"I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nei rispetto dei principi della costituzione e delle norme della presente legge".
Così recita l'articolo uno della legge 20 maggio 1970, n. 300. Approvata esattamente cinquant'anni fa, e conosciuta come Statuto dei lavoratori, mezzo secolo dopo continua a essere la colonna portante della Repubblica italiana in merito alle normative sul diritto del lavoro.
Ma quali furono le circostanze storiche che portarono alla sua approvazione?
Per comprendere appieno l'importanza dello Statuto è necessario ricordare che, nella seconda metà del XX secolo, l'Italia si trovava di fronte alla necessità di regolare il mondo del lavoro su cui, secondo l'articolo 1 della nuova costituzione, si fondava la neonata Repubblica. Nonostante l'incipit della carta costituzionale, la legislazione in materia di lavoro era piuttosto scarna e si basava principalmente sul codice civile fascista del 1942.
Manifestazione di operai metalmeccanici a Varese durante l'autunno del 1969
La prima proposta per stilare una nuova legge del lavoro venne da Giuseppe Di Vittorio, presidente della Federazione Sindacale Mondiale ed esponente della CGIL (Confederazione Generale Italiana del Lavoro). La sua idea mirava a complementare il testo costituzionale, che non entrava in materia dei rapporti giuridici individuali e collettivi di lavoro: «La Costituzione della Repubblica garantisce a tutti i cittadini, lavoratori compresi, una serie di diritti che nessun padrone ha il potere di sopprimere o di sospendere [...] Il lavoratore, anche sul luogo del lavoro, non diventa una cosa, una macchina acquistata o affittata dal padrone, e di cui questo possa disporre a proprio compiacimento. Anche sul luogo del lavoro, l’operaio conserva intatta la sua dignità umana, con tutti i diritti acquisiti dai cittadini della Repubblica italiana», affermava Di Vittorio l'11 ottobre 1952.
Negli anni del passaggio da un'economia agricola a una industriale, in cui iniziarono i grandi flussi migratori verso il nord Italia e all'estero, le grandi industrie nascenti approfittarono per fare man bassa di manodopera con condizioni oggettivamente vantaggiose.
L'autunno caldo
La contestazione giovanile del Sessantotto aveva già surriscaldato gli animi quando prese piede la grande mobilitazione operaia. Dal canto loro gli imprenditori vedevano il desiderio della classe operaia di "partecipare alla elaborazione dei programmi produttivi" come un tentativo di sottomissione da parte di alcune forze politiche.
Sciopero degli operai Pirelli davanti alla fabbrica di Milano. 1969
In quegli anni che Giacomo Brodolini, sindacalista socialista, ricoprì la carica Ministro del lavoro e della previdenza sociale nel primo governo Rumor, che aveva fatto della legislazione in materia di lavoro il cavallo di battaglia del suo mandato. Brodolini dapprima contribuì alla riforma del 1969 in materia di previdenza sociale (la riforma delle pensioni), e poi richiese l'istituzione di una commissione nazionale che avrebbe lavorato a una bozza di statuto.
A presiedere la commissione il ministro volle Gino Giugni, socialista e docente universitario, che sarebbe poi stato ricordato come il padre dello Statuto. Brodolini morì l'11 luglio 1969, pochi mesi prima che il suo successore Carlo Donat Cattin e lo stesso Giugni portassero la proposta di legge, già approvata al Senato, davanti alla Camera, dove venne approvata con 217 voti a favore e l'astensione del PCI, Partito Comunista Italiano.
Giacomo Brodolini
Il PCI voleva in questo modo sottolineare il suo dissenso verso una legge che si applicava alle aziende con più di quindici dipendenti, escludendo dalle tutele i lavoratori delle aziende più piccole.
Ma che cosa stabiliva lo Statuto dei lavoratori?
Il testo, suddiviso in 41 articoli, comprendeva sei titoli: della libertà e dignità del lavoratore; della libertà sindacale; dell'attività sindacale; disposizioni varie e generali; norme sul collocamento; disposizioni finali e penali.
Gli elementi più significativi di questo testo riguardavano la libertà di manifestazione del pensiero nei luoghi di lavoro; la regolamentazione del potere disciplinare; il divieto di indagini sulle opinioni del lavoratore; il diritto dei lavoratori di esprimere le loro opinioni in materia di sicurezza ed ambiente di lavoro; il diritto allo studio; il divieto di atti discriminatori e l'obbligo reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato (il famoso articolo 18).
Manifestazione operaia durante l'autunno caldo
Lo Statuto oggi
Negli ultimi anni la legge 20 maggio 1970 n. 300 ha subito diversi cambiamenti. L'articolo più discusso è senza dubbio l'articolo 18 che, in caso di licenziamento illegittimo, prescrive l'obbligo di reintegrazione sul posto di lavoro. Diversi sono stati gli attacchi a questa voce dello Statuto, che nessun governo eletto ha però potuto modificare. Ci sono riusciti invece i governi tecnici: prima l'esecutivo di Mario Monti e poi quello di Matteo Renzi. La prima modifica è stata realizzata nel 2012 con la legge 92 (la legge Fornero), secondo la quale si introducono nuove forme di risarcimento (anche economico) a seguito di un licenziamento illegittimo. Nel 2015, con il Jobs Act del governo Renzi, si sancisce la non applicabilità dell'articolo 18 per tutti i contratti stipulati dopo il primo marzo 2015.
Pentru a putea adăuga comentarii trebuie să fii membru al altmarius !
Alătură-te reţelei altmarius