMN-Grand Palais

Poco dopo la corruzione della pizia venne scoperta, e Cleomene cadde in disgrazia. Temendo rappresaglie, fuggì in Arcadia, dove cercò di riunire i popoli nella lotta contro Sparta. Gli spartani lo lasciarono allora rientrare ma, appena tornato, in preda a un raptus di follia cominciò a prendere a bastonate chiunque gli si trovasse davanti.

I familiari lo legarono a un ceppo finché un giorno che era rimasto sotto la sorveglianza di un ilota (un servo), Cleomene gli chiese un pugnale. L’ilota si rifiutò, ma Cleomene lo minacciò di vendicarsi una volta libero. L’ilota cedette e, a quanto narra Erodoto, Cleomene «cominciò a straziarsi dalle gambe. Fendendosi le carni nel senso della lunghezza passò dalle gambe alle cosce, dalle cosce alle anche e ai fianchi, fino a raggiungere il ventre e morì così, sbudellandosi completamente e tagliandosi a pezzi la carne come liste». Altre fonti aggiungono che rideva con una smorfia di dolore mentre si lacerava il corpo.

Oggi gli storici credono che furono gli spartani a giustiziarlo quando divenne un pericolo per lo stato: la sua politica personalistica e ambiziosa metteva a rischio l’equilibrio di forze nel Peloponneso, e quindi Sparta stessa.

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