Pietro da Cortona, Gloria del regno di Urbano VIII, 1633-39 |
L’Europa delle capitali è uno dei libri più famosi di Giulio Carlo Argan, giustamente centrale nella bibliografia del grande storico dell’arte. Skira lo ha ripubblicato nel 2004, in occasione dei quarant’anni dalla prima pubblicazione, in una edizione preziosa e dal ricco apparato iconografico, impreziosita dalla bella ed esaustiva introduzione di Claudio Gamba.
G.C. Argan |
La metodologia arganiana è esemplare: raffinate analisi formali si intrecciano alla ricerca dei significati sociali e culturali, determinanti nella creazione artistica - ad esempio l’irrazionalità delle forme artistiche che dipende anche dal fatto che l’irrazionalismo diventa la componente essenziale del clima complessivo dell’epoca.
Il Barocco è dunque una «grandiosa affermazione del valore autonomo e intrinseco dell’immagine» e quindi dell’ immaginazione, la facoltà specifica dell’artista.
Da queste premesse Argan giunge alle stesse conclusione a cui era giunto Panofsky nel suo saggio sul Barocco di cui ho già scritto:
1) quella del Rinascimento è un’epoca di crisi, poiché divisa tra spinte contrapposte (i cui estremi, per Argan , sono quei Leonardo e Michelangelo di cui Raffaello tenta una sintesi) ;
2) il Barocco, in quanto civiltà dell’immagine, segna l’inizio della civiltà moderna - assente invece l’idea panofskyana di una continuità con l’età rinascimentale.
Identità di conclusioni a cui Argan, è bene precisarlo, giunge in maniera autonoma; per lui, inoltre, il Seicento è il secolo che inaugura la modernità in quanto la concezione dell’universo come organizzazione divina razionale è sostituita dall’idea del caso.
San Pietro, Città del Vaticano |
Abbiamo a questo punto la distinzione, importantissima a livello teorico, tra forma e immagine: l’immagine (barocca) riduce il concettualismo della forma (rinascimentale) per agire sulle intenzioni e proporre quindi un modello comportamentale. Da qui deriva l’importanza fondamentale dell’arte, la cui forza esortativa non può che essere usata per fini propagandistici - dalla Chiesa, innanzitutto.
L’artista è consapevole del ruolo a cui è chiamato, e lo accetta per intima convinzione: «per potere efficacemente persuadere - scrive Argan - bisogna essere persuasi: più ancora che della verità o della bontà delle cose che si affermano ed a cui si vuole persuadere, della possibilità e dell’utilità della comunicazione umana». E così in Pietro da Cortona, per esempio, «la decorazione non è più favola, ma orazione e spettacolo: l’artificio, non più dissimulato, mostra che per il Cortona l’arte è il mezzo specifico della celebrazione allegorica».
Sul problema della rettorica Argan si sofferma a lungo, riconducendolo al suo significato originario, quello datogli da Aristotele nella Rettorica, che insieme alla Poetica dello stesso filosofo, è il punto di riferimento essenziale dell’estetica seicentesca: la reazione barocca al neoplatonismo rinascimentale giunge a fissare «schemi assolutamente equivalenti a quelli della tragedia e della commedia aristotelica».
D.Velàzquez, La fucina di Vulcano, 1630 |
Al di là del riferimento filosofico, e alle varie implicazioni che il volume passa in rassegna, mi soffermo su un fatto molto importante sia da un punto di vista artistico che da quello della valutazione del lavoro di Argan. «La rettorica, in quanto discorso persuasivo - scrive lo studioso - non è necessariamente legata a un testo letterario né alla traducibilità in termini letterari del contesto figurativo. Esiste, dunque, una rettorica dell’architettura come esiste una rettorica della pittura o della scultura»; insomma, viene qui ribadita l’autonomia dell’arte a cui già accennavo più sopra, il che conduce Argan lontano dall’errore fondamentale di certa iconologia: il subordinare il linguaggio visivo a quello letterario.
Un esempio di rettorica artistica è in Velazquez, che «crea un discorso che può essere fatto soltanto con la pittura. Se un messaggio dev’essere comunicato, esso non consiste nelle cose dette o mostrate dalla pittura: la pittura non può che comunicare se stessa, e poiché è esperienza autonoma, chiara, cosciente, […] insegna che anche attraverso la visione (e non solo attraverso la filosofia o la scienza) si può compiere un’esperienza chiara, autonoma, tale che veramente realizzi la coscienza nel suo essere». Passaggio splendido!
F.Borromini, Sant'Agnese in Agone, Roma, 1653-57 |
Perché il libro ha proprio questo titolo, L’Europa delle capitali, tra i tanti che avrebbe potuto avere? Il motivo è in una delle tesi più importanti (spiegata da Gamba nell’introduzione) sostenute da Argan: la storia dell’arte è la storia della città.
L’epoca barocca è in questo fondamentale perché è qui che nasce la capitale moderna, che «non si presenta più come città chiusa nella cerchia muraria, ma come un organismo aperto, un nodo di vie di comunicazione» in cui viene dato nuovo significato a piazze, strade e facciate degli edifici; in cui è assegnato valore primario all’idea di monumentalità; dove viene abbandonata la logica della città medievale «con la sua vita di quartiere» . Tutto ciò lo si vede, a livelli diversi, nelle riorganizzazioni di Roma, Torino, Parigi, Londra.
La città capitale diventa il simbolo dello Stato: si viene così a creare una rottura con la “provincia”, che diventa distinzione di classe: il “cittadino” da un lato, il “contadino” dall’altro. Ecco perché l’arte barocca, identificandosi con la città nuova, diventa arte sociale, di una socialità diversa e nuova: il tema della facciata degli edifici - secondo Argan «il problema più interessante del monumentale barocco» - chiarisce tale aspetto.
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